Vita del Venerabile Servo di Dio, Frate Umile di Bisignano
Copertina
VITA DEL VENERABILE SERVO DI DIO FRATE UMILE DI BISIGNANO
Effige
VERA EFFIGIE DEL VEN. E SERVO DI DIO FRA UMILE DI BISIGNANO, MINORE RIFORMATO DELLA PROV. DI CALABRIA CITRA NATO A' 26 DI AGOSTO 1582 MORTO NEL CONVENTO DI BISIGNANO A' 26 NOVEMBRE 1637.
Intestazione
VITA DEL VENERABILE SERVO DI DIO FRATE UMILE DI BISIGNANO - LAICO PROFESSO RIFORMATO DELLA PROVINCIA DI COSENZA IN CALABRIA CITRA - FATTA RISTAMPARE DAL MOLTO REVERENDO PADRE FRA FRANCESCO DI S. MARCO , LETTOR EMERITO , EX-DIFFINITORE , EX-CUSTODE, PREFETTO A' STUDJ, ITERATO MINISTRO PROVINCIALE, E POSTULATORE DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DEL MEDESIMO SERVO DI DIO. - DEDICATA All' Eccellentissimo e Reverendissimo D.DOMENICO DE'CONTI DI NARNI MANCINELLI ARCIVESCOVO E VESCOVO DI CASERTA . - IN NAPOLI NELLA TIPOGRAFIA DELLA SOCIETA ' FILOMATICA. 1832.
Dedica
A SUA ECCELLENZA REVERENDISSIMA MONSIGNOR ARCIVESCOVO DI COSENZA E VESCOVO DI CASERTA DE' CONTI DI NARNI MANCINELLI.
Eccellenza Reverendissima, Dovendo far ristampare la vita del Venerabil Servo di Dio Fr. Umile di Bisignano, Laico Professo di questa Riformata Provincia di C. C., di cui io immeritevolmente ne sono il Capo, (essendo stata scritta la medesima dall'aurea penna del Signor D. Vincenzo Maria Greco, Canonico della di lei Metropolitana Chiesa di Cosenza), ogni volta , che ho pensato alla bella sorte toccatami di essere stato annoverato dalla Eccellenza Sua Reverendissima tra'suoi servi particolari, sempre mi son inteso mosso dal piacere di darlene le pruove di raro, e ben dovuto ossequio. E sebben men compiuto sia siffatto piacere, non essendo parto della mia penna, com'è parto della volontà mia , l'intitolargliela; pur nondimeno, col farla comparirfregiata del suo insigne preclaro nome, ho creduto cosi promuovere maggiormente del Servo di Dio le glorie, ed offrirle que’sentimenti di stima , di servitù, e di affetto, che per dritto le debbo. Senzacchè dunque mi dia la premura a considerare la nobiltà del sangue, l'efficacia del suo zelo, l'ampiezza del suo sapere, l'affabilità del suo tratto, e l'animo grato di beneficar a tutti , si conosce pienamente , ed è manifesto non solo alla sua rispettabilissima Arcidiocesi , e Provincia di Cosenza ma bensì è noto al Regno intero. Pregi tutti, che siccome bastanti sono a far crescere la meraviglia, così sufficienti son ancora di accrescere il gusto a colui, che si prende l'ardire di venire a dedicarle il picciolissimo volume. Ecco dunque in brieve quali sono le ragioni , che a tanto mi sospinsero; ed altri non saranno in avvenire i voti miei, e della Riforma di S. Francesco a questo Venerabil Servo di Dio, senonchè si degni dal Cielo a proteggerla, difenderla , e preservarla. Accolga dunque, e gradisca l'Eccellenza Sua Reverendissima la mia offerta colla solita gentil cortesia , qual è innata nel suo cuore , scusando nel tempo stesso la mia temerità, mentre dietro il bacio del sagro anello, me l'inchino con profond'ossequio, e con parzialissima osservanza me le dichiaro per sempre.
Cosenza S. Maria di Costantinopoli il primo di Novembre 1827.
Di Sua E. Rev.ma Umilis. Divoris. Obligalis. servo vero
FRA FRANCESCO DA S. MARCO.
Prefazione
A CHI LEGGE.
COMPARISCE nuovamente alla luce la Vita del Venerabile Frat Umile di Bisignano Religioso Riformato dell'ordine di S. Francesco in C. C., non già sott'altro aspetto, ma tal quale è stata scritta dal primiero autografo. Le passate scabrose circostanze hanno ritardata la causa di beatificazione del medesimo, al quale ritardo vi è concorsa di sicuro la volontà di Dio, per maggiormente prolungarne la beatificazione. Ora animato dal sempre degnissimo Maestro Reverendo ex-Provinciale Padre Raffaello Maria da Roma Postulatore Generale delle cause de Santi Riformati da beatificarsi, e canonizzarsi, mercè la di lui Patente di Postulatore indrizzata alla debolissima persona mia, per mezzo dei questuanti Fra Luigi di Dipignano, e Fra Cosimo di Cervicato , Laici Professi della medesima Provincia, si è dato moto alla causa, si è incominciata a ravvivare la divozione in verso il lodato Servo di Dio, e si spera per l' avvenire un vantaggio grandissimo a gloria del medesimo Dio, ed onore del Servo suo. Vivi felice.
Protesta dell'autore
Essendo il solo giudizio della S. R. Chiesa del sommo Romano Pontefice capace a difinire l'eroismo delle virtù, e la santità di un seguace di Gesù Cristo; mi protesto, che quanto ho scritto nella presente storia della vita e virtù del Venerabile Fr. Umile di Bisignano, non altra credenza io pretendo che goda, fuori di quella, che fondasi sull’autorità umana. Questo serva per attestato di mia ubbidienza ai decreti della S. R. Universale Inquisizione, emanati negli anni 1625, e 1634, e confermati solennemente dalla S. M. di Papa Urbano VIII.
LIBRO PRIMO
VITA DEL VENERABILE SERVO DI DIO FRATE UMILE DI BISIGNANO MINORE OSSERVANTE RIFORMATO.
IN QUESTO PRIMO LIBRO SI TESSERA' PER QUANTO SI PUÒ, UNA STORIA CRONOLOGICA, DI TUTTE LE OPERAZIONI ESTERNE DEL NOSTRO SERVO DI DIO SINO ALL'ULTIMO ANNO DELLA DI LUI VITA : ESSENDO STATA PERÒ QUESTA INTRECCIATA CONTINUAMENTE DI PRODIGJ , E DI ALTRI DONI CELESTIALI, E SUPERNI; ANCHE NON VOLENDO, DEBBO DI QUESTI RAGIONARE, QUANTUNQUE APPARTENESSERO AL TERZO LIBRO.
Capitolo Primo
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Nascita del Venerabile Servo di Dio. Mirabile sua puerizia. Santità straordinaria degli anni suoi giovanili nel secolo.
Nel seno della Calabria Citeriore, non più di sedici miglia italiane distante dall'antichissima Città di Cosenza , capo della suddetta Calabria, è situata la Città di Bisignano, detta latinamente Besidia (1), Patria fortunatissima del servo di Dio Fr. Umile , di cui imprendiamo a tessere la storia della virtuosa vita , non d'altri fonti derivandone le notizie , che da' processi Apostolici , formati giuridicamente per la di lui canonizzazione. È questa città, da tempo antichissimo decorata di Cattedra Vescovile, alla S. Sede immediatamente soggetta. In questa città appunto il dì 26 di Agosto , dell'anno 1582 , nacque il nostro Fr. Umile, da Giovanni Pirozzo, e Ginevra Giardino, naturali di detta città. Se di bassa estrazione erano i di lui genitori , e perciò addetti alle arti agrarie, nella cultura però de' proprj campi, ed industrie (2), erano non pertanto nobilissimi innanzi a Dio, per lo esercizio delle virtù cristiane, e per la edificante loro condotta, onde amate, e riverite universalmente eran per persone, non che oneste, m' anche sante. Offrirono essi il nato bambino al Signore, e facendolo rinascere al sacro fonte, colle acque battesimali, col nome lo distensero di Luc'Antonio , quale cambiò poi con quello di Umile, nel rendersi Religioso, e con questo nome lo chiameremo sempre nel corso della presente storia. A quale altezza di santità e di perfezione vangelica pervenir dovesse questo fortunato fanciullo, ben lo diede a chiaramente conoscere il periodico continuato prodigio , che siegue. Stupefatta osservò la genitrice , e quanti altri vollero rendersi accertati del gran portento, che il bambino, in tutto il tempo che venne alimentato col latte , non più che due volte al giorno, ed una volta solamente la notte lo succhiava dalle poppe di sua madre, nè per quanti sforzi questa facesse più, e varie volte, le fu possibile di fare alterare al suo pargoletto il prodigioso singolare sistema. Ecco un portento, quasi simile a quello leggesi operato da Dio in persona del gran Vescovo di Mira S. Niccolò. Se quegl' infatti, fin dalle fascie, nella quarta, e sesta feria di ogni settimana non accostò giammai il labbro alle poppe della fortunata sua madre; il nostro Venerabile Fr.Umile contentossi sempre di uno scarso alimento: indizio in entrambi di una futura sublime perfezione. Tale per appunto era il giudizio, che ne formavano i suoi genitori, e congiunti; molto più nel vederlo, dopo pochi giorni della sua nascita al Mondo, quasichè anticipato in lui fosse l'uso della ragione, e del discernimento, fissare attento lo sguardo alla Immagine del Crocifisso, o di Maria, per cui vennero in chiaro, senza *ingannarsi , che l'unico mezzo, onde farlo acquietare allorchè piangeva, era appunto, o il rivolgerlo a veduta di qualche divota Immagine, o accostarcela vicino sotto i suoi sguardi; locchè non avveniva, qualora per accertarsi dell'insolito prodigio, gli presentassero sotto allo sguardo altri oggetti, forse più proprj a sorprendere, diciam cosi', gli occh'infantili.
Che il bambino poi dovesse col tempo avere in disprezzo tutte le grandezze, ed agi di questo mondo infelice, e che il solo Iddio formar doveva la sua porzione, e la sua eredità, un altro portento singolarissimo lo contestò perennemente, non che alla sua famiglia, ma a tutti i suoi concittadini, che vollero esserne più e varie volte, o per curiosità, o per accettarsi del vero, spettatori. Giunto all'età di tre anni, ogni qualvolta i genitori per acquietarlo, se piangeva, o per dargli un puerile trattenimento, mettevano nelle di lui mani qualche moneta, immantinente la buttava, anzi la sbalzava con isdegno, girando il volto altrove. Com'era naturale non ne fecero caso la prima e la seconda volta i genitòri; ma ben si avvidero, che forza soprannaturale guidava il fanciullino a tal passo; per cui divulgandosi il fatto per la città tutta, venne a contestarsi nella maniera più solenne, ed a conoscersi nel tempo stesso, che a cose grandi era stato dal Cielo preordinato , e prescelto.
Toccato appena il quarto anno di sua etade, ricevè dal proprio Vescovo il sacramento della Cresima, per cui resto talmente ricolmo di grazia celeste, e con tanta soavità e, dolcezza proferiva qualche divota preghiera, che era impossibile ascoltarlo, senza sentirsi santamente commosso. Avendogli detto il pio suo genitore che gli Angeli in Cielo altro non fanno che lodare, e benedire Iddio, con replicar sempre: Sanctus, Sanctus, Sanctus, incominciò subito con gran fervore a recitare spesso questi versetti per recitarli con più raccoglimento, cosa mirabile! cercava di ritirarsi in qualche angolo della stanza, o in altro luogo recondito, ed ivi colle mani giunte al petto, e cogli occhi rivolti al Cielo, con gran pausa , e con attenzione somma ripeteva: Sanctus, Sanctus, Sanctus. Spettacolo era di tenerezza per tutti, che lo vedevano in una età così tenera, dare indizj certi di essere stato già dal Signore prevenuto colle benedizioni di dolcezza, e concordemente eran di parere, che ad una santità grande, e sublime , anzi straordinaria, era per giungere quel fortunato pargoletto. Giudizio fondatissimo, che in ogni sua parte si vede col tempo avverato, come anderemo ravvisando.
Tutto all'opposto poi degli altri fanciulli, i quali per ordinario sono inquieti, specialmente nell' essere condotti in Chiesa da' proprj genitori, e se questi vi si trattengono per buona pezza di tempo; il nostro santo fanciullino, nelle Chiese appunto trovava le sue delizie, e la dolce sua consolazione. Fissava egli il suo sguardo, tutto attento al Sacro Ministro, che celebrava il Sagrificio incruento , o qualche altra sacra funzione, con meraviglia , ed edificazione universale sembrava tutto penetrato dalla Maestà del Signore, per cui serviva allo spesso di freno, e di rimprovero all'altrui irriverenza.
Già di lui si parlava con mereraviglia, non solamente da’suoi concittadini, ma anche da' naturali de' circonvicini villaggi, dove dilatata si era la notizia della straordinaria e sopranaturale condotta del nostro garzoncello, e non cessavan perciò di lodarne il Signore unico fabro, ed artefice di meraviglie sì grandi, e di chiamare nel tempo stesso fortunati e felici i genitori del nostro Fr. Umile. Questi, nel tempo stesso, penetrati da riconoscenza verso il Signore, non solamente procuravano da per loro stessi di coltivare con ogni diligenza una pianterella sì gentile, e renderla semprepiù disposta a produrre di continuo frutti saporosi di vita eterna , ma calde suppliche porgevano al Cielo, affichè benignato si fosse di additarli un mezzo efficace ad un tanto disegno; ben conoscendo, che la sola loro educazione sufficiente, non era e bastevole. Le umili e fervorose loro suppliche vennero felicemente esaudite. Ecco in qual guisa.
Era Parroco, in tal tempo, delle Chiese Parrocchiali della città, e propriamente di quella, a cui apparteneva la famiglia del nostro Fr. Umile, il Rev. Sacerdote D. Marcantonio Solima, uomo di virtù consumata, e di persezione sublime, che lasciò nel suo morire, non solamente un gran desiderio di se, ma cessando di vivere in osculo Domini, anche al giorno d'oggi la sua memoria è in benedizione in tutta quella popolazione. Per divino impulso, si prese questi la cura del giovanetto Fr. Umile , e conoscendo ben chiaro a qual sublime perfezione era egli per giungere, tutto occupossi nella di lui spirituale coltura. Se ogni agricoltore si affeziona ad una pianta, qualora scorge, che non vanno a vuoto le industrie, e le fatiche che vi adopera intorno, per farla crescere rigogliosa , onde renderla carica di frutti; così un direttore di spirito , dice il Serafico S. Bonaventura, tutto pieno di santa premura, non si risparmia, o rallentasi nella direzione di un'anima, qualora la scorge tutta pieghevole alle celesti impressioni, e disposta di già a produrre abbondevolmente frutti saporosi di vita eterna. Tanto, e non meno praticò verso del nostro servo di Dio, il santo Parroco Solima, per cui di giorno in giorno sfavillando la virtù del suo penitente, attirava a se la meraviglia, e lo stupore di tutt'i suoi concittadini. La prima volta infatti, che venne ammesso alla sacra Mensa, fu tanto il fervore del di lui spirito, tante furono le lagrime di consolazione che sparse, videsi talmente nel volto acceso e rubicondo, che sembrava un Serafino celeste, sotto sembianza terrena. Addetto da' suoi genitori alle fatighe della campagna , non si portava giammai a disimpegnarle senza ascoltar prima la santa messa; e fu suo costume finchè visse nel secolo, di non uscir di casa, senza baciare i piedi a'genitori suoi, chiedendo loro umilmente la paterna benedizione. Nell'accostarsi alla comunione, fu anche suo costume invariabile di scalzarsi ne' piedi, ed in tale atteggiamento, umile e penitente, cibarsi dell'eucaristico cibo. Si diede ancora, coll' espressa licenza del suo direttore ad una vita aspra, e penitente. Continui erano i suoi digiuni, e spesso in pane ed acqua; ogni giorno disciplinavasi spietatamente con funi annodate; dormiva o sulla nuda terra, o sopra le tavole; parchissimo nel parlare, sembrava un vero abitatore degli eremi, quantunque vivesse in mezzo al mondo. Nelle campagne, dove conduceva a pascolare i suoi armenti, aveva inalzato più croci, formate rozzamente da' tronchi, e rami di alberi, ed ivi genuflesso attendeva alla meditazione delle cose sopranaturali, e divine. Nel trattare co'suoi compagni, o con altra gente boschereccia, cercava subito d'introdurre discorsi divoti, con edificazione, e profitto di chiunque ascoltavalo. Nella propria casa poi si ritirava per più ore la notte, in una grottà scavata nel masso in fondo alla quale vi eresse come uno altare, su di cui collocò l'immagine del Crocifisso; e quivi attendeva con assiduità, e fervore indicibile alla preghiera, ed all'orazione. Quivi egli trovava la sua requie, e il suo riposo. E vero che più, e varie volte tentò l'infernale nemico di spaventarlo, ora con strepiti, e con clamori orribili, ora con farsi vedere dal santo giovine in varie forme spaventose e funeste, ed ora con percuoterlo, e straziarlo, a fine di fargli tralasciare un tenore di vita sì penitente, e sì santo. Il nostro Fr. Umile però, segnandosi col segno della santa Croce, non curava, anzi disprezzava gl'infernali assalti, e cercava a tutta possa di correre per la strada della perfezione.
Volle il suo confessore in varie guise sperimentare, di qual tempra fosse la virtù del suo penitente, e da uomo illuminato ch'era, per mezzo dell'ubbidiena, e della mortificazione della propria volontà ne fece più, e varie volte l'esperimento. Ora lo sgridava in pubblico, e lo trattava da poltrone , ed infingardo; ora da superbo, e da ippocrita; ora lo privava di comunione per settimane intere; in somma niente lasciò indietro per accertarsi, se vero, o falso fosse lo spirito del suo penitente. Vedendolo però sempre eguale a se stesso, reggere senza vacillamento ad ogni prova, ne lodò grandemente il Signore, che in seno agli umili suole spárgere i tesori delle sue grazie. Volle perciò, che si ascrivesse ad una pia Confraternita, eretta nella stessa città, sotto il titolo, e la protezione di Maria Santissima Immacolata , affinchè servisse di norma, e di sprone a tutti gli altri congregati, nell'adempimento de' propri doveri: ubbidì egli con prontezza, ed era uno spettacolo assai edificante il vederlo ne' giorni festivi assistere alla congregazione, con una divozione, e raccoglimento indicibile, praticarne tutti gli atti religiosi dalle regole prescritti, per cui il solamente vederlo in tali cose occupato, era bastante ad accendere, e mantenere l'altrui divozione, Se qualche volta, per eseguire i voleri de'genitori suoi non poteva intervenirvi, non tralasciava, genuflesso in mezzo della congregazione, ed alla presenza degli altri confratelli, tutto pieno di santa confusione ed umiltà, darsi in colpa di questa sua, per altro involontaria mancanza; ben comprendendo il santo giovine l'obbligo, che astringe a tutt’i congregati, di assistere a quelle sacre adunanze, alle quali volontariamente arrolati si sono, e di frequentare i sacramenti, e le altre opere di pietà, sul tenore delle rispettive regole ivi ordinate. Se in tutte le confraternite, o pie adunanze, come vogliam dirle, vi risplenda lo spirito fervoroso del nostro Fr. Umile, io nol so, nè mi curo di saperlo. Ho gran timore però, che in non poche di queste vi regni uno spirito faccendiero, e interessato; e che sia più l'impegno di maneggiarne le rendite, che di riformare il costume, e di accrescere la divozione, e la pietà. La gara, che in alcune di queste si vede, di superarsi nella solennità, e di tutto fare con magnificenza secolaresca, e di nulla curarsi di quelle cose, che costituiscono l'essenza, per dir così, ed il fine riguardano di queste sacre adunanze, mi fanno temere, che l'antico rimprovero fatto da Dio agli Ebrei, Populus hic labiis me honorat: cor autem eorum longe est a me, vada anche a ferire i confratelli di simili adunanze. Una chiarissima prova (per tornare al nostro Fr. Umile) di consumata virtù diede egli in questo frattempo, sopportando con volto ilare, e niente turbato, una sonora guanciata avventata sul di lui volto, da un gentiluomo di Bisignano in pubblica piazza, sul falso rapporto a lui fatto, d'essere stato offeso dal nostro Fr. Umile. A tal insulto sensibile, ed inaspettato, facendosi conoscere vero seguace del vangelo, gli offerì l'altra guancia; e genuflesso lo ringraziò per averlo trattato, come si espresse, in quella guisa che meritavano i suoi peccati.
Per una condotta di vita sì irreprensibile, anzi sì santa, ben conosceva il pio direttore del nostro Fr. Umile, che non poteva egli più a lungo dimorare nel secolo, ma che doveva in qualche sacro istituto giungere ad un'altezza di santità straordinaria, e singolare. Viepiù restò persuaso di tal suo giudizio, nel sapere un'altra prodigiosa condotta, che teneva Iddio sopra il nostro Fr. Umile. Quantunque dotato fosse di discernimento, e di prudenza, pure non potè giammai giungere a conoscere il valore della moneta; che anzi, dovendo per ordine de' suoi genitori portare qualche somma di denaro a coloro che fatigavan nella campagna, o ad altre persone, sempre, senza sua colpa, veniva a perderla per istrada senza poterne sapere la cagione. A principio veniva un tal infortunio altribuito al caso: ma poi vennero in chiaro, che in questo fatto vi si doveva conoscere il dito di Dio; e questo fu il sentimento del suo direttore, il quale ragionando di tutto ciò col padre del nostro Fr. Umile, dopo aver esclamato, con gran maraviglia: digitus Dei est hic! conchiuse: è segno , che Iddio lo vuole totalmente per sè. Non andò a vuoto questo suo sentimento, con me osserveremo nel seguente capitolo.
(1) Quest'antichissima Città che si vuole edificata da Schenazio pronipote di Noè, ha la sua Cattedra Vescovile, soggetta immediatamente alla S. Sede; perlocchè Andronio Vescovo di Bisignano si vede intervenuto nel Concilio Romano, sotto il Pontificato di Papa Zaccaria l'anno di Cristo 743. Ha fiorito sempre nella Santità, nelle lettere, nelle armi, nelle arti. A dì 4 gennajo 1339 ritrovandosi questa città utile Signora di se stessa, con privilegio di detta data, firmato dal Re Roberto, eresse un Sedile di Nobiltà, confirmato successivamente dalla Regina Giovana I.; e dal Re Ladislao; come distintamente può osservarsi nel S. R. C. negli originali atti di reintegra in detto Sedile , pretesa dalla Famiglia Afflisio il 1651; il primo ceto dunque de' Nobili aggregati in delto Sedile forma la prima restrittiva, dentro la quale si scelgono in ogni anno i Nobili Governatori di essa. Il secondo ceto, che fa anche le veci della plebe, vive anche con restrittiva sotto il titolo del ceto degli onorati cittadini.
(2) Fra le Capitolazioni del secondo ceto detto degli onorati cittadini di Bisignano, improtocollati a' 20 ottobre 1658, dal fu Regio Notar Gio. Tommaso Oliverio di Bisignano istessa si osserva, che la famiglia Pirozzo del Venerabile Servo di Dio Fr. Umile era di questo secondo celo; ed in fatti da' Processi Apostolici si osserva, che questa famiglia, e per essa i suoi individui , non istavano del servigio altrui , ma coltivavano i proprj terreni, che avevano per l'uso proprio; come pure avevano casa di propria abitazione, ed orto a fianco di essa ec.
Capitolo II
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Veste l'abito di frate minore riformato. Suo noviziato ferventissimo. Segnalato prodigio, per cui solennemente professa quel sacro istituto.
Quantunque in ogni luogo possa la virtù risplendere, e frutti produrre d'eterna vita: quantunque gli adoratori del vero Dio, non siano circoscritti o ne' deserti, o ne'monti, ma dal sol levante all'occaso, da tramontana, a mezzodì; in qualunque luogo, e sotto qualunque divisa, possano essere a lui di gradimento; pure però, non altronde sembra, che ne' sacri chiostri, veri asili di santità, e di perfezione, possano fare progressi mirabili quelle virtù, che nel bel principio portano impresso il carattere di straordinarie, e singolari. Questo distintivo, o carattere come vogliam dirlo, riluceva nella virtù del nostro giovine Fr. Umile, vivendo in mezzo al secolo; quindi da questo dovea allontanarsi per giungere a quell'altezza di perfezione vangelica, dove felicemente pervenne. Viveva egli tutto abbandonato in seno della Divina volontà, non volendo dipendere, che da'celesti voleri. Viveva tutto sottoposto, e ubbidiente alle voci del santo suo direttore, e perciò non aspettava d'altri che da Dio la determinazione di quello stato di vita che dovesse intraprendere, per correre a passi di gigante l'erto calle della virtù. Volle il Signore compiacerlo, ed in una maniera prodigiosa. Mentre il nostro santo giovine pascolava i propri bovi, in una sua possessione, poco distante dalla città, per tre volte consecutivamente sentì una voce chiara e distinta, che li disse: Lucantonio, io voglio essere da te servito. Queste parole a principio l'incussero gran timore, ma poi sentì infondersi in seno un gran coraggio, che produsse in lui una risoluzione magnanima, di tutto intraprendere, per eseguire la Divina volontà. Le stesse voci prodigiosamente vennero intese dal santo suo confessore, il Parroco Solima, che trovavasi in tal tempo nella chiesa della sua parrocchia: che anzi, venne questi chiaramente a comprendere, che Iddio chiamava il suo penitente a vestire l'abito religioso di Frate Minore Riformato. Quindi ritornato la sera dalla campagna, il nostro Fr. Umile si condusse dal suo direttore, per narrargli il prodigioso successo, e determinarsi con sicurezza all'adempimento della volontà divina. Giunto appena però, sentì farsi dal confessore questo rimprovero: Poltrone! sentiste oggi quelle voci; e perchè non lasciaste subito i bovi, e veniste da me, per eseguire la volontà del Signore? Tutto confuso il santo giovine, dandosi in colpa di questa, per altro involontaria mancanza, si dichiarò prontissimo a seguire le tracce della divina volontà. Gli svelò allora il santo suo direttore il divino volere, per cui con indicibile consolazione si dispose a vestire le sacre divise del gran Patriarca de' poveri S. Francesco d'Assisi. Se il suo genitore fu pronto a dargli la paterna benedizione, e di offerire al Signore questo suo figlio; tale prontezza però non dimostrò la sua genitrice, che anzi colle parole più efficaci, accompagnate da calde lagrime, cercava dissuardelo da una risoluzione sì santa, sul riflesso, che poteva anche salvarsi l'anima, senz'allontanarsi dalle domestiche mura. Nè le persuasive materne, nè le lagrime incessanti dell'affettuosa sua madre ebbero forza di rimuovere dalla santa risoluzione il nostro Fr. Umile; che anzi, raccomandando caldamente l'affare al Signore, gli riuscì di persuaderla in guisa, ch'emulando dopo pochi giorni l' edificante condotta del suo consorte, piena di santo giubilo, offerendo anch'essa l'amato figlio al suo Dio, gli compartì con effussione di cuore la materna benedizione, e non lasciò di esortarlo a voler essere costante fino alla morte nella vita religiosa, ch'era già sulle mosse di abbracciare. Simili avvertimenti furono a lui dati dal santo suo direttore il Parroco Solima, a cui, pria d'incamminarsi al suo destino, con lacrime di tenerezza baciò la sacra mano, come tutto pieno di venerazione, e d'ossequio, i piedi baciò a' genitori suoi. Tutto caldo di santi desiderj, e col cuore spogliato già d'ogni terreno affetto, volge le spalle il nostro Fr. Umile alla sua città di Bisignano, e s'incammina verso il villaggio di Dipignano, dove in atto di santa visita si trovava il P. Ministro Provinciale de'minori riformati, da cui impetrar dovea la grazia d'essere ammesso tra i figli del gran Serafino d'Assisi.
Non erasi egli gran fatto inoltrato nel suo cammino che in un giovine s’incontra, non mal fatto di persona, il quale cortesemente salutandolo, gli si offre compagno di viaggio, fingendo di dover anch'egli conferirs’ in un paese, da Dipignano poco distante. Lo ringrazia il nostro Fr. Umile, e con candidezza gli svela il fine per cui conducevasi in tale luogo; per abbandonare il mondo cioè, è rendersi figlio e seguace del gran Patriarca de' poveri S.Francesco. Fa mostra d'applaudire a tal risoluzione il giovine compagno; ma poco dopo, con insinuanti maniere, e con espressioni vivissime, cerca dissuaderlo dalla santa sua risoluzione; mettendol’in aspett'orribile la vita religiosa, e claustrale. Conobbe allora, da interno lume illustrato il nostro venerabile servo di Dio, che sotto umane apparenze, chi la discorreva così era lo spirito tentatore e maligno, quindi invocando il divino ajuto, e segnandosi col segno della santa croce, videselo in un baleno scomparire dinanzi, per cui ringraziando il Signore, d'averlo liberato da tale pericolo, tutto pieno di confidenza nel suo Dio, giunse felicemente al convento di Dipignano. Genuflesso il santo giovine a' piedi del P. Ministro Provinciale, che come si è detto ivi faceva la santa visita, lo supplicò umilmente a volerlo ammettere fra i seguaci del gran Patriarca d'Assisi, nella condizione di Frate converso. O siasi che nota fosse al P. Provinciale la santa condotta del giovine, o siasi per impulso superiore, dimostrossi prontissimo a compiacerlo in quell'istesso istante. Quindi lo spedì nel seguente giorno al convento della terra di Misuraca, Diocesi di S. Severino, dove in quel tempo era il luogo destinato alla probazione de' novizj, protestandosi con tutt'i religiosi che col tempo doveva questo giovine illustrare la riformata Provincia di Cosenza collo splendore delle sue virtù, come in realtà puntualmente si è veduto, avverato.
Ricolmo di santo giubilo il fervoroso giovine; s'incamininò al suo destino, con quel desiderio medesimo, che assetato cervo corrre anelante verso un ruscello di limpide acque, da lungi veduto. In tutto il corso del suo viaggio in altro non occuposs' il nostro Fr. Umile, che in ringraziare il Signore, d'averlo fatto degno della grazia segnalatissima della vocazione religiosa, ed in supplicarlo a volergli per sua misericordia concedere la santa perseveranza, ed il fervore necessario, onde corrispondere a tal celeste favore: ben conoscendo, che senz'una continua ed umile preghiera, nulla s'ottiene da Dio; da cui, siccome il principio, così il compimento d'ogni buon'opera dipende.
Ivi giunto, e con una confessione generale purificando sempre più la di lui anima, si dispose a svestirsi dell'uomo vecchio, per vestirsi di Gesù Cristo, sotto la regola, e precetti del gran Serafino d'Assisi. Non si può esprimere, come conviene, il fervor del suo spirito nel corso del noviziato. Si diede egli ad una continua meditazione, e colla dovuta ubbidienza, ad una penitenza asprissima. Digiunava di continuo, e quasi sempre in pane ed acqua; disciplinavasi più volte al giorno, e spesso a sangue; dormiva poche ore, ma sulla nuda terra. Pieghevole come molle cera alle voci del suo maestro era sempre pronto a soffrire ogni cimento, a cui questi esponevalo, per esperimentare di qual calibro fosse la sua virtù. Osservava talmente il silenzio, che per attestazione de' suoi compagni novizj, nel corso di un anno, noverar si potevano le parole da lui proferite. Il vederlo assistere in coro o in chiesa era lo stesso, che sentirsi penetrato dallo spirito di divozione, tant'era grande il suo raccoglimento. Se coltivava la terra dell'orto del convento; se girava le strade accompagnando il frate questuante, sembrava assorto, ed in Dio rapito; e spirava da pertutto una compostezz' angelica e sovraumana, per cui col distintivo di novizio santo era da tutti quei naturali chiamato. E quantunque in tutto il corso del suo noviziato non avesse avuto il maestro de' novizj motivo veruno di mortificarlo per qualche mancanza, stantechè l'esattezza del santo giovine nell'adempimento de’ propri doveri fu sempre mirabile; pure da esperto che era direttore di spirito, e ricco anch'esso di perfezione religiosa, non tralasciò mai di mortificarlo in pubblico, ed in privato: di caricarlo d'ingiurie, e di attribuirgli certe mancanze, ond'aver campo di fare esperimento della di lui virtù. Ma con sua meraviglia, ed edificazione nel tempo stesso di tutta la religiosa famiglia, venne in chiaro della sublime virtù del suo novizio, e pronosticò senza ingannarsi, che ad un'altezza di santità straordinaria dovesse giungere, e pervenire. Quindi in di lui assenza lo proponeva per esemplare agli altri novizj; siccome il guardiano spesso spesso invitava i suoi religiosi a specchiar di continuo in quelle virtù, che risplendevano mirabilmente nella condotta del nostro Fr. Umile. Basti per ogni altra prova il sapere, che quantunque in detto convento d'esatta osservanza vi fosse in quel tempo una famiglia di religiosi tutti perfetti; l' esempio però del nostro santo giovine, le serviva di forte sprone a correre sempre più la via della serafica perfezione, qualche volta anche di rimprovero.
Terminato così santamente l'anno di sua probazione, richiese con ogni umiltà il santo novizio la grazia di professare solennemente il serafico istituto, e di stringersi perpetuamente col suo Dio, per mezzo de' legami de' voti religiosi. Ma chi il crederebbe! Mostraronsi restj i suoi superiori a compiacerlo, per un motivo, che caratterizza per troppo delicata, ed esatta la loro condotta. Per divina disposizione certamente, non aveva potuto il nostro Fr. Umile, mandarsi a memoria il testo della regola di S.Francesco, obbligazione indispensabile per chiunque abbraccia quel santo istituto. Ne ascoltò egli la lettura attentamente, quasi ogni giorno nel corso del suo noviziato; nel doverne dar conto però, non ricordavasene neppure una sillaba. Confusi i superiori per tale accidente, e non volendo in menoma parte alterare i propri statuti, o costumanze che siansi, nonostante la conosciuta perfezione del santo giovine, erano risoluti di già a non ammetterlo alla religiosa professione.
All'annunzio funesto di una risoluzione sì opposta e contraria a' ferventissimi desiderj del nostro Fr. Umile, restò egli a principio quasi abbattuto per lo rammarico; ma ripigliando subito il pristino coraggio, tutto pieno di fiducia nel suo Dio, si condusse nella Chiesa, e genuflesso innanzi, all’Altare maggiore, dove una Immagine si venera di Maria Santissima, da essa appunto ch'è la dispensatrice delle grazie, e la consolazione degli afflitti, implorò ajuto e soccorso in quella sua tribulazione. Dalla parte del coro dietro al medesimo altare si ritrovava allora anche orando il P. Benedetto di Cutro, guardiano del convento, e religoso di vita esemplarissima. Ascoltando egli, senza esser veduto, la tenera ed umile preghiera, che porgeva alla Vergine il santo novizio, per ottenere, sua mercè, la grazia di professare il serafico istituto, si sciolse in lagrime di tenerezza, ed accoppiando alle preghiere del nostro Fr. Umile anche le sue, implorava dal cielo la grazia di poter conoscere, senza ingannarsi, in tal affare la divina volontà. Ma oh quanto fu grande il suo sbalordimento, ed il suo giubilo nel tempo stesso, nell'ascoltare che da quella sacra Immagine, consolando Maria il santo nostro novizio, distintamente proferì queste parole: Non ti sgomentare, o figlio: mia sarà la cura di renderti consolato. Se il nostro Fr. Umile, celando in se stesso un favore sì grande, a lui compartito benignamente da Maria, tutto pieno di sant' allegrezza, alla sua cella ritirasi; il guardiano però tutto consolato e festante a'religiosi tutti il gran portento palesa, per cui il seguente giorno, chiamato in pubblico capitolo il santo novizio, potè con voce franca e spedita, e con un'esattezza mirabile recitare tutto il testo della serafica regola, e quindi con giubilo, ed allegrezza di tutti que' religiosi, essere ammesso alla solenne professione.
Fu tanta e tale la piena de' lumi e delle consolazioni celesti, che vennero a traboccare in seno al nostro Fr. Umile, che proferendo egli la formola della professione religiosa, offeriva a Dio tutto se stesso, che anche all'esterno dall'accensione del volto, e da certi splendori che sfavillava, chiaro compresero gli spettatori tutti, che il fortunato suo cuore era tutto penetrato da quella carità, che solleva ed innalza le creature ad un essere sovraumano, e celeste. Nè andarono falliti i loro giudizj; conciosiachè per tutto quel giorno si vid'egli sempre da’ sensi alienato, ed immerso in una contemplazione altissima, con gran meraviglia de' suoi religiosi, i quali lodando la beneficenza del sommo Dio, sempre mirabile ne' servi suoi, invidiavan la sorte del novello loro religioso, giunto felicemente nella giovanile sua etade ad una santità eminente, anzi eroica. Ecco in qual prodigiosa maniera il nostro Venerabile Fr. Umile professa il serafico istituto.
Capitolo III
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Si porta nel convento della sua patria, dove colla sua ammirabile condotta apre una scuola d'ogni cristiana virtù. Prodigio segnalato, per cui vien riverito qual uomo di perfezione straordinaria.
Dopo pochi giorni di dimora nel cennato convento di Misuraca, vollero i superiori, che il nostro Fr. Umile si conferisse di località nel convento della sua patria di Bisignano, ben conoscendo, che la sua virtù non sarebbe vacillata, nè sarebbes'intiepidito il di lui fervore, vivendo in mezzo a' suoi congiunti, e sotto gli occhi de' suoi concittadini. Vollero anche dare agli avanzati suoi genitori la consolazione di rivedere il loro amato figlio, già divenuto seguace del gran Patriarca d'Assisi. In esecuzione degli ordini de' suoi superiori, vi si condusse egli, ed attesta il suo compagno che lo scortò da Misuraca a Bisignano, che non perdè per istrada quel gran raccoglimento di spirito, che lo accompagnò sempre nel corso del suo noviziato. In guisa tale camminava egli tutto raccolto in Dio, che a stento interloquiva alle volte alle domande del suo compagno, il quale perciò, a fine di non disturbarlo dalla sua quasi contemplazione, lodando il Signore, che tanto si diffondeva co' doni suoi nel cuore di questo giovine religioso, usò anche in tal viaggio un rigoroso silenzio. Giunto nel convento della sua patria, venne accolto con gran giubilo da' suoi religiosi, congiunti, e da' concittadini suoi, i quali dalle costanti notizie avute di sua illibata e fervorosa condotta nel convento di Misuraca, ne avevan già formata quell'idea, corrispondente al fervoroso di lui vivere in mezzo al secolo, di cui n'erano stati testimonj ed ammiratori. Dopo avere intanto il nostro servo di Dio eseguito i suoi doveri verso i suoi genitori, e consanguinei, e colla voce, e co' fatti fece a questi conoscere, non che a suoi compaesani; che toltene quelle circostanze di carità e di giustizia, non poteva, nè voleva egli trattare, o familiarizzarsi nel secolo; ma che avendo abbandonato il mondo, viver voleva dalla gente mondana totalmente distaccato, ed alieno. Si diede quindi ad una vita più penitente, e più rigida. Oltre dell'assistenza in coro in tutte l'ore dalla regola Serafica prescritte, tutto quel tempo, che a lui superava dagl'impieghi monastici addossatigli dall'ubbidienza, toltene ore due di sonno, che concedeva al suo corpo, o genuflesso, o rannicchiato in un angolo di cella, o steso sul nudo pavimento, lo consumava nel coro, o nella chiesa, nella considerazione delle cose sopranaturali e celesti.
Se usciva poi per la città, era tanta e tale la sua compostezza ed il suo raccoglimento, che il solo guardarlo moveva a divozione. Si-davan perciò voce i suoi concittadini, quando usciva di convento, per lo solo fine di santamente compiacersi della di lui edificante compostezza. Era un grande spettacolo di edificazione il vederlo assistere in chiesa alle sacre funzioni, o nel coro a' divini ufficj. Penetrato tutto d'amore celestiale e superno, non sapeva parlare d'altro, che di Dio; per cui fin da quella giovanile sua età incominciarono i religiosi ed i secolari altresì ad accertarsi, ch'era egli graziato dal cielo col dono degli estasi e de' ratti, e provetto già nella via della perfezione.
Volle il superiore del suo convento dargli la cura del giardino, affinchè sboscasse, e riducesse a coltura un gran roveto di spine, che occupava un angolo del giardino suddetto. Eseguisce con prontezza il comando del suo superiore il nostro Fr. Umile, e dopo aver con grande stento, sgombrato quel terreno da quei triboli, e da quelle crude gramigne, che lo rendevano non solamente inutile, ma pericoloso covile di serpi, e di altri insetti velenosi, gli venne fatto di scoprire nel luogo stesso il cavo di un'antica grotta, al ripulimento della quale volle anche occuparsi. In fondo a questa , non so se per miracolo, o naturalmente, vi si rinvenne una vena di fresca limpidissima acqua, la quale venne a scuoprirsi al sommo prodigiosa, giacchè da quel punto, usque in hodiernum diem, è stata un antidoto efficacissimo contro tutt'i morbi, e chiunque l'ha bevuta o la beve con fede, n'esperimenta vantaggiosi gli effetti. Venne fin da quel tempo dato il nome del servo di Dio a questa prodigiosa grotta, ed a quest'acqua miracolosa; ond' è che da tutti universalmente viene chiamata: la grotta, l'acqua di Fr. Umile. Viene quest' acqua trasportata per divozione in paesi lontani e lungi dall'imputridirsi e tramandare [...], si conserva per anni ed [...] e cristallina, come venne tratta limpida dalla propria sorgiva.
In questa grotta appunto, semprechè poteva, ritiravasi il nostro Fr. Umile, anche di notte, con licenza del suo superiore, dove dopo replicate flagellazioni, colle quali cercava sempre di ridurre il suo corpo in servitù, giusta la frase dell'Apostolo, s'immergeva poi nella contemplazione delle cose sopranaturali e celesti. Ivi da chi vi si portava qualche volta di nascosto ad osservarlo, si vedeva ora sopraffatto da un dirottissimo pianto, le offese detestando che si commettono contro Dio, o le pene contemplando del Redentor Crocifisso; ora tutto ansante, rubicondo, e smanioso, che interrottamente esclamava, oh bontà di Dio infinita! oh sommo bene quanto sei amabile! e simili altre espressioni, che dimostrava chiaramente qual grand'incendio di carità nutriva in seno. È fama costante presso i suoi religiosi, che nasce da una tradizione non interrotta, che in detta fortunata grotta venne grazito più e varie volte il nostro servo di Dio da visioni celesti, e che le [?antiche] melodie lo sollevavano da [...] dei peccati altrui, corpo [...] del ravvedimento, e del perdono. Da’ processi Apostolici si rileva ad evidenza però, che spesso spesso venne in detta grotta assalito il nostro servo di Dio da spiriti infernali, i quali sotto diverse figure, e tutte orride, e spaventevoli, cercavan distrarlo dalle sue occupazioni.
Sentiva alle volte a se vicino ruggiti di leoni, urli di lupi, fischi di serpenti, a' quali opponendo il nostro Fr. Umile il forte impenetrabile scudo della fiducia in Dio, mandava a vuoto gl'infernali disegni. Veniva anche da' medesimi battuto, flagellato, e trascinato per lo giardino, permettendolo così il Signore; per cui gli si vedevano per più giorni le lividure nel volto; ma senza altro vantaggio per l'inferno, che di restar sempre confuso alla prova del gran coraggio del nostro Venerabile Fr. Umile.
Or il complesso di tutte le narrate cose, e di tante altre, che per la lunghezza del tempo andate sono in dimenticanza, ed in oblio, pose in tal aspetto la santità del nostro Fr. Umile, che a piena bocca veniva da tutti acclamato e riverito qual'uomo, giunto di già a toccare le meta della vangelica perfezione, e prescelto da Dio in questi ultimi tempi per istrumento della sua gloria. Tal fu di fatti, come nel corso di quest'istoria ravviseremo.
Capitolo IV
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Si porta in diversi conventi della provincia, e da per ogni dove fa conoscersi per religioso di virtù consumata. Prodigj continui accompagnano i suoi viaggi, e le sue dimore.
Dalle deposizioni registrate, ne' processi Apostolici, formati in ordine alla Beatificazione e canonizzazione del nostro Venerabile Fr. Umile si rileva, che questo gran servo del Signore venne da' suoi superiori destinato di località in varj conventi della provincia, oltre a quello della sua patria di Bisignano. Dimorò egli, dove più, dove meno, in Cosenza, in Dipignano, in S.Lorenzo del Vallo , in S.Marco, in Pietrafitta, Figline, Rossano, dove colla carica di cercatore, dove con quella di giardiniero, dove coll'altra di canovaio. Fu anche compagno del Provinciale, per cui dovè girare in sua compagnia per tutt’i conventi della provincia. Viaggiò ancora fuori provincia, e fuori regno, come appresso verrà narrato. Il motivo di tante spesse mutazioni di luogo nel nostro Fr.Umile, siccome ridonda in dilui encomio, così ancora ci palesa la prudente e saggia condotta de' suoi superiori. Il grat’odore, che tramandavano le virtù del nostro servo di Dio, diffondendosi da per tutto, attirava a' conventi di sua località gran numero di persone di ogni condizione, a raccomandarsi alle sue preghiere. E perchè non sempre era una tal divozione accompagnata dalla discrezione e dalla prudenza, era cosa facile a spesso succedere, che la quiete religiosa, ed il silenzio monastico ne patissero qualche detrimento. Temevano inoltre i suoi superiori, che a tanti applausi vacillar potesse la virtù di Fr. Umile, non essendo cosa insolita nella storia della chiesa l'incontrarci a piangere la spirituale rovina di tante anime, prima ferventi, e poi contaminate dal tarlo insidioso della vanagloria. Questo verme maligno, dice il P. S. Agostino, penetra ancor nel midollo de' cedri più eletti del Libano, e li ruduce alla condizione di alberi senza ridice, e perciò infruttuosi, e non buoni ad altro, che a dar pabolo alle fiamme. Quindi con savio, ed avveduto consiglio i suoi superiori, per allontanare Fr. Umile da un tanto pericolo, non permisero giammai, specialmente nella di lui gioventù, che lunga stata fosse la sua dimora in un convento, per cui dopo pochi mesi lo spedivan di località in un altro.
Quel Dio però che lo voleva dovunque glorificato, rese sempre inutile questa per altro saggia condotta de' superiori suoi. E quì bisogn'avvertire chi legge, che non avendo badato coloro, che fecero le deposizioni giurate intorno alla vita e virtù del nostro servo di Dio, d'individuare l'epoca del tempo, per cui fuori dell'anno del di lui nascimento e della di lui morte, che trovo fissato, con certezza nel sommario de' processi apostolici, tutto il resto è in confuso; nè mi è permesso, anzi non mi è possibile narrare cronologicamente i fatti egregj ed i portenti, che operò l' Onnipotente nel nostro Fr. Umile di Bisignano. Son costretto perciò a narrare così in globo, come suol dirsi, quei prodigj stupendi, che accompagnarono sempre la vita del nostro servo di Dio. Tralasciar non si deve di riflettere, ch'essendo le Calabrie tutte irrigate da innumerabili fiumi, rapidi per lo più e pericolosissimi, quali specialmente in tempo d'inverno per la gran copia delle acque sembrano navigabili, com'è il fiume Crate, che divide per mezzo la città di Cosenza, il fiume Esare, e Moccone, per tacere gli altri non provveduti di ponte specialmente ai giorni del nostro servo di Dio, non è credibile, il numero di quegl'infelici, che tragittandoli, miseramente vi perivano sommersi ne' vortici di quelle spaventose correnti. Or questi fiumi doveva egli continuamente tragittare, nel girar che fece più volte la provincia di Cosenza, specialmente nell'essere prescelto a servir da compagno il ministro provinciale. Or nel passaggio di tutti questi fiumi si osservò sempre nel nostro Fr. Umile, quel portento operato da Dio in persona de Profeti Elia, ed Eliseo. Nel tragittare il fiume, si arrestavano l'acque superiori, e lasciando asciutto quel tratto per cui doveva egli passare, ne seguiva, che passavali sempre a piedi asciutti. A principio recò stupore a chiunque la veduta, o la notizia di un tanto portento; ma per la continuazione poi, non recava più meraviglia, restando tutti persuasi, che la virtù di Fr. Umile, serviva di argine a quell'elemento così indomito e furioso. Nè questo portento operava Iddio in vantaggio del nostro Fr. Umile soltanto; ma per contestare a tutti la santità del fedele suo servo, ne rendeva anche partecipi coloro, ch'eran in di lui compagnia. Non voleva egli però tentare Iddio; giacchè se per valicare qualche fiume doveva divertire qualche poco il solito e consueto cammino, per servirsi del comodo di qualche ponte di fabbrica o di legno, lo faceva volentieri. E quì non si deve tacere, quanto le avvenne nel passagio del fiume Neto in tempo d'inverno, e nell'atto, che per le antecedenti piogge era turgido oltremodo, e non valicabile, senza pericolo. Serviva a questo fiume di ponte una sola trave quasi rotonda, racomandata a due ammassi di pietre delle rive opposte, raccolte così, senza calcina, per cui si rendeva inutile, anzi pericoloso il prevalersene anche in tempo di està. Sopra di questa trave co’zoccoli a' piedi passò il nostro Fr. Umile con tanta prontezza e leggiadria, che sembrò più tosto che volasse sopra quell'acque, con istupore indicibile di quanti furono presenti al successo.
Con un altro portento volle anche glorificarlo il Signore in tutto il corso della di lui vita, e fu appunto, che viaggiando egli sempre a piedi, e per luoghi paludosi, ed in tempo d'inverno per istrada impraticabili, tutte piene di fango e di loto, non s'imbrattò giammai le piante, nè si vide mai la di lui tonaca succida di qualche lordura. Le acque del cielo lo rispettarono di continuo, per cui era cosa già a tutti palese, che viaggiando F. Umile, nell'atto che il cielo scaricava una poggia dirottissima, questa non ardiva di avvicinarsi al nostro servo di Dio: e laddove gli altri suoi compagni ritirati in convento, o in qualche casa di divoto albergatore, dovevan col fuoco rasciugarsi dall'acqua, un tal rimedio era sempre inutile per il nostro servo di Dio, giacchè venne sempre rispettato dagli elementi.
Se per motivo di carità o d'ubbidienza, spediva egli qualche persona in qualche luogo, e per lo tempo piovoso e minacciante pioggia restìa mostravasi ai di lui voleri, assicuravalo subito di ogni esenzion di pericolo, e tanto appunto verificavasi. Un solo avvenimento, per motivo di brevità, comprova il mio detto. Venne il nostro servo di Dio chiamato dal Visitatore della provincia nel convento di S. Fili. Vi si condusse egli subito dal convento di Bisignano, dove trovavasi di località, con un terziario chiamato Fr. Tommaso. Doveva questi ritirarsi la sera nel detto convento di Bisignano, per un affare premuroso; ma sciogliendosi il cielo in una dirottissima pioggia, aveva già depost'ogni pensiero di ripigliare il fatto cammino. L'animò però il nostro Fr. Umile al ritorno, assicurandalo della divina assistenza, per cui senza frappor dimora diede principio al suo viaggio. Mirabil cosa! La pioggia su dirotta e continua, e l'accompagnò per lo spazio d'otto miglia italiane, ma neppure una gocciola di acqua cadde sopra di lui. Stupì egli, alla veduta di portento sì raro, e stupirono ancora tutt'i religiosi del convento nel vederlo di ritorno, favorito da Dio con una grazia sì grande, per le preghiere, ed orazioni del nostro Fr. Umile.
Ben per tempo venne il nostro servo di Dio graziato del dono dell'estasi, e de' ratti, da' quali la sola voce dell'ubbidienza lo riscuoteva. Or queste in lui furono continue, e furono sorprendenti. Era cosa usuale vederlo estatico a' piedi degli altari, nel coro, per i dormitorj, nelle officine del convento, e per le strade: per cui non potrebbesi decidere con fondamento, se in tutto il corso della sua vita fosse stato più il tempo in cui visse alienato da' sensi, o quello in cui perfett'uso facesse de' sentimenti suoi. Un giorno d'està zappando nell'orto del convento di Cosenza, al sentire il tocco della campana, che indicava l' elevazione dell' ostia nella messa conventuale, venne con tutto il corpo, e la zappa rapito in Dio più d'otto palmi sopra la terra, ed in tal atteggiamento durò sino all'ora di compieta. Nella chiesa del suo convento di Bisignano una delle volte si mantenne in estasi per lo spazio di ventidue ore intere, per cui molti lo credevano morto; ma la voce del superiore che lo riscosse, li fe' ricredere del loro inganno. Un'altra volta in Cosenza, mentre vi erano congregat'i frati della provincia per lo capitolo, volle il P. Giovanni Maria da Genova Visitatore Generale, far esperienza della virtù del nostro servo di Dio, di cui la fama penetrata era fin nella sua provincia. Lo chiamò infatti più volte in pubblico refettorio, e sotto varj pretesti lo caricò d'improperj, e lo trapazzò in varie guise. Incontrandolo per i dormitorj, lo trattava con voce sonora di frate ippocrita ed illuso. Ma il nostro servo di Dio, sempre uguale a se stesso tollerava tutto, con una ilarità di volto indicibile, indizio indubitato della sua tranquillità interna, e per conseguenza della sua salda, e vera virtù. Quindi avendolo incontrato nel chiostro una mattina gli ordinò che senza sentirsi messa fosse andato a zappare nell'orto fino a nuovo suo ordine. Senza smarrirsi, ubbidi subito il nostro Fr. Umile; ma che! al suono della campana, che indicava l'elevazione della sacr'Ostia nella messa conventuale si vide già estatico colla zappa in mano, elevato da terra quasi all'altezza di un cipresso a lui vicino.
Accorse a tal notizia quasi tutta la campagna, e quanti altri secolari si trovavan in quell'ora nel convento, e dopo aver lodato il Signore, sempre mirabile ne' servi suoi, e pianto per tenerezza, osservarono, che al semplice comando dell'ubbidienza ritornò in se stesso, e prosegui a zappare il terreno. Comprese allora di qual calibro fosse la virtù di Fr. Umile il visitatore generale, e per appagare la sua divozione, lo volle per compagno nel resto della visita, in dov'ebbe un largo campo di conoscere in quante maniere il Signore diffuso si era in seno a quest'anima avventurata, e prediletta.
Un fatto quasi simile al narrato fin quì l'accadde nel convento di Dipignano, e di Pietrafitta. Ma dove non si vedeva estatico il nostro servo di Dio? Veniva però notato, che nel corso della di lui estasi, ora vedevasi allegro, ora pallido e lagrimante, ora si scioglieva in lagrime, ora prorompeva in esclamazioni lodando la Divina bontà, o implorando la Divina misericordia a proporzione, cred'io, di quanto si compiaceva il Signore di fargli conoscere in tal tempo che intromettevalo nella cella vinaria della Divina carità sua, e l'inebbriava con quel mistico vino, di cui è proprietà essenziale produrre casti, e santi pensier’in un cuore pudico, e scevro totalmente d'ogni terreno affetto.
Or il complesso di tutte le narrate cose, col dippiù che si tace, per riferirsi altrove , e l'esattissima osservanza che osservavas'in esso del professat'istituto, era quel dolce festino , diciam così, che muoveva i cuori di tutti a venerarlo e riverirlo qual santo. Tal'era per verità il nome, con cui veniva distinto dagli altri frati dovunqu'egli dimorasse. Si comprende adesso il perchè si affollasse la gente nel vederlo passare per le strade, e cercasse di appagare la propria divozione, baciando il di lui abito, e raccomandandosi alle di lui preghiere. Posso dunque ripetere, in commendazione del nostro servo di Dio, quanto disse dell'Apostolo S. Paolo il Gran P. S. Giancrisostomo. Ecco un uomo il quale dovunque si porta, serve per trionfo dell'Onnipotenza Divina. Mio Dio, quanto siete mirabile ne' servi vostri!
Capitolo V
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Si porta in Messina, ed in altri luoghi della Sicilia. Sua pazienza inalterabile nel tollerare le altrui calunnie. Protezione del Cielo, lo scampa dalla morte.
Se il Visitatore generale di quel tempo P. Giovanni Maria da Genova, come si è narrato nel Capitolo precedente, volle far esperimento della virtù del nostro Fr. Umile, mettendola in contrasto colle più vive ed umilianti mortificazioni; avendola però riconosciuta per massiccia, e di sincero conio, non deve recarsi meraviglia, se concepisse per lui non solamente un affetto particolare, ma puranche una venerazione distinta. Quindi volle seco condurlo nella Sicilia, per avere la consolazione d'averlo vicino nel suo disimpegno, ed implorare nelle occorrenze l'ajuto delle sue orazioni presso il Signore. Il viaggiare del nostro servo di Dio fu al solito un intreccio continuato di strepitosi portenti. Le sue estasi erano continue, e il più delle volte camminava estatico colle braccia e cogli occhi elevati verso il Cielo. Le acque de' fiumi si dividevan per mezzo, appena avvicinavasi per guardarle il nostro Fr. Umile. Le paludi, gli sterpi, e le spine, nè imbrattavano, nè offendevano le sue piante. In somma quanto di portentoso abbiam narrato nell'antecedente capitolo, tutto si vide continuato in tutto il corso della vita del nostro servo di Dio.
Strepitosa fu l'estasi, nella quale venne elevato in Dio, nella Chiesa del suo convento della città di Catanzaro. Mentr'egli orava innanzi all'Altare maggiore della medesima, alzando gli occhi ad una divota Immagine di Maria, slargando le braccia che teneva incrocicchiate al petto, e divenuto tutt'acceso di volto, anzi raggiante, si vid' elevato quasi otto palmi sopra il pavimento, con isbalordimento indicibile di tutte quelle persone, che furono spettatrici. Durò tal estasi per lungo tratto di tempo, per cui, alla notizia del portento si riempì la Chiesa in maniera, che non fu possibile ai Religiosi di ricondurlo nella cella, riscosso dall'estasi al comando del superiore: ma furono costretti a rinserrarlo con grave stento in una cappella di detta chiesa munita di forte cancello di legno, per non farlo restar soffocato da quella calca di gente, quanto divota, altrettanto indiscreta, che trinciandogl’in più parti l'abito ed il mantello, l'avevan ridotto, quas’ignudo. Voleva Iddio però dovunque glorificarlo, e perciò, appena posto in sicuro in detta cappella a vista di tutti, istantaneamente si vide come prima, colla tonaca e col mantello intero, e nuovamente elevato in Dio, ed estatico, col volto fregiato d'una beltà di Paradiso. La notizia di cose sì straordinarie e prodigiose, divulgandosi per tutta la città di Catanzaro, pervenne anche all'orecchio di Monsignor Vescovo, il quale spedì subito al convento il suo Vicario Generale, a fine d'accertarsi coi propri occhi della verità. Stimò questi cosa ben fatta, lasciando da parte ogni altro mezzo, forse più proprio a conoscere, se da Dio, o da diabolico inganno nascessero gli estasi del nostro Fr. Umile di abbruciargli le mani, e le piante con torce accese, e di trafiggerlo ancora in varie parti del corpo con ferri aguzzi. Barbaro sperimento per verità! Insensibile a tutte queste dolorose prove il nostro servo di Dio, non in altra guisa venne a ritornare nell'uso perfetto dei sensi, se non che ad un semplice cenno dell'ubbidienza. Questa fu quella, che lo guidò nella cella destinatagli, dove lo seguì ancora il lodato Vicario generale, il quale vedendo da una parte il nostro servo di Dio istantaneamente, guarito delle scottature, e delle ferite , ed ascoltando dall'altra le sensate risposte, che prontamente dava alle di lui domande, far non potè a meno di non esclamare pieno di meraviglia: Digitus Dei est hic!
Questi portenti nel nostro Fr. Umile si videro continuamente da Dio operati nel corso di questo viaggio, per cui sarebbe l'istesso, che tessere un'inutile tiritera di estasi, e rapimenti di spirito, volendone discorrere di vantaggio. Tacer però non si può quel gran miracolo del nostro servo di Dio operato nel Faro, o canale di Messina. Assaliti da una fierissima sete non pochi passeggieri, ch'erano nel medesimo legno, che conduceva Fr. Umile, desideravano ardentemente di giunger presto a terra per dissetarsi, giacchè per un accident'inaspettato, neppure una stilla d'acqua dolce rimasta era nei vasi soliti della barca. Inteneritosi'l nostro servo di Dio al penoso languore di que' passeggieri, fece riempire d'acqua marina un grosso vaso di creta, e facendovi sopra il segno della santa Croce, lor l'offerì, assicurandoli ch'era dolce, e freschissima nel tempo stesso. Dolce e freschissima divenuta era di fatti, per cui e gli assetati, e gli altri ancora vollero assaggiarla, per partecipare in qualche maniera del gran prodigio. Qual venerazione concepissero per lui i marinai, e lutti gli altri passeggieri, non è facile il poterselo quì descrivere, è facile bensi il poterselo ideare chiunque legge. Quindi, giunti appena a terra, divulgarono per tutta la città la santità del nostro servo di Dio, per cui, siccome nelle Calabrie era dapertutto acclamato per santo, così per l'appunto successe in Messina, ed in altri luoghi della Sicilia, dove in compagnia del sullodato Visitatore generale del suo ordine si condusse. Continue le sue estasi, spesse le sue profezie, giornalieri, per così dire, i prodigj che per suo mezzo l'Onnipotente operava, rendevano il di lui nome dapertutto glorificato. Le virtù poi, ch esercitava di continuo, e l'esattezza mirabile nell'adempimento della regola del suo Serafico istituto, era per i Religiosi di quella Provincia un efficace motivo, onde animarli a correre con vigore la strada della perfezione vangelica. La sola veduta del nostro Fr. Umile mentre camminava per le strade, o assisteva in chiesa, o nelle officine del convento, eccitava in chiunque osservavalo, spirito di compuzione, e di raccoglimento.
Ma oh Dio, quanto è grande la malvagità dell'uomo! Quando inferocisce una piccola passione, se non viene a tempo raffrenata, e depressa! Fra gli altri Religiosi, che accompagnavano il sopradetto Visitatore, si ritrovava un certo Frate laico, detto Fr. Domenico di Cutro, Villaggio situato nella Calabria Ulteriore. Osservando questi gli applausi che si tributavan da tutti al nostro servo di Dio, e la venerazione che riscuoteva da ogni ceto di persone, diede luogo a quella malnata passione, che tiranneggiò tanto il cuore de'Scribi, e Farisei un tempo contro di Gesù Cristo. Incominciò il tarlo dell'invidia a roderlo, per cui guardando con dispetto un suo confratello Religioso, il quale, se non era suo nazionale, era al certo dell'istesso suo istituto, e coll'eroismo del suo vivere, illustre rendeva il suo medesimo abito. Quindi incominciò a motteggiarlo, e deriderlo, e di ciò non contento, cercava di screditarlo in mille guise presso di tutti. Era a pieno giorno di tutto ciò il nostro servo di Dio, e lungi dal risentirsene, volle anzi vendicarsene all'uso de' Santi, beneficandolo cioè in mille guise , e moltiplicando per esso le sue preghiere presso Iddio. Per tutto il tempo, che il sopralodato P. Visitatore dimorò in Messina, ed in altri conventi di detta Provincia, la persecuzione di detto perverso Frate contro il nostro Venerabile, fu nascosta, e quasi un fuoco sotto cenere. Appena quello però parti, in tutto il tempo che si trattenne, per ordine espresso de' suoi superiori il nostro' Fr. Umile, scoppiò quest'incendio in maniera, che si renderebbe a credersi incredibile, se non venisse contestato nelle maniere più solenni da' testimonj degnissimi ne' processi Apostolici. Lo calunniò infatti presso i superiori della sua Provincia, ed escogitò diabolicamente la maniera di far credere a questi, che avesse continuamente sparlato della loro condotta in Messina, e poste in ridevol'aspetto i costumi de' suoi nazionali. Lo calunniò anche di proprietario. Questo è poco. Dovendo ritirarsi nella sua Provincia il nostro servo di Dio, non s'arrestò questo suo confratello invidioso, dall'insidiarlo nella vita. Cercò due volte d'ucciderlo, e specialmente nel convento di Nicastro. Una sera sotto un finto pretesto lo condusse al finestrone del dormitorio superiore, e tentò di precipitarlo da quell'altura, per levarselo d'avanti. Iddio però in tutti questi pericolosi cimenti lo salvò con un miracolo. Fece comparire a fianco del nostro Fr. Umile due giovani armati, i quali incutendo spavento al Frate perverso l'arrestavano dalla sua malvagità.
La compagnia di questi giovani prodigiosi, visibili soltanto al persecutore di Fr. Umile, lo scortò fino al suo ritorno nella sua Provincia, e propriamente sino al convento di Bisignano sua patria, dove felicemente pervenne, arricchito sempre da Dio di celestiali carismi, per cui malgrado la malvagità altrui, era egli l'oggetto della meraviglia, ed universale venerazione. Venerazione, e rispetto tale, che dilatandosi per tutto il Regno, giunse anche sino al trono del successore di Pietro, come nel seguente capitolo verrà narrato.
Prima, però di passar oltre, non voglio lasciar di avvertire chi legge, a non volersi prendere scandalo, per lo sopranarrato avvenimento. Anche i Religiosi sono uomini, impastati di fango, e soggetti, come il resto dell'uman genere a tutte le passioni. In omni communitate, diceva il P. S. Agostino, para te invenire fictos. Questo santo Dottore, pria di essere Vescovo, fondò vicino ad Ippona un Monastero. Fiorirono in questo molti uomini celebri per santità, e per dottrina S. Possidio uno di essi, ne conta dieci, che vennero inalzati alla dignità Vescovile, e dilatarono per tutta l'Africa la vita Monastica. Ma insieme con questi, sette almeno se ne contano, che al tempo di S. Agostino uscirono dal Monastero, e divennero pessimi. Per consolar se stesso, e riprendere la malvagità di coloro, che scandalizzati per tali cadute , parlavano male della vita Religiosa e monastica; diceva così Io son uomo, e vivo fra gli uomini, nè ardisco arrogarmi questo privilegio, che il Monastico sia migliore dell'Arca di Noè, dove fra otto persone, vi fu un reprobo; nè migliore del Collegio stesso di Cristo, nel quale undici buoni dovettero tollerare un Giuda perfido, e ladro. Diceva altresì, che siccome non aveva egli conosciuto persone migliori di quelle, che ne' monasteri avevano seriamente atteso alla pietà; così non aveva trovato peggiori di quelle, che ne' Monasteri avevano prevaricato.
Capitolo VI
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Viene chiamato in Roma da Gregorio XV, e da Urbano VIII. Edificante sua dimora in quella Capitale del mondo Cattolico. Regge la sua virtù ad ogni prova.
Proseguiva a tutto potere il cennato Fr. Domenico di Cutro ad esercitare la pazienza del nostro servo di Dio, per cui, permettendolo così il Signore, veniva spesso da qualche suo Superiore e Religioso graduato, in varie occasioni mortificato anche in pubblico; non ostante que prodigj, che continuamente operava l'Altissimo in attestazione della santità eroica di questo fedele suo servo. La condotta di Dio nel lavorio della santità è sempre mirabile, e sempre imprescrutabili sono le vie della divina sua provvidenza. Se io vedo bersagliato un uomo giusto, diceva il P. S. Agostino, non ostante le pruove continue ed innegabili, che questi dona di sua giustizia, io punto non mi meraviglio. I prodigi operati dal figlio di Dio nella Palestina, erano segnalati ed innegabili, anche presso coloro, che perseguitavano a morte; qual meraviglia, se i veri seguaci di quest'uomo Dio siano sottoposti a si strane vicende? É tutto vero però, che può egli quando vuole, trarre dalle tenebre più dense e palpabili una luce brillante; e da crudi sassi gli eletti figli di Abramo.
Fra l'altre calunnie, divulgate contro il nostro Fr. Umile dal cennato Religioso di Cutro, non fu l'ultima quella, ch'era stato, per la sua stravagante condotta, malveduto da’ Religiosi di Messina, e degli altri conventi di quella Provincia, e che avevano ringraziato Iddio nel vederlo partire da loro, di ritorno in Calabria. Ma oh quanto fu grande del calunniatore la confusione ed il cordoglio, nel divulgarsi per Bisignano , anzi per tutta la Provincia la certa notizia , che i Reliosi di Messina, rapiti dalla santa conversazione del nostro Fr. Umile, avevano richiesto al Ministro generale dell'ordine, coll'impegno di personaggi riguardevolissimi, di farlo incardinare perpetuamente alla loro provincia, per quindi aver la sorte di sempre restar edificati dalla sua esemplare condotta, ed essere altresì spettatori, e testimonj di que’portenti, che Iddio si compiaceva così spesso di operare per mezzo di questo fedele suo servo! Era già disposto il Ministro generale a compiacere quei religiosi; ma diversi da quelli degli uomini erano i disegni di Dio.
La notizia de' doni segnalati, onde andava straricco questo servo del Signore, era già pervenuta alla capitale del mondo Cattolico, per cui si mosse il sommo Pontefice di quel tempo Gregorio XV l'anno 1622 di chiamarlo in Roma. Per mezzo del suo Nunzio alla Real Corte di Napoli, venne imposto al nostro Fr. Umile in nome del Santo Padre, di conferirsi nell'alma città. Fu un colpo sensibile all'umile servo di Dio un tal comando. Fu anche sensibile a tutta la Provincia, sul timore non mal fondato, di doverlo perdere. Egli però, mosso da quello spirito di profezia, che fu sempre a lui familiare mentre visse, assicurando i suoi religiosi e concittadini, che avrebbe deposta la sua salma mortale nel convento della sua patria, s'incaminò verso Roma, non provvisto d'altro, che di un rozzo bastone, e d'una gran fiducia verso il suo Dio.
Per quanto procurass'egli, nel corso di questo suo viaggio, di tenersi nascosto e celato, non potè però evitare gli applausi delle popolazioni, che incontrò nel tratto del suo cammino, le quali al solo vederlo, concepivan per lui una venerazione grandissima. Egli al solito, viaggiava sempre estatico; egli si vedeva, specialmente negli alberghi la notte, or sollevato col corpo da terra, or tutto circondato di splendori. I doni di profezia e de' miracoli l'accompagnavano dovunque: qual meraviglia, se in ogni parte riscuotevo applausi ed ossequj segnalati?
Giunto alla santa città, si presentó al suo Superiore generale, il quale passandone subito la notizia al sommo Pontefice, di suo ordine venne alla sua presenza introdotto. Restò talmente penetrato da cordiale affetto verso il nostro servo di Dio il Sommo Pontefice Gregorio XV, al semplicemente vederlo, che come si espresse poi co'suoi familiari, non aveva giammai goduto il suo cuore in tutt'il corso della sua vita, consolazione simile. Volle intanto, che fosse posto di località nel convento di S. Francesco a Ripa, e lo licenziò, imponendogli, che spesso si conferisse alla sua presenza e raccomandasse con calore al Signore tutt'i bisogni di Santa Chiesa. D'ordine del Pontefice dovevano i Padri di quel convento invigilare sulla condotta del nostro Fr. Umile, e cercare in tutt'i modi, di ben provare, se il di lui spirito foss'esente d'ogni diabolica illusione; e di tutto dovevan tenerlo puntualmente riscontrato. Il nostro servo di Dio, siccome nella Calabria e nella Sicilia dato aveva certe indubitabili prove di sua perfezione Religiosa, continuò nella stessa guisa a rendersi esemplare di ogni virtù in quella gran capitale del mondo cattolico. Attestano i PP. di quell'osservantissimo chiostro, che ravvisando nella persona di Fr. Umile la stessa persona del Serafico Patriarca Francesco, era per loro un oggetto di continua meraviglia. Le sue estasi eran come per lo addietro continue, specialmente nel ritirarsi ad orare in quella stanza, abitata un tempo dal suo Fondatore, e ridotta poi a Cappella, dove si venerano innumerabili reliquie. Ivi si osservava di continuo, non solamente estatico, ma anch'elevato da terra. Vennegli perciò proibito d'assistere in Chiesa alle sacre funzioni, per non eccitare divoti tumulti in que' rapimenti di spirito, che in tale luogo, più che altrove, evitar non poteva.
Colle mortificazioni più vive e pubbliche, ed in cento, e mille, modi fecero sperienza que' padri della virtù di Fr. Umile, ma conobbero ad evidenza, essere questo degno lor confratello, totalmente ripieno dello spirito del Signore. Di questo spirito animato infatti, or prediceva le cose future, or penetrava l'altrui interno, e scioglieva ancor le difficoltà più difficili intorno alla sacra Bibbia, ed alle Teologiche discipline, come appresso verrà narrato: era insomma da tutti venerato, e riverito qual Santo.
Giubilava a tali notizie il sommo Pontefice, e ringraziava di cuore il celeste Padrone della vigna vangelica, il quale in ogni stagione, ed in ogni luogo raccoglie frutti saporosi d'eterna vita, onde far conoscere quel carattere di santità, che nella sola sua Chiesa, può rinvenirsi. Voleva perciò spesso spesso conferire da solo a solo col nostro servo di Dio; e veniva notato da' suoi Religiosi, che ogni qualvolta si ritirava egli dall'udienza del Papa, si vedeva più del solito annichilito, e penetrato dalla cognizione del suo niente. Assalito intanto da grave infermità il sommo Pontefice, fece temere di sua vita; tanto più che i medici lo davano quasi per ispedito. Chiamato a palazzo il nostro Fr. Umile, disse chiaramente al santo Padre, che sarebbesi riavuto da quell'infermità, come verificossi col fatto nel giro di pochi giorni; per cui, anche fra i cortigiani acquistò il nome di Frate Santo. Non così avvenne però l'anno seguente, in cui malgrado il prognostico de' medici, che giudicavan leggiera l'indisposizione del Pontefice, venne da lui dichiarata mortale; per cui cessò veramente di vivere nel mese di luglio dell'anno 1623. Fu sensibile per lo nostro servo di Dio la morte di un tanto Pontefice, da lui sommamente riverito, e venerato per quelle rare qualità, che l'adornavano; ma soprattutto per lo gran zelo che dimostrato aveva di dilatare da per ogni dove la fede cattolica romana, per cui profuso aveva delle somme ingenti, e tollerato indicibili fatighe.
Dopo la morte del sopralodato Pontefice, il nostro servo di Dio proseguì a dimorare nel cennato convento di S.Francesco a Ripa, non uscendone per altro fine, che per visitare le sette Chiese, la quale visita, per evitare il concorso della gente, con espressa licenza dei suoi superiori praticava in tempo di notte in compagnia di un altro Frate laico molto divoto. Proseguì il Signore a renderlo glorioso in questo santo esercizio; conciosiachè praticandolo in tempo di pioggia dirottissima, ed attraversando strade fangose ed impraticabili, nel visitare le Chiese poste fuori le mura della santa Città, tanto esso Fr. Umile, quanto il suo compagno, non vennero giammai lordati dal fango, o bagnati dalla pioggia. Alle volte si vedeva il corpo del primo tutto irradiato di splendori, e spesso ancora camminava estatico, e quasi da terra sollevato. Si occupava poi nel chiostro in tutti quegl'impieghi addossatigli dall'ubbidienza; ma non dava passo fuori del chiostro se non per espresso comando de' suoi superiori.
Eletto sommo Pontefice il Cardinal Malfeo Barberini, che il nome assunse di Urbano VIII, il quale conosciuto aveva ed ammirato la santità del nostro Fr. Umile, volevano alcuni religiosi ch'egli si presentasse al novello Pontefice. Ributtò un tal consiglio il nostro servo di Dio, che anzi procurò a tutto potere di ritirarsi nella sua Provincia, lontano dai tumulti della corte, e del mondo. Dopo il giro di varj mesi ottenne il sospirato intento, e col solo equipaggio di un Crocifisso, e di un bastone, s'incamminò verso il Regno di Napoli. Nella nostra Partenope dovè fermarsi per ordine de' suoi superiori, i quali per compiacere la nobiltà Napoletana, ed altri personaggi distinti, obbligavano il nostro Fr. Umile a spesso uscire di convento, con sua indicibile pena, a motivo di quelle continue dimostrazioni di venerazione ed ossequio, che si praticavano alla sua persona. Ne piangeva egli dirottamente, e se ne lagnava amorosamente col suo Dio, attribuendo ai suoi peccati quella vita dissipata, com'egli stesso esprimevasi, che faceva lontano dalla solitudine Religiosa, e dalla quiete del chiostro. Si lusingava però di dover fra loro ritornare alla sua provincia; ma non volle così presto il Signore renderlo consolato. Conciosiachè cercando conto di sua persona ai superiori di Roma il nuovo Pontefice Urbano VIII, e sentendolo ritornato in Napoli; per ordine espresso del suo Nunzio Apostolico in quella Corte gli fu imposto, che di bel nuovo si conferisse nella santa Città. Non così addolorato rimane un nocchiero, nel vedersi trasportato in alto mare, mentre lusingavasi d'essere già vicino al porto; come sopraffatto da indicibile afflizione restò il nostro servo di Dio, all' inaspettat'ordine del sommo Pontefice. Uniformandosi però ai divini voleri, con prontezza fece ritorno a quell'alma Città, dove venne accolto da’suoi Religiosi, con trasporto di giubilo, e di sant'allegrezza. Presentatosi a piedi del sommo Gerarca, ricevè da questi i più affettuosi segni di Apostolica benignità, e non faceva passar settimana, senz'ammetterlo a lunga, e familiare udienza. Per non infastidire chi legge, ci contentiamo di riferire soltanto, ch'egli rifiutò sempre coraggiosamente ogni offerta fattagli dal sommo Pontefice, anche a titolo di carità, per gli suoi congiunti di Calabria; e predisse allo stesso, che il suo nipote, il principe Barberini, dalla Principessa Colonna sua sposa avrebbe avuto prole, come viddesi avverato.
Per lo spazio di quasi sette anni trasse egli la s?a dimora in Roma; ed in tal tempo venne dal Signore visitato con due infermità gravissime. Non solamente tollerò egli con indicibile pazienza la gravezza del morbo, ma diede ancora in tali circostanze esempj luminosissimi di sua eroica perfezione. Penetrato dalla cognizione della sua miseria, attribuiva ad un tratto della divina misericordia i malori, che lo affliggevano, e le febbri ardenti, che lo scottavano, come cose da Dio ordinate al suo ravvedimento; e prometteva perciò al Signore colla sua grazia di mutar vi?a. Accompagnava quest'espressioni, con uno profluvio di lagrime; indizio certissimo, che quanto diceva, lo diceva col cuore, e non a fior di labbro. Richiesto del motivo, per cui non si lagnasse, rispondeva con gran fervore: e come posso lagnarmi, alla considerazione di un uomo Dio crocifisso per noi, che fra tanti spasimi non apri bocca? Ringraziava poi con effusione di cuore tutt'i Religiosi, che lo assistevano, e si protestava, che restava edificato al sommo, per la carità che praticavan con lui, non di altro meritevole che di essere buttato in un letamajo, per le sue indegnità. In somma in tutto il tempo del suo soggiorno in Roma potè essere riguardato come un eccellent'esemplare di perfezione religiosa, per cui era riverito, e venerato da tutt'i suoi Religiosi, e dai personaggi più distinti di quell'alma Città. E quantunque in tal tempo fiorissero in detta Città tante anime ricche, e fregiate di virtù non ordinaria; il nostro Fr. Umile però risplendeva fra queste in quella guisa, che il sole risplende fra le stelle. Soleva perciò il lodato sommo Pontefice Urbano VIII. chiamarlo: uomo pieno dello spirito di Dio. In tal espressione proruppe, allorchè avendogli presentato il nostro Fr. Umile un Religioso della stessa sua provincia di Cosenza, a lui congiunto per sangue, che portato si era in Roma per desiderio di vederlo; e venendo pressato dal Pontefice a richiedergli qualche grazia per la sua famiglia povera, altro non richiese, che la Pontificia benedizione, e qualche indulgenza. Un distacco sì eroico rapì il cuore di quell'illuminato Pontefice, e maggiormente si accrebbe in lui il concetto della santità vera e sublime del nostro Venerabile Fr. Umile, quando sel vide buttato a piedi, che implorava colle lagrime agli occhi la grazia di potersi ritirare nella sua Provincia, per ivi disporsi a ben morire. Quantunque con rincrescimento, pure volle compiacerlo il Pontefice; imponendogli pero di averlo sempre presente nelle sue orazioni, come ben volentieri se ne compromise il nostro servo di Dio.
Capitolo VII
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Ritorna alla sua Provincia, e da per ogni dove viene accolto, e riverito qual Santo. Straordinarie dimostrazioni, che si praticano alla sua santità.
Con quel desiderio, che un ferito cervo corre verso il fresco rivo per dissetarsi; così il nostro Venerabile Fr. Umile s'incaminò di ritorno alla sua provincia, per ivi sequestrato dal consorzio delle creature, tutto immergersi nel dolce pelago delle celesti e divine meditazioni. Volle però, prima di abbandonare quella santa Città, non solamente visitare le sette Chiese, (divozione da lui praticata, quasi ogni giorno, come si è narrato di sopra), ma anche tutt'i luoghi santi della medesima, per ottenere da Dio, come diceva, mediante l'intercessione de' santi, il perdono de' suoi peccati, e la grazia d'una buona morte, alla quale, diceva chiaramente, d'essere vicino. Appagata così la sua ardente divozione, si licenzia da'suoi Religiosi Confratelli del cennato convento di S. Francesco a Ripa per non rivederli più in questo Mondo. Genuflesso in pubblico Refettorio, cerca in primo luogo perdono a tutta quella comunità, per gli scandali dati alla stessa colla sua irreligiosa condotta, e passa quindi a ringraziarla di quanta carità praticato aveva alla sua persona, non di altro meritevole, che dell'inferno. Un azione si edificante trasse calde lagrime dagli occhi di que' Religiosi, i quali invidiavano santamente la Provincia di Cosenza, dove si portava a risplendere nuovamente quest'astro luminosissimo di cristiana serafica perfezione.
E quì mi permetta il leggitor divoto, che per non rendere la presente storia stucchevolmente, ed inutilmente prolissa, taccia in questo luogo, quanto altrove si è detto intorno ai viaggi del nostro servo di Dio; il passaggio de' fiumi a piedi asciutti; il non imbrattarsi, malgrado le vie fangose, per dove passava; il non cadergli addosso neppure una gocciola d'acqua, non ostante la pioggia dirotta, che scendeva dal Cielo; i suoi rapimenti di spirito, e l'estasi quasi continue che si ammirarono sempre nel corso della vita del venerabile Fr. Umile di Bisignano. Qual bisogno dunque vi è di rammentare spesso questi doni sopranaturali, di cui andò straricco dagli anni giovanili di sua vita, fino alla morte? Sarebbe lo stesso, che costringer chi legge, a ritrarre della noja, e forse della stizza, da una cosa non ad altro fine ordinata, che al pabolo, e sollievo nel tempo medesimo dello spirito. Supponga dunque chi legge, che un cumolo sterminato di grazie gratis datae, come si esprimono i Teologi, accompagnò sempre la vita del nostro servo di Dio; e quindi ne inferisca, che a tutta ragione commossi i Popoli, praticavano pubblicamente inver dello stesso gli atti più teneri e sinceri di divozione, e di rispetto: onde i suoi viaggi eran sempre, per dir così trionfanti, e gloriosi. Pubbliche dimostrazioni di rispetto praticate furono al nostro Fr. Umile in Napoli, ed in Salerno, non solamente da' suoi Religiosi, ma anche da altri personaggi ragguardevoli. Non si sa il come: spargendosi la notizia del di lui passaggio per qualche luogo, si vedeva la gente correre in folla ad incontrarlo, per vederlo, ed aver la sorte di baciargli il sant'abito. E vero che spesso spesso questa divozione diventava indiscreta; giacchè tagliandogli a pezzi la tonaca, ed il mantello lo lasciavano quas'ignudo; ma è vero altresì, che il Signore operando su questo suo servo gli più spessi, e segnalati prodigj, istantaneamente diveniva la tonaca, ed il mantello intero. Portento segnalatissimo, che videsi replicato di continuo sopra il nostro servo di Dio.
Ad evitare tutti questi applausi, troppo sensibili al cuore umilissimo del nostro Fr. Umile, cercò egli nel suo viaggiare, e specialmente in quest'ultimo, di allontanarsi dalla strada battuta e d'intraprenderne qualche altra non tanto praticata da passeggieri; ma quanto più cercava egli di nascondersi dagli occhi degli uomini, tanto più osservavasi, che il Signore era impegnato a pubblicare da pertutto la di lui santità, e quindi a renderlo oggetto dell'universale venerazione. S'imbarcò finalmente per la Calabria, a questo fine puranche di allontanarsi da ogni applauso, e da ogni ossequio mondano. Ma che? Quantunque se ne stasse, come rannicchiato in un angolo della feluca, pure gli splendori, che tramandava dal volto, e quel raccoglimento estatico, che lo accompagnava dovunque, lo resero rispettabile ai marinaj, ed ai passeggieri. Suscitossi nel viaggio una fiera burrasca nel golfo di Policastro, che faceva temere di naufragio: ma appena il nostro servo di Dio invocò la Vergine colle litanie, subito facta est tranquillitas magna, per cui tutti per estro di divozione lo proclamarono santo. Quanto più il nostro servo di Dio cercava nascondersi dagli occhi degli uomini , e sfuggire di questi gli applausi e le acclamazioni; tantoppiù Iddio, che esalta gli umili, manifestava a tutti con segni straordinarj quel gran fondo di virtù, che custodiva in seno questo fedele suo servo, onde maggiormente glorificarlo. Questo è poco.
Volle il piloto approdare colla feluca alla spiaggia della Città della Scalea, non ostanti le ripugnanze che vi dimostrava il nostro servo di Dio, prevedendo forse quanto ivi doveva succedergli. Prevalse però nel piloto sopra la venerazione verso Fr. Umile, lo spirito dell'interesse; giacchè per smaltire alcune merci, volle ivi dar fondo col suo legno. Tanto di fatti eseguì. Prià però di avvicinarsi alla spiaggia, l'andò all'incontro la feluca del Principe, che si trovava nella Scalea, con ordin'espresso, di condurgli il nostro servo di Dio, giacchè pervenuto era a notizia di detto Principe, che doveva passare per quella spiaggia di ritorno alla sua Provincia. Ed ecco il nostro Fr. Umile, portato quas’in trionfo in quella città. Il Principe, e la Principessa infatti , accompagnati da tutti Gentiluomini, e dal Clero, nonchè da tutto il resto della popolazione, si fecero trovare alla riva del mare, ed appena il nostro servo di Dio pose piedi a terra, allo sparo di più mortaretti a questo fine ordinati, suonarono a gloria tutte le campane delle Chiese di detto luogo, e con suoni anche di varj strumenti musicali, lo accolsero come un Angelo del Paradiso. Genuflessi a terra il Principe, e la Principessa, vollero baciargli le mani; locchè praticando tutto il resto della gente accorsa, fu un miracolo, che non restasse soffocato dall' altrui indiscreta divozione. Indi si diedero a tagliargli l'abilo, ed il mantello, e se non veniva subito per ordine del principe custodito e difeso da una banda di soldati, l' avrebbero lasciato totalmente ignudo. Così mal ridotto nelle vesti, venne condotto nel palazzo del Principe, dove l'abito, ed il mantello nuovamente intieri, per cui esclamando tutti: miracolo, miracolo, il nostro servo di Dio restò alienato da' sensi, e sollevato in estasi quasi due palmi sopra il pavimento, dalla quale venne riscosso dalla voce dell' ubbidienza.
Due giorni dimorò il nostro servo di Dio nella Scalea, con indicibile consolazione del Principe, della Principessa , e di altri personaggi de' luoghi circonvicini, accorsi a questo fine di vedere un uomo tanto glorificato dal Signore, e per sentire dalla di lui bocca quei salutari avvertimenti, che incessantemente dava, a fine di animar tutti all'osservanza della divina legge. Riuscirono infatti tanto profittevoli, che non poche persone, da varj vizj contaminate, restarono compunte, e cambiarono sistema di vita.
Desiderava ardentemente il Principe e la Principessa, che avesse il nostro servo di Dio prolungato per più giorni la sua dimora nella Scalea. Non così però la sentiva Fr. Umile. Nemico com'era degli applausi, e delle acclamazioni de'popoli ed osservando che questi, con positivo rammarico del suo umilissimo spirito, alla giornata crescevano a dismisura, risolvè, come fece, di partirsene segretamente, e gli riuscì di giungere felicemente nella città di Paula, senza essere conosciuto da chicchessia. Così lusingavasi egli di proseguire il resto del viaggio, sino al suo convento di Bisignano. Iddio però altrimenti disposto aveva; conciosiachè, arrivato appena alla suddetta città, tutti quelli abitanti, spinti certamente da forza superiore, praticarono con trasporto divoto gli stessi atti di ossequio, e di pubbliche dimostrazioni di giubilo al nostro servo di Dio, che erano stati giorni prima praticati allo stesso nella Scalea. Senza saper come, si vide circondato dal Clero, dai Gentiluomini, e dal popolo tutto, che genuflessi per la strada che doveva fare, imploravano la sua benedizione e concordemente l'acclamavano per santo. Lo glorificò anche il Signore, come negli altri luoghi, colle solite estasi , e rapimenti straordinari, oltre ai prodigj e profezie, che verranno altrove rammentate.
Giunse finalmente all'amata sua patria, la quale a dir vero, restò quasi spopolata, per andare all'incontro del santo suo concittadino. Il suo ingresso nel convento di Bisignano fu un vero trionfo della virtù di Fr. Umile, il quale colla confusione, che leggevasele in volto, a motivo di questi applausi che riceveva, tutti opposti alle basse idee, che aveva di se stesso, accresceva maggior grandezza al trionfo medesimo. Quivi, come altrove, gli venne tagliato addosso per divozione il mantello, e la tonaca; ma in maniera così indiscreta, che arrivati erano a reciderla fino al ginocchio. Accorgendosi di ciò il suo guardiano, appena entrato nel chiostro, in atto di ammirazione esclamo: Fr. Umile, e come? Replicò subito il nostro servo di Dio: Per carità, o Padre, ed ecco istantaneamente, si vede la tonaca ed il mantello, come prima tutto intero, con indicibile sorpresa di tutti. Nell'inoltrarsi per gli dormitorj del convento, esclamo più volte: haec requies mea: parole, che indicarono chiaramente, che non doveva sortirne più sino alla morte, come diremo nel capitolo seguente. Questa condotta straordinaria, che volle tenere il Signore col suo servo Fr. Umile, ci fa conoscere ad evidenza, che egli è veramente quel Dio, che trova per eccesso di sua misericordia tutte le sue delizie coi figliuoli degli uomini.
Capitolo VIII
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Si avvicina al termine della sua vita mortale. Viene assicurato di sua salvezza eterna. Singolare maniera, con cui manifesta la futura sua gloria accidentale.
Prevedendo il nostro servo di Dio, che per l'avanzata sua etade, e per quel gran cumolo di varj malori che lo affliggevano, originati in gran parte da quelle penitenze orribili, colle quali fin dalla sua tenera età, senza intermissioDe , afflitto e straziato aveva l'innocente suo corpo, si protestò, di non volere in quel tempo che gli restava di vita attendere ad altro, che a disporsi, come conveniva, alla morte. Per un fine diverso , cooperò, a questo pio desiderio del nostro Fr. Umile il suo Guardiano, e Superiore. Conoscendo questi, che se usciva fuori del convento il santo Religioso suo suddito, si avrebbe tirato appresso tutta la gente, sempre anziosa di vederlo, per ammirare quell'estasi, onde con più frequenza, nell' avvicinarsi al suo termine, era graziato da Dio; volle che non mettesse più piede fuori la porta del chiostro: e fu sì fermo in tale sua risoluzione, che non volle rimuoversene alle più vive istanze di alcuni infermi ragguardevoli per condizione, e benefattori insigni del convento, che desideravano di essere visitati dal nostro servo di Dio, per ottenere, sua mercè sollecito ristabilimento da' loro malori. Riuscì graditissimo al venerabile Fr, Umile un tale divieto; perchè assai confacente al suo amore per la solitudine e per lo silenzio, in cui egli totalmente s'immerse, orando di continuo o nel coro, o nella cella, o nella cara sua grotticella. Ottenuta a questo fine dal superiore la licenza di potervi qualche volta pernottare; ivi appunto, più che altrove sfogava gl'interni ardori di carità, che l'abbruciavano il seno, e con esclamazioni veementi, cercava al suo Dio la grazia di presto essere sciolto da’legami del corpo, per quindi svelatamente goderlo in seno alla beata eternità.
Il tentatore maligno però, il quale in tutto il corso della vita esercitato aveva in varie e strane guise la virtù e pazienza del nostro Fr. Umile, sembrava che in quest'ultimo tempo non avesse altra premura ed impegno, che di straziarlo ed affliggerlo, specialmente la notte. Permettendo così il Signore, quasi ogni notte soprattutto quando trattenevasi nell'amata sua grotta del giardino, lo batteva crudelmente, e legandolo con una fune a somiglianza di un giumento, lo trascinava di quà, e di là. Ora con urli orribilissimi cercava di spaventarlo; ed ora presentandosi ai suoi sguardi, sotto la figura di qualche bestia feroce, in atto di avventarsegli addosso, per isbranarlo. In somma nulla lasciava in dietro, che avesse potuto recare della molestia e del disturbo al nostro servo di Dio: Inutili però riuscirono sempre i diabolici suoi sforzi; a terra caddero infrante le maligne sue macchine; giacchè tutto pieno di fiducia in Dio il Venerabile Fr. Umile, rendevasi superiore agli assalti ostili del tentatore maligno, il quale costretto era ogni volta a cedere ed abbandonare, pieno di confusione e di vergogna, il cam?? di battaglia al suo generoso nemico.
A misura che crescevano sopra del nostro servo di Dio gli assalti del demonio, crescevano ancora le infermità corporali, ed i malori. Se in tutto il corso del suo vivere fu soggetto a varj morbi, nell'ultimo anno però del viver suo, divenne un aggregato, o compendio, per così esprimermi, di varj e complicati malori. Era il suo stomaco tormentato da dolori spasmodici, specialmente nel gustare qualche poco di cibo. Non aveva parte di corpo senza la sua particolare impressione di dolore. Un umore acre serpeggiavali per le viscere, e quindi spesso spesso veniva assalito dal male di gotta, e da febbri ardentissime. Di giorno in giorno diveniva più estenuato dimagrito, che sembrava uno scheletro ambulante. Non rallentava per questo il solito tenore di vita rigida e penitente, praticato costantemente da lui fin dalla sua gioventù: che anzi sembrava, che ad altro non anelasse, che a maggiormente patire. Unito, ed abbracciato colla Croce di Gesù Cristo, non desiderava altro, che di sempreppiù esaltarla sotto il peso de’ patimenti e de’ dolori; voleva in somma nel suo proprio corpo adempiere ciò che mancava alla passione del Redentore, secondo la frase dell'Apostolo. Chi'l crederebbe? Col mezzo efficacissimo di una fervida, e perseverante preghiera, ottenne dal Signore la grazia di sofferire, pria della sua morte, le pene atrocissime del Purgatorio, come a'suo luogo verrà narrato.
Non cessava Iddio consolatore di coloro, che viver vogliono tra le afflizioni ed i travagli per suo amore, di versare in seno di questo fedele suo servo con affluenza le sue consolazioni celesti. Le angeliche melodie lo consolavano spesso nell'amata sua grotta, dov'ebbe la sorte di vagheggiare più volte l'amabilissimo Redentore, e la cara sua madre, in compagnia di varj santi del Paradiso. Favori sì segnalati seguivan per ordinario quei trionfi, ch'egli spesso riportava dall'infernale nemico, il quale, come si è detto, in tante strane guise assalivalo, per abbattere se fosse stato possibile il di lui coraggio e la sua virtù. Mesi prima del suo felice passaggio all' eternità elevato in ispirito, per lo spazio di più ore, venne a vagheggiare quella gloria che occhio umano non mai vide, e quella eredità cioè da Dio preparata e promessa a coloro, che qui in terra fedelmente lo servono. Quindi venne chiaramente a conoscere, che essendo per divina misericordia del numero de' predestinati, doveva fra poco entrare nel gaudio del suo Signore. Tale e tanta fu la consolazione del di lui spirito a notizia sì consolante, che ritornato in se stesso dall'estasi prodigiosa, non poteva saziarsi dal ripetere di continuo: Paradiso , Paradiso. Si vedeva tutto ansante guardare il cielo, aspettando con impazienza somma il tempo di adattarsi le mistiche ali d’inargentata colomba, a fin di volare colassù, e riposarsi in eterno.
Questo era il motivo, per cui parlava della futura sua gloria, con sicurezza non solo, ma anche con una franchezza straordinaria: e quasi tutto ciò fosse poco, in una sorprendente e singolare maniera manifestò le circostanze tutte di quegli onori, che doveva col tempo decretare alla sua memoria la nostra santa Cattolica Romana Chiesa. Il gran successo è deposto come siegue ne' processi apostolici, dalla stessa nipote del servo di Dio, chiamata Francesca Rossano. Pochi giorni prima di morire, mandò chiamandomi zio Fr. Umile: ed essendomi portata nella Chiesa della Riforma, lo trovai dietro il cancello dell'altare maggiore, dove essendomi accostata, mi disse: figliuola sappi, che tra dieci giorni mi chiamerà Dio benedetto nell'altra vita: ma tu non mi vedrai allora, perchè ti troverai inferma. E perchè nessuno dei miei parenti si troverà vivo in tempo, che piacerà a Dio di pigliarsi informazione della mia vita, se non che tu, e Tommaso tuo fratello; perciò voglio dirti, che le cose operate da me, per virtù della misericordia e bontà infinita di Dio, il quale ha volut'operare le sue magnificenze per mezzo mio, indegno servo suo, per essere peccatore più d'ogni altro, non vogliate palesarlo a persona alcuna, se non che, quando piacerà allo stesso Dio. Nasceranno in questa città di Bisignano due; uno che si chiamerà Francesco Locchi, e l'altro Giuseppe Cosentino: un altro è già nato, e si chiama Bernardino Castagnaro. Tutti e tre questi saranno Sacerdoti. Il primo ch'è nato, fara l'ufficio di Vicario e Giudice delegato dal Vescovo; il secondo sarà Promotor Fiscale in detta causa, ed il terzo sarà Notaro Apostolico, e servirà da Cancelliere in essa informazione. Tutto questo succederà da qui a quarantasett'anni, ritrovandosi Guardiano in questo convento, il P. Paolo delli Magli; ed il procuratore, ad istanza del quale si piglierà detta informazione, colla procura speciale, sarà il P. Antonio da S. Lorenzo, il quale non è ancora nato, e vi assisterà mandato a questo effetto dal P. Bernardino di Bisignano, oggi Chierico della Riforma, che si troverà in quel tempo in Roma, dopo essere stato procuratore generale e provinciale della provincia Romana, ed il P. Bernardino di Paterno. Allora, a maggior gloria di Dio, direte tutto ciò, e non dubitate, che non ve ne dimenticherete affatto. Allora dal detto Vicario e Delegato vi sarà dato il giuramento, e vi sarà fatto l'ordine , sotto ???? di scomunica Papale, di dover dire la verità. Dette tutte le riferite cose, il nostro servo di Dio esortando la sua nipote a vivere cristianamente la licenziò in nome del Signore, e si ritirò nella sua cella.
Un complesso di tante profezie chiare e distinte, colle circostanze più minute, venne a verificarsi in ogni sua parte, ne' tempi, e luoghi dal nostro servo di Dio predetti; per cui siam forzati, starei per dire, ed esclamare col Re Profeta: oh quanto è mirabile il nostro Dio ne'servi suoi! quanto imprescrutabili, e straordinarie le vie della Divina providenza nella santificazione delle anime! Amava con tenerezza il nostro Fr. Umile la sopralodata sua nipote Francesca Rossano, perchè arricchita di un'anima semplice, e dotata di un naturale tutto pieghevole alle impressioni della divina grazia. Volle perciò il Signore, che questa fosse la depositaria, per dir così, di tanti avvenimenti futuri, tutti ordinati alla glorificazione del santo suo zio. Mi piace perciò, prima di dar compimento a questo capitolo, di riferire quanto avvenne alla medesima poco dopo il ritorno del nostro servo di Dio da Roma. Si è detto di sopra, che per un'anno intero non uscì, per ordine del suo superiore, dal convento. Si portò un giorno alla porteria del Monastero, la detta sua nipote, in compagnia di altri congiunti, per vedere il santo suo zio. Scese egli di fatti, così volendo il suo superiore, e mentre, secondo il solito, esortava la nipote e le altre a servire Iddio, mossa questa certamente dalla sua semplicità, proruppe in queste parole: zio Fr. Umile, è vero, che voi siete un santo? se fosse vero sonerebbero le campane a gloria. Cosa mirabile! detto, fatto, le campane del convento sonarono a gloria, con maraviglia di tutt’i Religiosi; e specialmente del Guardiano, il quale si condusse subito al campanile, per domandare il motivo, per cui venivan sonate in un'ora straodinaria. Ma oh quanto fu grande la sua sorpresa, nel vedere co' propri occhi, che sonavano miracolosamente senza esser tocche. Si portò sul fatto alla porta del convento, dove aveva inviato il nostro servo di Dio, e lo trovò bocconi a terra, in atto che esagerava la sua miseria, ed esaltava la divina misericordia. Un avvenimento sì prodigioso venne presto a divulgarsi per tutta la città, la quale si compiaceva sommamente di avere fra i suoi concittadini un uomo sì straordinario per la santità, e' che doveva col tempo renderla per questo appunto sopra ogni altra gloriosa.
Dovrei ora far parola del felice passaggio all'altra vita del nostro Venerabile Fr. Umile; ma non avendo fin'ora fatt'altro, che contemplare l' esteriore soltanto del suo edificio spirituale, ogni ragion ricerca, che, prima di descrivere la lui morte preziosa agli occhi di Dio, ci trattenessimo a contemplare l'intrinseco del di lui vivere; cioè a dire, le sue eroiche virtudi, a fine di ritrarne motivi efficacissimi, onde imitarlo, per quanto la condizione nostra richiede. Ecco tutta la materia del seguente secondo libro.
FINE DEL PRIMO LIBRO.
LIBRO SECONDO
IN QUESTO SECONDO LIBRO SI DESCRIVERANNO LE INTERIORI FATTEZZE DEL NOSTRO GRAN SERVO DI DIO, CIOÈ LE SUE ESIMIE E SEGNALATE VIRTU'; NELL' ESERCIZIO DELLE QUALI CONSISTE LA VERA SANTITA' E PERFEZIONE VANGELICA.
Capitolo Primo
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Quanto fosse eroico l'esercizio delle virtù teologali nel nostro servo di Dio. Fermezza di sua fede, e di sua sapienza.
Usanza assai comune di chi tesse la storia di alcun Santo, è che dopo la continuata narrazione, secondo l'ordine della vita, ne ponga davanti al lettor divoto le particolari virtù, distinte, per così dire, in tanti ritratti, formati d'alquanti suoi fatti, e detti, i quali lo scrittore con questa intenzione nel precedente racconto ha tacitamente trapassati. Questa usanza assai commendevole, tenuta da me in altri lavori di simil genere, terrò anche nella presente storia della vita, e virtù del Venerabile Fr. Umile di Bisignano, seguendo nell'ordine della virtù quel metodo medesimo, che tiene la sacra Congregazione de' Riti, nel doverne esaminare l'eroismo. Quindi è che daremo principio dalla fede teologica del nostro servo di Dio. Or questa, senza della quale, come avverte opportunamente l'Apostolo delle genti S. Paolo, è impossibile piacere a Dio, e che definisce egli stesso: un argomento di cose non apparenti, che forma la sostanza di quelle, che sperare si debbono, è un dono della divina misericordia, senza del quale, niuno può credere cristianamente alla di lui parola: è l'origine di ogni virtù, il fondamento delle buone opere, è il principio di tutta l' umana salvezza. Affinchè però i di lei atti siano meritori di retribuzione eterna, è necessario, che ella fondata sia sulla carità, altrimenti l'uomo è niente per se stesso, e la sua fede in lui è morta. Quindi vien questa a comprovarsi colle opere le quali nascono, e derivano dall'amore di Dio, e del prossimo, che sono i due cardini, su de' quali, come si esprime il nostro Redentore Maestro, tutta si aggira la legge, ed il parlar de' Profeti. Essendo però queste opere, altre interne, esterne altre, giacchè altro è il credere i Misteri della Fede, altro pubblicamente contestarli agli occhi del Mondo; così non essendo ispezion della Chiesa il dar giudizio degli atti interni degli uomini, rileva la fermezza ed eroicità de' medesimi da ciò, che al difuori, tanto ne' detti che ne' fatti apparisce; deducendo da questi segni sensibili l'interno abito della fede, che contraddistingue le anime da Dio predilette, da quelle del comun de' fedeli.
Una di queste anime privilegiate e straricche del gran dono della fede, fu appunto il nostro Fr. Umile di Bisignano. Conservò egli sempre la fede, che opera per la carità; e colle opere perfette e sante mai sempre fecesi a dimostrarla, non che viva, ma eroica. Mercè la sua gran fede camminava sempre nel cospetto del Signore , al quale davasi a divedere unito e raccolto coi detti, coi fatti, e coll'atteggiamento stesso della persona. Fissatagli in mente la gran massima di fede dal santo suo Confessore Parroco Solima, che tutt'i nostri pensieri, parole, ed opere si peseranno sulle divine bilancie nel punto della morte, per essere, secondo il loro merito premiate, o punite; da essa venne, che fin dalla sua puerizia si fece guardingo e circospetto sopra tutte le sue operazioni, per non tirarsi addosso l'indignazione divina. Essa fu che fin da' primi anni lo pose nell'impegno di moltiplicar quanto più poteva le opere sante, e camminar sempre con perfezione avanti gli occhi del Signore. Or se vivendo in mezzo al mondo, teatro aperto di cento e mille pericoli , era sì grande l'esercizio della fede nel nostro Venerabile Fr. Umile; quanto questo divenne sublime, eccelso ed eroico, dappoichè entrò egli nella serafica Religione, dove i mezzi, gl’incentivi, gli esempi sono continui , onde battere la via della vangelica perfezione? Basti l'asserire, che in tutto il corso della sua vita , specialmente religiosa, non fece mai azione, che non venisse regolata e mossa dalla massima della fede. Credeva i Sacrosanti Misterj di nostra Religione santissima con tal certezza, che maggior non l'avrebbe avuta, se gli avesse cogli occhi proprj veduti. Rendeva continuamente a Dio i più cordiali ringraziamenti, perchè l'aveva fatto nascere in grembo della santa Cattolica Romana Chiesa, educare cristianamente dai suoi genitori, e chiamato a vivere, come in porto sicuro, sotto la regola del Serafico Patriarca. Non vi era cosa che più a compassione muovesse il suo povero cuore, che il considerare il numero sterminato di quei popoli,i quali privi del lume della vera fede, sedendo all'ombra della morte e fra le tenebre, vanno eternamente perduti. Pregava perciò, il Signore continuamente per la loro conversione: ed a tal fine indrizzava le sue austerità, penitenze. Nel sentire raccontare, i crudeli martirj, sofferti da’ generosi campioni di Santa Chiesa, in contestazione delle infallibili verità di nostra fede versando dagli occhi calde lagrime di tenerezza, prorompeva in espressioni, colle quali dimostrava il suo desiderio ardentissimo di poter egli spargere ancora il suo sangue in ossequio di nostra fede ortodossa.
A qual'effetto, ritrovandosi in Napoli, nel primo suo ritorno da Roma, si buttò a' piedi di quel Nunzio Pontificio, cercandogli la grazia di potere colla sua mediazione ottenere il permesso di andar compagno de' missionarj del suo istituto, nelle missioni fra gl'infedeli, per potere, come, esprimevasi, col divino ajuto, liberare qualche anima dalle tenebre della infedeltà, ed aver quindi la sorte di spargere tutto il suo sangue in ossequio della santa Cattolica Religione. Accolse le sue suppliche quel savio Prelato: ma perchè Iddio voleva compiacersi soltanto del suo desiderio, gli fè rispondere da' suoi superiori, ch'era volere del cielo che non si allontanasse dalla sua Provincia. Quel raccoglimento poi, quasi sempre estatico, che lo accompagnava nell'assistere che faceva in Chiesa, o nell'ascoltare la messa, o ad altre sacre funzioni; quel discorrer che faceva di Dio, e delle cose celesti con tanta unzione di spirito, che le sue parole compungevano i cuori più duri; e quella premura efficacissima di praticare ogni e qualunque mezzo ordinato all'aumento della nostra fede, può renderci sicuri, che il nostro Fr. Umile era appunto quell'uomo giusto, la di cui vita interiore e spirituale era alimentata della gran virtù della fede.
Prove efficacissime di questa gran fede nel nostro servo di Dio furono i continui portenti, per suo mezzo dalla Divina onnipotenza operati; e il dono della scienza, che vennegli infuso, di cui nel terzo libro faremo parola.
Un felice germoglio della viva sua fede fu anche la sua speranza di conseguire i beni eterni. Da questa derivavano i suoi frequenti aneliti, sospiri verso il cielo, a cui continuamente aspirava, protestandosi, che fermamente lo stava sperando per li meriti infiniti di Gesù Cristo, e per l'intercessione di Maria. Questa fece, che egli, sino che visse, un total dispregio avesse delle cose temporali, cosicchè non fu giammai veduto, in tutto il corso di sua vita prendersi un minimo sollievo, benchè innocente, ma tutto dirigeva al conseguimento dell'eterna felicità. Questa lo rese sempre uguale a se stesso in tutte le vicende della sua vita. Le persecuzione, le infermità, le fatighe che tollerava, i continui viaggi che intraprendeva, non gli fecero giammai perdere quella santa giovialità ed allegrezza, che suole essere il premio di un'anima, che ha vera speranza in Dio. Uno sguardo che dava al cielo, lo ricolmava di un giubilo indicibile. Riuscivano perciò efficacissime le sue parole nel consolare, colla speranza del Paradiso , le anime angustiate ed afflitte. Se vedeva qualche suo Religioso confratello oppresso da malinconia, cercava subito con tal mezzo di sollevarlo. Se s'incontrava con qualche persona del secolo assalito dalla tristezza, o per le miserie corporali, o per le spirituali sciagure onde veniva oppresso, era sua la cura di accendergl'in seno una fiducia grande del Signore; per cui animandolo a ricorrere alla di lui misericordia o provvidenza, se ne vedevano felicissimi gli effetti. Insomma, se fu grande la fede teologica del nostro Fr. Umile di Bisignano; fu grande altresì la sua speranza. Ecco il motivo per cui compiangeva continuamente la cecità di quei cristiani, i quali mettendo la loro fiducia negli uomini della terra, trascurano di esercitarsi nelle virtù, per quindi fare acquisto dei beni eterni del cielo.
Capitolo II
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Accesa carità del Venerabile Fr. Umile; verso Dio, e verso il suo prossimo.
A tutta ragione in uno de' suoi soliloquj diceva il P. S. Agostino, che tutto il bello, ed il buono, che nelle creature diramato si trova, tutto dipende dal fonte essenziale d'ogni bontà, e bellezza, ch'è Dio; per cui sollevandoci colla fede a contemplare questo Sovrano principio di ogni vera bellezza e bontà, non è possibile che non ci sentiamo trasportati ad amarlo a tutto impeto di natura, e di grazia. Avendo la viva fede sollevato il nostro Fr. Umile a tale altezza di contemplazione, meraviglia recar non ci deve, se il suo cuore, finchè visse, penetrato si conobbe del gran fuoco della carità; per cui correndo sempre dietro al suo diletto, visse sempre inebriato di santo amore. Dal giorno stesso in cui aprì egli gli occhi alla luce della ragione, cominciò a sollevare la mente al principio, e fonte della carità, e ne restò preso per modo, che fino all'ultimo periodo di sua vita le di lui operazioni, le parole, i pensieri, e i desideri altro scopo non ebbero , o altr'oggetto , che Dio. Non ebbe egli nè forze, nè mente, nè cuore, nè anima, che per amare il sommo bene. Assorto nella considerazione delle divine perfezioni, e singolarmente dell'infinito amore, con cui Dio ama noi, avrebbe voluto che il mondo tutto ardesse di vive fiamme verso di lui.
A tutto suo potere perciò procurava di accendere nell'altrui cuore sì belle fiamme, animando tutti ad amare Dio. Tanto praticò da secolare, e con più fervore ed efficacia, divenuto Religioso. Esercitando l'impiego di cercatore, e girando per le città e villaggi, questuando limosine per i suoi Religiosi, non lasciava d'insinuare a tutti la necessità del Divino amore, del sommo Dio la bontà infinita, ed il cumulo esterminato di beneficj, coi quali c'invita egli continuamente ad amarlo. Riuscivano fruttuosissime queste sue esortazioni; giacchè gli si vedeva il volto tutto acceso e rubicondo, e gli scorrevano dagli occhi calde lagrime di tenerezza, indizj indubitabili di quel grande incendio di carità che alimentava in seno. Soventi volte, anche per le strade, sopraffatto dalla considerazione della divina bellezza, sentivasi prorompere con voçe vibrata in questi, o simili accenti: Mio Dio, quanto sei amabile! Quanto è pazzo chi non ama Dio!
Da una carità sì eroica nasceva in lui quell'abborrimento sommo ed estremo, con cui odiava ogni specie di peccato. Quindi per vedere il nostro Fr. Umile tutto costernato ed afflitto, bastava fargli sapere, che un'anima fosse giunta all'eccesso di offendere, ed oltraggiare il suo Dio. Se poi avveniva che alcuno alla di lui presenza ardisse di offendere la Divina bontà, egli di placido e soave ch'era per natura e per virtù, diveniva un fulmine, ed inveiva contro chiunque, senza aver riguardo a chicchesia.
Dalla sopracennata cognizione della Divina bontà accendevasi in lui un ardentissimo desiderio di dare e sangue, e vita per amore del sovrano suo bene. Ecco il motivo, per cui nel secolo e nella religione cercò sempre, per mezzo di una mortificazione rigida e perseverante, di divenire vittima di penitenza, per amor del suo Dio.
Or chi può noverare gli stupendi effetti, che nello spirito, e nel corpo del nostro Venerabile Fr. Umile produceva cotesto attuosissimo fuoco di carità? In tempo di rigidissimo inverno, costretto era ad esporsi all'aria gelata, per rattemperare in parte gl'interni suoi ardori. La facilità delle lagrime, l'infiammamento degli occhi, gli slanci improvisi del corpo, le smanie, le grida, i deliquj, le alienazioni, l'estasi, i rapimenti erano tutti effetti di quella penetrante trionfatrice energia dell'infiammato suo spirito. A ben comprendere però la veemenza di quell'amore, di cui avvampava il nostro servo di Dio, tutte fa d'uopo considerare le azioni della sua vita, e scorgerassi allora, che ognuna riconobbe la fortunata sorgente da quel vastissimo incendio di carità, che animò il suo spirito, e gli arricchì il corpo di doti soprannaturali, e celesti.
Che direm poi della di lui sviscerata carità verso de' prossimi? Se dal riconoscere ed amare negli uomini ciò che in essi è di Dio, si ordisce quel prezioso legame, che stringe noi al prossimo insiememente ed a Dio; questa fu la mirabile condotta praticata costantemente dal nostro Venerabile Fr. Umile, il quale con un indissolubile legame di carità si unì al suo prossimo, per vieppiù stringersi al suo Dio. Non avendo egli mai data altra legge a' suoi affetti ed alle sue operazioni, riguardo al prossimo, fuorchè quella di amare gli altri, come se stesso; a questo fine impiegò nel secolo e nella Religione le potenze del suo spirito, e le forze del suo corpo, a procurare cioè al suo prossimo ogni spirituale e temporale vantaggio. Non era egli ricco di beni di fortuna nel secolo; eppure non lasciò giammai di soccorrere, e sollevare le indigenze altrui; contentandosi spesso spesso di passare le giornate intere senza cibo, per alimento e sollievo de' famelici, e bisognosi. Nella Religione poi, coll'espressa licenza dei suoi superiori, raccoglieva tutti gli avanzi del refettorio, e preparava quanto poteva giornalmente, per'alimentare quei mendichi, che a folla correvano nella porteria del convento, per essere sovvenuti. Ottenne anche dal suo guardiano di Bisignano, essendo cercatore, di prevalersi di quanto raccoglieva per limosina nella questua, per ajutare i poverelli, e volle Iddio più e più volte contestare al pubblico con segnalati portenti, quanto a lui gradisse il cuore compassionevole del nostro Venerabile Fr. Umile a prò dei mendichi. Trovo deposto giuridicamente ne’ processi apostolici, che avendo distribuito per istrada tutto il pane, che aveva questuato, per cui si ritirava in convento colle bisaccie vacue; in toccare però la porta del convento, miracolosamente si vedevano queste piene come prima, con indicibile meraviglia di chi vi si trovava presente. Non solamente in Bisignano accadeva quasi sempre questo prodigio, ma in altri conventi della sua Provincia, concorrendovi le stesse circostanze, per cui non recava più stupore.
Segnalata fu ancora la sua carità verso i Religiosi infermi, praticando in sollievo di essi gli atti più vili, e schifosi. Ne restarono perciò edificati al sommo i Religiosi del convento di S. Francesco a Ripa colà in Roma, e gli altri di Napoli, nella dimora che fece per qualche tempo, nel convento, che allora esisteva , e col titolo della Croce di Palazzo distinguevasi dagli altri.
Lo stesso praticava fuori di convento, nel portarsi a visitare qualche infermo. Le altrui miserie lo intenerivano di maniera, che si vedeva piangere dirottamente alla veduta di qualch'uno cruciato da dolori, o abbruciato da febbre. Non poteva il suo bel cuore soffrire persona veruna afflitta, onde pronto recavasi a porgerle quel maggior conforto, ch'egli sapeva; e perciò ne'luoghi ove egli dimorava, tutti gli afflitti e sconsolati ricorrevano alla sua gran carità, essendo sicuri, che sarebbero stati o temporalmente, o spiritualmente da lui soccorsi. Molte volte si offeriva ad alleggerire il peso della loro sventura, e potendolo infatti, lo eseguiva coi buoni uffici, o con salutevoli avvisi, o colla sua interposizione a favor degli afflitti, la quale certamente pel credito che godeva presso tutti, non era poco efficace. Quando non poteva altro, dava loro lezioni di pazienza, le quali riuscivano fruttuosissime. Abbiate pazienza: sofferite per amor di Gesù Cristo, ed in pena de'vostri peccati, soleva loro dire familiarmente; e queste sole parole profferite da lui, ch'era animato d'una ardentissima carità, erano asperse di una tal mirabile dolcezza, che recavan agli afflitti conforto grandissimo.
Nell'ufficio poi particolarmente di cercatore nel convento di Bisignano, o in altri luoghi ove tirava a lungo la sua dimora, attese con grande studio a metter pace tra i discordi, e a pacificar le famiglie; riconciliando gli animi, di chi stava in lite ed in dissenzione, e avvalorando quasi sempre il Signore le parole del fedele suo servo, si vedeva sua mercè, estinta più di una volta la nera face della discordia. Non poteva perciò sofferire, di udire parlar male di veruno, nè si arrestava di riprender subito chi offendesse in tal guisa la carità, se era a lui inferiore, o eguale; in altro caso, non potende fare altrimenti, si metteva in serietà, e mostrandosi turbato, partiva immantinente. Era insomma il cuore del nostro Venerabile Fr. Umile tutto acceso di carità verso il suo Dio, e tutto impastato di cristiano amore verso il suo prossimo.
A somiglianza poi del santo Tobia, monita salutis continuamente dava a chiunque con lui trattasse. Strada facendo per ragion di questa, o per altro fine, incontrandosi con persone rozze ed igroranti intorno alle cose della fede, con tutta pazienza e chiarezza le istruiva in ciò, che non sapevano. Con altri poi non bisognosi d'istruzioni, introduceva subito discorsi di cose sante e divote, e particolarmente della frequenza de'sacramenti. Ed oh quanti furono da lui indotti a confessarsi bene, e a cominciar una vita ben diversa da quella, che avevan menata sino a quel punto! Illustrato egli da lume superiore, alle volte penetrando gl'interni recessi dell'altrui coscienza, dava alcuni avvertimenti salutari, i quali mirabilmente colpivano. Con tal mezzo rese cauto in Roma un Religioso suo confratello a non rendersi preda della maledett'ambizione; giacchè pretentendo di occupare una carica, pensava di prevalersi di alcuni mezzi dalla sua regola totalmente proibiti. Incontrandolo nel chiostro, con bel garbo gli disse: P. Lettore, oh che conto si dovrà rendere a Dio in punto di morte di quelle cariche, che ci procuriamo! E tanto bastò per renderlo ravveduto, è fervoroso. Nella guisa medesima liberò da varj spirituali pericoli non poche persone, a tempo da lui avvertite, per effetto di sua gran carità abbellita da Dio colla cognizione dell'altrui interno. Tale si fu la gran carità del nostro Fr. Umile verso Dio, e verso il suo prossimo.
Capitolo III
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Il Venerabile Fr. Umile si esercita mirabilmente nelle virtù Cardinali, per quanto poteva estendersi il suo stato di Frate laico.
Dovendo ragionare delle virtù cardinali esercitate dal nostro servo di Dio, stimo cosa ben fatta dar principio da quella della prudenza. Accoppiò egli sempre alla semplicità della colomba la prudenza del serpente, la quale in esso fu vera scienza de'Santi, e prudenza elettiva delle cose agibili, e direttrice dei mezzi più proprj al conseguimento dei fini ordinati alla gloria di Dio ed alla sua salvazione eterna. Conosceva perciò benissimo il tempo di tacere, e di dover parlare; le circostanze tutte del quando, del come, e del dove operar si dovesse, o cessar dall'intraprese. Quindi seppe sì bene ordinare e disporrre la condotta della sua vita, che questa non fu altro che un intreccio mirabile di tutte le cristiane virtudi. Professando una piena e totale dipendenza da'suoi superiori, e direttori spirituali, si allontanò dal pericolo di essere ingannato dall'infernale nemico, solito a trasformarsi in Angelo di luce, a fine d'ingannare le anime, che la strada battono della vangelica perfezione. Adattandosi al genio, all'umore, all'indole delle persone con cui trattava , rendevasi a tutti accetto, e gradito, ed in tal maniera gli riusciva di promuovere presso tutti la gloria del suo Dio. Nessuno ebbe mai a pentirsi di aver, eseguito li suggerimenti e consigli del nostro venerabile Fr. Umile; laddove un inutile, ed infruttuoso pentimento costò a molti l'averli non curati.
Eroica fu puranche la sua giustizia, dimostrando sempre una ferma e costante volontà di dare a ciascuno ciò che l'era dovuto. Adempì infatti, con esemplarissima sovraerogazione, tutt'i suoi doveri verso Dio, il prossimo, e la sua Religione. Guidando al pascolo, mentr'era nel secolo, i suoi bovi, accadeva che questi facessero qualche piccolo danno agli altrui seminati; senza essere richiesto correva egli subito da’rispettivi padroni, per compensar loro quel picciolissimo danno; nè si acquietava, finchè non adempiva a questa parte di giustizia. Se vogliamo poi intendere questa virtù in un senso esteso, per l'aggregato cioè delle virtù tutte; da quanto abbiam narrato finora e da quello che rimane a dirsi nel seguito di questa vita, si viene evidentemente a conoscere che il nostro servo di Dio ebbe la felice sorte di possederle, e praticarle tutte in grado eroico.
Qual fosse in quest'uomo santo la virtù della temperanza, quella cioè che è tutta ordinata a raffrenare l'appetito inferiore, sicchè l'uomo non ecceda nè nel mangiare, nè nel bere, nè nel dormire, nè in altri ristori, che esige il corpo umano per la sua conservazione, lo mostra quella somma austerità, colla quale trattò egli sempre il suo corpo, e della quale in appresso farem parola. Ai digiuni, e quaresime della regola di S. Francesco da lui professata, ne univa degli altri in pane ed acqua, in tal numero che la sua vita fu un continuo digiuno. Non estinse giammai nel bere perfettamente la sua sete; e verso gli ultimi anni del viver suo, per espresso consiglio de' medici e de' suoi superiori, beveva un poco di vino, ma con tanta quantità di acqua, che di quello spiritoso liquore ne riteneva solamente il colore. Due ore di sonno concedeva al suo corpo sulla nuda terra. Nell'assistere però agl'infermi, e ne' tre giorni della settimana maggiore, negava totalmente all'estenuato suo corpo questo per altro necessario ristoro. Viaggiò in varie Provincie d'Italia; dimorò nella bella Napoli; e per quasi sette anni trasse sua dimora nella magnifica Roma: ma in tutti questi luoghi non accordò agli occhi suoi l'innocente sollievo di vagheggiarne le rarità, e le magnificenze. In quanto poi alla virtù, della fortezza, la quale rende l'animo fermo costante in tollerare i mali più terribili; e coraggioso nell'incontrarli, per non mancare a'suoi doveri con Dio, col prossimo , e con se stesso, ed arrivare al conseguimento del suo ultimo beato fine si mostrò il nostro gran servo di Dio anche mirabile. Viene attestato concordemente ne' processi apostolici, che non si vide mai egli mesto, ed impaurito per niun male imminente temporale, nè soverchiamente allegro. Giammai si vide sottoposto a quei movimenti, che si chiamano li primi a prevenire la ragione, infelice retaggio dell'originaria colpa. Si osservò sempre imperturbabile e tranquillo, anche ne' casi più avversi, e nelle invettive le più vibrate de' suoi superiori, dirette, a fare sperimento di sua virtù, o a mortificarlo da dovero, nell'essere calunniato da quel suo confratello Fr. Domenico di Cutro, da noi rammentato nel primo libro. Volendo in tal tempo parificare Iddio lo spirito del nostro Venerabile Fr. Umile, permişe che i superiori della sua Provincia prestassero credenza alla calunnia, diabolicamente ordita contro di lui, di aver cioè egli sparlato continuamente in Messina delle costumanze della detta sua Provincia: e perciò, oltre delle mortificazioni fattegli in pubblico refettorio, non lasciavano passar momento senza pungerlo con sarcasmi, e con parole umilianti. In tal duro cimento, che durò per qualche mese, si conobbe di qual calibro fosse la fortezza del nostro servo di Dio. Il suo volto sempre sereno, la sua fronte sempre tranquilla diede chiaramente a conoscere, esser egli fortunatamente giunto a reprimere in maniera tutti li moti indeliberati dell'appetito sensitivo, fino ad ottenere un perfetto dominio su di essi.
Non vi era difficoltà, per ardua che fosse, la quale si opponesse a' suoi avanzamenti nell'acquisto delle virtù, che egli con magnanimo sforzo costantemente non vincesse. Non vi era battaglia, che il demonio gli presentasse (e furono ostinate e continue, fino all'ultimo di sua vita), cui non facesse sì gagliarda resistenza, fino a trionfare del nemico, fugarlo tutto ripieno di rabbia, e di confusione. Con eguale fortezza di animo sofferì le angustie, e tribulazioni di spirito, che sogliono essere assai più amare de' dolori del corpo. Per varj mesi, dopo la professione Religiosa, venne da Dio sottoposto a tal penoso crucio: non cadde però giammai di animo, non mostrò giammai turbamento; una colla sua solita ilarità esteriore, passò per lo fuoco e per l'acqua di queste interne spirituali sue angustie. Tutte le infermità, che lo afflissero nel corso di sua vita, (e fu rono spesse, gravi e nojose), non li trassero giammai di bocca una sola parola di lamento, a somiglianza del santo Giobbe. In tali dolorosi conflitti se la passava benedicendo e lodando il Signore, per la gran misericordia, che si benignava di usargli, visitandolo, com'egli diceva, coll'infermità, a fine di renderlo ravveduto. Spettacolo di edificazione era il vederlo tutto ilare, e giocondo, nell'atto medesimo, che le coliche più terribili, le febbri più cocenti, e i dolori più acuti strazio facevano dell'estenuato suo corpo. Ecco di qual tempra fu la fortezza di Fr. Umile di Bisignano.
Capitolo IV
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Con quant'esattezza osservò il nostro servo di Dio li professati voti solenni della sua ubbidienza, e povertà.
Essendo i voti solenni di ubbidienza, di povertà e di castità i costitutivi di un Religioso; dell' osservanza di questi, professati dal nostro Venerabile Fr. Umile, l'istituto abbracciando del Serafico Patriarca, dobbiam ragionare, per quindi inferirne l' eroismo di sua virtù. E per dar principio dall'ubbidienza. Questa, al rifletter di S. Bernardo, è quella virtù appunto, che fortifica, e conserva le altre tutte, quando è veramente perfetta. Dicesi poi perfetto colui nell'ubbidire, il quale dipende in tutto da' suoi superiori, si accorda co'suoi uguali, e generosamente agl'inferiori acconsente.
Una virtù sì grande eroicamente esercitata venne dal nostro servo di Dio, dacchè balenò in lui l'uso della ragione, sino alla morte. Fu nel secolo ubbidientissimo non che alle parole de' genitori suoi, e de' suoi maggiori, ma anche ai menomissimi loro cenni; e nella strada dello spirito perfettamente si sottopose alla direzione del suo confessore, venerando le sue parole, come se uscissero realmente dalla bocca stessa di Dio.
Vestito l'abito Religioso, nel corso del suo noviziato, nel convento della terra di Misuraca talmente si rese ammirabile per la sua ubbidienza, che dal Maestro de' novizj era chiamato lo specchio di questa virtù. Non lasciò questi di farne varie sperienze; ma con sua grande edificazione lo sperimentò sempre saldo ad ogni pruova. Or se un fervore sì straordinario dimostrò egli intorno a questa virtù nel corso di sua probazione; con quanto maggior fervore non si mostrò zelantissimo dopo la solenne professione? Avendo sottoposto ai voleri de' superiori la parte più nobile di se stesso, cioè la propria volontà, fu impareggiabile nell'adempimento di tal promessa. Non aspettava egli da' suoi superiori l'ordine in voce; ma se da qualche loro cenno poteva interpetrarne le intenzioni, correva pronto ad eseguirle; anzi non solo a'superiori, ma a chicchessia ubbidiva, il quale sopra di se avesse autorità, o per ufficio, o per anzianità, o per dignità. I suoi continui viaggi, da un convento ad un altro della sua Provincia, da lui eseguiti con prontezza somma, con somma ilarità, quantunque amante fosse oltre ogni credere del ritiro, e della solitudine. L'ubbidienza lo fece viaggiare alla Sicilia, ed a Roma, ed intraprendere fatiche gravosissime in sollievo del suo prossimo. Arricchito da Dio con uno spirito eroico di cristiana mortificazione, nelle discipline, ne' digiuni, e nell'esercizio di altre opere penali trovava delizia il penitente suo spirito. Queste però eran da lui tralasciate, o interrotte ad un solo cenno de' suoi superiori. La voce dell'ubbidienza era quella, che ritornar lo faceva all'uso de' suoi sentimenti, nel trovars'immerso nelle sue profondissime estasi. Erano inutili tutti gli altri tentativi praticati dall'altrui inconsiderazione, o curiosità, a fin di riscuoternelo. Non sentiva le puntúre dei ferri acuti, e l'ardore della fiamma, o le spinte più violenti: la sola voce dell'ubbidienza , anche profferita da lontano, o colla sola mente, con prontezza stupenda eseguiva: ed essendo che la sua vita fu un'estasi continua, con saggio avvedimento i suoi superiori delegavano questa loro autorità di richiamarnelo al suo compagno, ancorchè stato fosse un semplice terziario, o secolare, e dalla voce di questi totalmente dipendeva.
Nell'orto del convento di Bisignano si portò un giorno il P. Guardiano Ignazio da Laurignano, nell'atto che il nostro servo di Dio stava per conficcare nel terreno le pianterelle di cavoli, affinchè cresciute poi servissero ad alimentare i Religiosi. Il detto Guardiano, o per ischerzo, o daddovero disse al nostro Fr. Umile, che li piantasse tutto al contrario, cioè colle frondi dentro il terreno, e colle radici al di fuori, e ciò detto, se ne andò via. Con prontezz'ammirabile eseguì la volontà del suo superiore il nostro servo di Dio, senza replicar parola. Si compiacque tanto il Signore di questa pronta ubbidienza, che volle contestarla con un prodigio, anzi con due prodigj. Il seguente giorno dovevansi trovare tutte quelle piante appassite, e si ritrovarono non solamente verdissime, ma cresciute in maniera, che servirono quel medesimo giorno per alimento de' Reliogiosi.
Gli comandò altra volta il suo Guardiano, che spogliandosi ignudo dalla cintura in su, con una fune al collo, con un Crocifisso in mano, percuotendosi il petto con una pietra, girasse di giorno tutte le strade della città di Bisignano, dicendo e protestandosi, ch'era un gran peccatore. Tanto, e non meno puntualmente eseguì, con edificazione e compunzione nel tempo stesso di quei cittadini. Altra fiata lo fece girare per la stessa città tutto carico di vasi di creta, raccomandati ad una fune, a fine di sperimentare l'ubbidienza; e quanto gli comandò, tutto eseguì prontamente il nostro Fr. Umile.
Ad una ubbidienza sì eroica accoppiò il nostro servo di Dio una sublim'eminente povertà. Conoscendo egli, che questa fu quella virtù troppo cara al Serafico suo Patriarca, cercò a tutto potere di emularlo. Egli non solo visse spogliato di ogni cosa superflua, ma godeva dippiù nella mancanza di ciò, ch'era alla stessa vita necessario. Al solo mirarlo, si vedeva in lui il ritratto del Serafico istitutore. La tonaca la più logora, e la più vecchia che si trovasse nel convento di sua dimora, era il suo vestito perpetuo. Il mobilio della sua cella era un pagliaccio sopra due tavole, con una coverta rattoppata, e in parte lacera; una croce di legno appesa al muro, e niente altro. Da'benefattori per se non accettò giammai cosa alcuna, e non era egli mai più contento, che allor quando trovavasi penurioso di tutto. Non vi era pericolo che lasciasse andare a male nulla della Religiosa comunità; ma facendo conto di tutto, tutto raccoglieva , acciò almeno servisse per sollievo de' poveri, e bisognosi. Facendo l'ufficio di cercatore, non fu giammai importuno a chiedere, o ricevere la limosina. L'osservanza di questo voto gli era talmente a cuore che cercava sempre di promuoverla nei suoi Religiosi confratelli. Se vedeva commettersi qualche mancamento contro la povertà, cercava con zelo sommo di correggerlo.
Se da fanciullo, come si è detto nel primo capitolo di questa vita, buttava dispettosamente dalle mani ogni moneta, che gli porgevano per quietarlo: Se da giovine, senza sua colpa, perdeva dalle sacche quel denaro, che per ordine di suo padre distribuir si doveva a coloro, che lavoravano nella sua possessione campestre; ben si può conoscere, ch'era stato egli da Dio, eletto, a distinguersi per virtù nello stalo Religioso, specialmente nell'esercizio della povertà.
Capitolo V
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Della sua angelica purità, custodita sempre da una vita mortificata, e penitente.
Quantunque sia certo che dalle sole apparenze non possa formarsi un retto giudizio di qualche oggetto sottoposto al nostro sguardo, e specialmente se trattasi delle interne operazioni di virtù, per cui il Redentor Maestro, ci diede quel Divino consiglio: nolite judicare secundum faciem; ed egli medesimo, malgrado l' esterior vita edificante de' Scribi, e de' Farisei, li caratterizzò chiaramente per ippocriti, e maligni; ciò non ostante alcune vi sono, che anche all'esterno sfavillano, e rendono certo il giudizio che su di esse noi formiamo. Questo principio possiamo noi applicare fondatamente al nostro Venerabile Fr. Umile, dovendo ragionare dell'angelica sua purità. Questa virtù infatti, che l'uomo terreno solleva ed innalza alla condizione quasi degli spiriti celesti, fu perfettamente posseduta dal nostro servo di Dio. Vivendo in mezzo al secolo, luogo il più esposto e pericoloso per chiunque vuole le tracce seguire di quell'Agnello celeste, che fra candidi gigli si pasce, e si nutre; fu tanta e tale la sua modestia, e sì mirabile la sua verecondia, indizio certissimo della mondezza del suo cuore, che la sola sua veduta, anche di lontano frenava l'altrui sfacciataggine, e sfrenatezza. Egli fin d'allora mettendo se stesso sotto il valevole patrocinio della Regina delle Vergini, alla stessa raccomandava con fervore, e con calde lagrime il bel giglio del suo candore. Ad insinuazione del santo suo confessore, il Parroco Solima, offeriva in voto a Dio in ossequio di Maria Santissima, nelle di lei principali solennità la sua purezza, non già con voto perpetuo, ma temporario di solennità in solennità: e coni questi replicati atti di Religione, prudentemente a lui insinuati, dava a quessta bella bella virtù continui incrementi.
Strettosi maggiormente col suo Dio, per mezzo della professione Religiosa, offerì allo stesso perpetuamente il suo candore, il quale, fino all'ultimo respiro di sua vita, fu da lui mantenuto non solamente illibato, ma adorno altresi di tutte le altre cristiane virtudi. A rilevare in succinto l' eroismo di sua purezza, basta a creder mio l'uniforme attestazione dei confessori suoi, registrata ne' processi Apostolici, ch'ebbe egli il segnalatissimo dono di non essere stato giammai molestato da interne suggestioni, e da esterni assalti, non che da notturne illusioni, prodotti infelici di nostra natura corrotta, contro di una virtù sì bella. Sembrava infatti, che in lui peccato, non avesse il postro primo Padre Adamo.
Una grazia sì grande meritossi al certo il nostro servo di Dio, per la corrispondenza da lui praticata alle divine ispirazioni; e per quel fervido spirito di preghiera che si ammirò in lui negli anni più teneri, coltivato però con impegno, e con fatica, per cui produsse nella di lui anima centuplicato il frutto. La solitudine, il silenzio, la mortificazione, la frequenza de' Sacramenti e di altre opere di pietà, occuparono gli anni suoi giovanili; e perciò meritò di essere del numero di quelle fortunate anime, prescelte a seguir sempre l'Agnello immacolato.
Non ostante però una grazia sì grande, di esser esente cioè di ogni solletico di concupiscenza carnale, adoperò, egli quei mezzi tutti, che maggiori non avrebbe potuto adoperare, se ştato fosse soggetto, come il resto de' figli di Adamo, ad essere colafizzato da Satanasso. Fece egli come Giobbe, fin dagli anni suoi puerili, un patto solenne cogli occhi suoi, di non alzarli giammai a rimirare volto di donna: patto da lui mantenuto sino alla morte, con esattezza sì mirabile, che non potè accusarsi di averlo trasgredito neppur per sorpresa , o per inavvertenza. Il colore degli occhi suoi vedevasi allora, quando rapito in Dio, restava da celestial estasi sorpreso. Fuori di questa circostanza, la quale per altro accadeva allo spesso, per un dono sì segnalato, onde venne strabbocchevolmente arricchito da Dio, usò mai sempre di portar gli occhi rivolti alla terra. A rilevar l'eroismo di modestia sì rara, uopo è che il divoto lettore rifletta un poco, ch'egli nel secolo conversar doveva e trattar di continuo; e nella Religione coll'impiego di cercatore, e col continuo viaggiare in tanti e sì varj luoghi: nè gli fu permesso giammai di ritirarsi in solitudine. In Roma specialmente, per ordine del Pontefice, Gregorio XV., si dovè conferire in varj Mopasteri, per appagare la divota curiosità di quelle Religiose. Per espresso comando di Urbano VIII. innumerabili volte ragionar gli convenne , e visitare le principali Principesse Romane: e pare, o maraviglia, o stupore! Non rallentò giammai in se stesso quel rigido freno, posto dalla sua virtù a quella modestia, che lo fregiava. Acclamato da Popoli, seguito da numerose turbe nei suoi viaggi, rapite dal grat'odore, che tramandavan le sue virtudi, per cui impossibile era, che assiepato non venisse anche da donne, nella stessa loro divozione indiscrete; non fu mai possibile, che degnasse queste d’uno sguardo fuggitivo, e passeggiero.
Ad una circospezione sì grande, anzi mirabile, accoppiar volle un tenore di vita rigidissimo, e sopra ogni credenza penitentissimo. I digiuni, e le ореге afflittive, che la regola di S. Francesco prescrive a suoi Alunni, non sono per verità di poco momento. Tante quaresime dentro all'anno; un digiuno rigorosissimo ogni Venerdi; più discipline alla settimana; il vestire, il dormire, e tutto altro, che si sa, e perciò taccio, costituiscono certamente un uomo mortificato, e penitente. Ciò non ostante, un cumolo sì sterminato di mortificazioni e penitenze non fu bastante ad appagare lo spirito penitente del nostro Venerabile Fr. Umile. E per verità, se una vita mortificatissima faceva egli in mezzo al secolo, disciplinandosi ogni giorno con una ruvida fune, e digiugando spesso in pane ed acqua. Se da secolare aveva per costume di dormir quasi sempre sdrajato sul freddo terreno e con un pezzo di legno per capezzale. Se in tal tempo cingevasi i lombi con pungenti cilizj. Avendo abbracciato per voto una vita di perfezione e di virtù, doveva necessariamente segnalarsi nell'affliggere e straziare il suo corpo, quantunque non restìo all'impero dello spirito. Con piena approvazione infatti de' superiori suoi digiunava quasi sempre in pane ed acqua; o pure, contentandosi di un pezzo di duro ammuffato pane, con qualch'erba selvaggia ristorava in una maniera sì penitente le forze del suo povero corpo. Se per ordine espresso de' suoi confessori doveva cibarsi nel refettorio cogli altri Frati, egli aspergendo le vivande con cenere ed assenzio, versandovi quantità di acqua, per cui perdevan ogni sapore, sapeva accoppiare mirabilmente ad una ubbidienza esattissima, una rigidissima mortificazione.
Per lo spazio di anni diciotto si disciplinò ogni notte a sangue con una catena di ferro, e con veemenza tale vibrava i colpi sulle sue spalle, che se ne udiva il rimbombo dalle case vicine. Per venti anni continui cinse i suoi lombi con una catena di ferro, armala di punte; per cui restò quasi in quella parte infracidito. Tanto la prima che la seconda penitenza che praticava, fu costretto a rallentarla in qualche maniera, per espress'ordine de' suoi superiori. Due ore concedeva di sonno alle afflitte sue membra, tanto in tempo di està, che d'inverno, o sul nudo terreno, e rare volte sopra le rozze tavole.
Nelle novene poi e giorni di maggior solennità soleva concedere questo scarso ristoro al suo corpo, genuflesso dentro qualche cappella della Chiesa, o in qualche angolo del coro.
Per la gran copia di sangue che spargeva, e per le penitenze continue che praticava, le quali soleva moltiplicare quasi all'eccesso in circostanze di pubblici flagelli, o per impetrare da Dio qualche grazia, e con ispecialità il ravvedimento di qualche peccatore solenne ed ostinato; era egli ridotto sì smunto e dimagrito, che sembrava un cadavere ambulante. Eppure chi'l crederebbe? Stimando un nulla quanto di afflittivo, e di penoso dava al suo corpo, e che noi succintamente finora abbiam narrato, protestavasi, che per domare la sua carne, e piangere i suoi peccati, avrebbe dovuto fare di peggio, se i suoi superiori non avessero avuto tanta compassione per lui. Ecco io che maniera il nostro Venerabile Fr. Umile di Bisignano accoppiò ad una rara innocenza una rigida, e stupenda penitenza.
Capitolo VI
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Tenera divozione del nostro Venerabile servo di Dio verso l'umanità sacratissima di Gesù Cristo, verso la santissima Vergine, e i Comprensori beati.
Chi tutto arde e consumasi di amore verso il suo Dio, con più veemenza questo si accende, ed all'esterno si palesa alla consolante memoria di quanto il nostro buon Dio, facendosi uomo per noi, tollerato e patito ha per noi, non solamente per redimerci dall'infernale schiavitù, ma per lasciarci un attestato perenne del suo sviscerato affetto nelle specie eucaristiche! Il nostro Venerabile Fr. Umile, come abbiamo divisato al capitolo secondo di questo libro, fu continuamente infiammato di questa divina carità: potendosi paragonare il di lui cuore a quell'altare del Tabernacolo, dove sempre ardeva, senza giammai estinguersi'l fuoco pure però questo vibrava a dismisura le accese sue vampe, qualora fissava il suo pensiere o all'istituzione dell' eucaristia, o alla spietata morte del Verbo umapato, per noi sofferta su del Calvario. E per verità, la singolarità del suo culto verso l'Augustissimo Sagramento dell'Altare formar può uno de'principali, e più segnalati caratteri della sua vita. Pensiero non vi era, nè sollecitudine, nè divozione, che maggiore, più soave, e più continua violenza facesse al di lui spirito, quanto la considerazione di questo pegno di eccessivo amore, lasciatoci nell'ultima cena. Per tuttociò che riguardava la decenza dell'altare e del tabernacolo, e la venerazione dovuta al corpo e sangue di Gesù Cristo, era sempre in agitazione, ed in opera; nè lasciava di rimproverare i meno diligenti, posti da parte tutti gli umani riguardi.
Giorno passar non faceva nè notte senza stare per molte ore prosteso, o bocconi a terra, colle braccia stese in forma di Croce innanzi il Tabernacolo. Fu costretto pero, per le sue continue estasi e rapimenti, di mettersi ad orare in luoghi solitarj e nascosti, per non essere altrui motivo di divagamento, e distrazione. Per tal motivo gli venne proibito d'intervenire alla processione solenne del Corpus Domini; giacchè una delle volte venne costretto il superiore a richiamarlo da'suoi rapimenti, mentre col cereo acceso in mano accompagnava il Sacramentato suo bene. In seguito poi, come si dirà appresso, proibito gli venne per le sue continue estasi; d'intervenire a qualunque pubblica funzione. L'ottava del Corpus Domini era per il nostro servo di Dio una continua giubilazione di spirito. Si vedeva tutto allegro ed acceso in volto, ed eruttando continuamente dal suo petto infocati sospiri, dava chiaro a conoscere l'effervescenza stupenda di sua carità, al riflesso della gran carità usataci dal Redentore, in lasciarsi Sacramentato per noi. Si accostava perciò spesso a riceverlo, e negli ultimi anni della sua vita gli venne dal suo direttore concesso di alimentarsi ogni giorno con questo cibo celestiale, e divino. Questo soprannaturale alimento lo rinvigoriva anche nel corpo; giacchè, laddove pria di comunicarsi appena poteva reggersi per la debolezza ; dopo poi si osservava tutto vegeto, e vigoroso.
Se era tanto penetrato da quell' augusto contrasegno di amore, che ci ricorda la passione di Gesù Cristo; altrettanto singolare era la sua tenerezza verso la memoria della stessa divina passione. Tutti i Venerdi dell'anno, erano giorni di lutto per lo nostro servo di Dio. Piangeva amaramente, sul riflesso delle pene acerbissime tollerate per noi dal Divin Redentore: si flagellava con più crudeltà degli altri giorni; ed al cumolo sterminato delle macerazioni e penitenze che praticava giornalmente, ne univa delle altre, per quanto poteva, più dolorose ed afflittive. Per ordinario se la passava senza gustar cibo e bevanda di sorte, alcuna. Li giorni della settimana maggiore erano totalmente dedicati al silenzio, ed a sfoghi amarissimi di compassione. Venuto il Giovedì Santo, dall'ora che si riponeva nel sepolcro il vero corpo di Cristo, sino a quella del Venerdì, in cui da esso toglievasi, immobile perseverava tutto quel tempo in qualche angolo della Chiesa, o del coro, tutto immerso nella considerazione amata de' patimenti di Gesù Cristo. E ben a ragione era egli penetrato da considerazione sì santa; giacchè, ebbe egli la sorte di vederlo più volte, ora in quello atteggiamento che venne flagellato, e coronato di spine, ora in atto d'incamminarsi al Calvario colla croce sulle spalle, ed ora in quella guisa che boccheggiava, agonizzando sopra la Croce. Efficacissime perciò riuscivano le sue parole nell'insinuare e promuovere nel cuore altrui sensi di tenerezza e di compassione verso la Passione e morte del Redentore. Accoppiava per ordinario in tali circostanze alle parole, che profferiva tutte infocate, un profluvio di tenerissime lagrime dagli occhi: ond'è che con facilità somma giungev’a rendere chiuque ragionasse con lui tutto affetto, e compassione verso i dolori di Cristo. Tenero oltre ogni credere fu puranche il di lui amore verso quella eletta creatura, scelta da Dio a sostenere quì in terra la stupenda dignità di vera Madre del suo unigenito Figlio. Appena reggevasi in piedi, e si vedeva da' suoi genitori portarsi spesso al cospetto d'una divota Immagine di Maria, appesa ad un muro della sua casa, ed ivi trattenersi lungo tempo a vagheggiarla. Col crescere degli anni crebbe in lui talmente una tal divozione, che meritò, come si è narrato nel capitolo secondo del primo libro, di ascoltare la voce della celeste Regina da una statua marmorea nel convento di Misuraca, che l'assicurò della grazia di professare il Serafico istituto. Nello stato Religioso poi spesso spesso ebbe la sorte di vagheggiarla in compagnia d'innumerabili Angeli, e di altri Comprensori beati. L'amata sua grotticella del giardino del convento di Bisignano, siccome fu per lo nostro servo di Dio il teatro delle sue battaglie coll'infernale nemico; così fu puranche il teatro delle sue consolazioni, per le continue visite, che vi riceveva dalla celeste Imperadrice. Aveva tutta ragione, perciò di chiamarla: il suo terrestre Paradiso.
Nelle maggiori di lei solennità lo graziava per ordinario la Vergine di sì eccelsi favori, in premio, cred'io, di quanto il nostro servo di Dio praticavale di ossequio nelle novene precedenti le medesime. Oltre a' digiuni, discipline, e macerazioni, che s'intrecciavado più del solito in detti giorni, soleva anch'egli tutto immergersi nella considerazione delle di lei grandezze, e nel ringraziare il Signore, che le versò in seno un torrente smisurato di grazie, per renderla nostra Corredentrice, ed Avvocata. Non si saziava mai di esaltare le di lei grandezze, e l'amor grande che porta a' figli della Chiesa, e l'efficacia altresi di sua protezione valevolissima. Insinuava a tutti con energia particolare la necessità di essere veri divoti di Maria, e di sempre invocarla con filiale affetto; assicurando tutti, che chi ha la sorte di vivere sotto il di lei possente patrocinio, è sicuro di sua eterna salvezza. Batteva forte però, nel far capire il vero carattere della divozione verso la Vergine, il quale non consiste al certo nella recita del solo rosario, o nella pratica di qualche digiuno, o astinenza in di lei ossequio , ma in tenerci lontani da ogni colpa, o nella premura di tener dietro a' di lei insegnamenti ed esempi, per quanto si può. Ad un Religioso infatti dello stesso suo istituto, che nel corso delle sue prediche di quaresima era solito di spesso insinuare al suo uditorio la divozione verso la Vergine, l'esortò a non voler perdere di mira un punto sì essenziale; di far conoscere cioè, che la vera divozione verso Maria, pria di ogni altra cosa, essenzialmente consiste nell'esatta osservanza della vangelica legge. Ecco in qual guisa rendevasi egli benemerito dell'eccelsa Regina, e corrispondeva con affetto alla gran degnazione della medesima, la quale da' suoi venerabili simulacri in Misuraca, come si è detto, in Dipignano, in Bisignano, ed in Roma si degnò di parlargli, e di farsi vedere innumerabili volte, a fine di sollevarlo dalle sue angustie, e ristorarlo dalle tollerate battaglie coll'infernale nemico. Essa gran Regina finalmente fu quella, che accertandolo di sua eterna predestinazione alla gloria, gli svelò il giorno, e l'ora della sua morte.
Con giusto proporzionato equilibrio poi compartiva, per dir così, la sua religione e riverenza verso gli altri Santi del Cielo, de' quali non solo invocava la protezione, e bramava la felicità, ma ne imitava ancora le virtù. Riguardò con distinta venerazione il suo Serafico Patriarca di Assisi: e questa divenne più segnalata, anzi ammirabile, nel dimorare che fece in Roma, nel convento di S. Francesco a Ripa del suo Ordine, dove passando le notti intere nella stanza abitata dal detto Santo (convertita in una Cappella divota e famosa per le innumerabili reliquie, che ivi raccolte si venerano) ebbe la bella sorte di vagheggiarlo più volte, tutto risplendente, e luminoso. Un tributo di ossequj offeriva ogni giorno al Patriarca S. Giuseppe, al glorioso Taumaturgo di Padova, ed a' Santi, e Beati dell'Ordine suo, per cui meritò, mediante la di costoro valevole protezione, di giungere felicemente all'eroismo. della santità, e della perfezione.
Capitolo VII
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Profondissima umiltà di Fr. Umile di Bisignano.
Dall'altezza di un edificio facilmente viene a conoscersi quanto i fondamenti siano profondi. Un principio è questo che può benissimo adattarsi ad un edificio spirituale. Eccelso e sublime abbiam divisato finora l'edificio delle virtù nel nostro Venerabile Fr. Umile; e perciò ci riesce non difficile il poter conoscere la profondissima sua umiltà, in cui fortunatamente egli fondollo. Ben per tempo giunse egli ad un grado eminente di contemplazione, e di unione con Dio; fu da esso arricchito di favori, e doni sovranaturali al non più oltre. L'estasi, le visioni, le profezie, i miracoli , e tutti quasi quei doni che diconsi gratis-dati, intrecciarono la di lui vita, come abbiam divisato finora, e più diffusamente in appresso: ma tutto ciò non deve recarci stupore, giacchè su egli umilissimo; e come tale, qual calamita celeste tirò a se ed abbracciò tenacemente tutte le grazie divine.
Dal Serafico S. Bonaventura in tre gradi distinguesi questa virtù dell'umiltà. Consiste il primo nel sentire bassamente di se stesso, e non allontanare lo sguardo dal proprio nulla. Consiste il secondo in una brama ardentissima di essere da tutti disprezzato. Il terzo finalmente in non attribuire a se cosa alcuna, ma a quel Dio solamente, da cui ogni bene a noi deriva. Il nostro Fr. Umile di Bisigñano ebbe sempre un dispregiantissimo sentimento di se stesso; desiderò mai sempre gli altrui dispregi e derisioni, ed il sommo Dio riconosceva solamente per l'unica fonte d'ogni bontà; fu dunque egli umilissimo.
Erano sì luminosi e splendenti i raggi della virtù, che tramandava continuamente il nostro servo di Dio, che muovevano i popoli tutti a venerarlo e riverirlo, come un Angelo dal Cielo disceso. Le città ed i villagi correvano a folla per venerarlo. Felice chiamavasi, chi poteva aver la sorte di baciargli l'abito, o di discorrer con lui. Gli uscivano all'incontro più miglia, ed al suono giulivo de’ sacri bronzi l'introducevano piedi di rispetto nella propria patria. Gli tagliavano addosso l'abito per divozione, ed ogni cosa da lui usata si custodiva gelosamente, come una Reliquia. Principi, Cavalieri, Sommi Romani Pontefici, l'acclamavano per Santo, e con venerazione somma trattavano seco. Il cielo con prodigi segnalatissimi contestava di continuo la di lui santità; nondimeno però era sì vile il concetto in cui si teneva, che riputandosi il più scellerato, indegno, e miserabile uomo del Mondo; bestia indomita e vaso di sporchezza costantemente chiamavasi.
Ammesso più volte a familiare discorso da'Sommi Romani Pontefici Gregorio XV. ed Urbano VIII, si dichiarava di continuo con amendue, ch'egli non già Fr. Umile, ma Fr. Superbo dovevasi chiamare, per le sue indegnità: e che meritava di essere sepellito vivo in una fossa. Piangendo dirottamente, asseriva di non aver fatto giammai bene alcuno, e che per la sua miseria non sapevasi risolvere mutar vita. Non poteva sofferire di essere tenuto per buon Religioso, e tutto arrossivasi in volto, nell'esser richiesto delle sue orazioni presso Dio. Esercitavasi quanto poteva negli ufficj più vili, e dispregevoli del convento, riputandoli cose ben proporzionate alla sua miseria, ed alla sua indegnità.
Tutte le disgrazie, che versavansi dallo sdegno di Dio sopra la cristianità a' giorni suoi, egli se ne chiamava in causa; ma soprattutto di quelle, che riguardavano più d'appresso la stessa sua patria.
Perseguitato, deriso, malmenato, e messo in disprezzo da'suoi, non meno che dagli esteri, egli non solamente non lagnavasi, ma ne giubilava, e ne tripudiava, perchè diceva: questi mi trattano, come mi merito, perchè conoscono ch'io mi sia. Vedendosi acclamato da' popoli e d'ogni condizione di persone, piangendo soleva esclamare. Ah se mi conoscessero! mi prenderebbero a sassate!
Tutto il suo esterno portamento spirava umiltà. Quel suo vestito sì povero, ed abietto; quel suo volto sì modesto, e composto; quel suo parlare con voce sommessa; quel suo sempre tenere gli occhi fissi in terra, mostravano il dispreggio che aveva di se stesso, e in cui voleva essere tenuto dagli altri. Mai dalla sua bocca si udì parola, o di suo vanto di sua scusa, o di sua pretensione. Non domandò mai nè sollievo, nè esenzione, nè sgravio di fatighe, stimandosi degno di essere lasciato cadere qual vile giumento sotto la soma. Considerando l' infinita distanza che passa tra Dio e l'uomo subbissava nel profondo del suo nulla, e sol si conosceva degno di dispregi, e d'ignominie. Le grazie poi, che copiosamente il Signore a lui compartiva, le ammirava come effetti della Divina liberalità; senza nessuno suo merito, e come nuovi debiti, che contraeva con Dio, senza aver dal canto suo, onde contracambiarli: e però da tale misericordia di Dio con lui traeva argomento, per semprepiù umiliarsi.
Lo studio poi, che pose in occultare le sue virtù, ed i doni ricevuti da Dio, fu grandissimo. Attribuiva alla debolezza del suo stomaco la necessità che aveva di concedere scarso alimento al suo corpo. Il suo dormire sulla nuda terra, diceva di essergli necessario, perchè avvezzo a dormire nella campagna, allorchè custodiva il paterno gregge; nè avrebbe potuto dormire sopra un pagliaccio. Altribuiva le sue estesi e i suoi rapimenti di spirito ad infermità; e lagnavasi di non aver potuto trovare qualche rimedio ai suoi stordimenti, come chiamava li suoi deliquj di carità. Questa bella virtù dell'umiltà in somma, colla quale l'uomo conosce coll'intelletto il suo niente, e colla volontà dispregia se stesso calpesta ogni vana stima del mondo, e ad imitazione di Gesù Cristo, vero Maestro degli umili, va incontro alle ignominie, ed agli obbrobrj, fu con impegno grandissimo praticata fino alla morte dal nostro Venerabile Fr. Umile di Bisignano.
Non pago poi di esercitare in se stesso atti continui d'una eroica umiltà, la medesima insinuava eziandio con tutto il calore a'suoi Religiosi confratelli, ricordando loro quanto a lui raccontato aveva, nel corso del suo noviziato, il suo maestro de' novizj, quanto disse cioè il B. Egidio, compagno del Serafico Patriarca, alla notizia che Fr. Elia da Cortona, per la sua superbia era miseramente caduto in abbisso di mali: Fratelli miei abbracciamoci colla terra, e sprofondiamoci quanto più possiamo, perchè Fr. Elia per troppo inalzarsi ha fatto una miserabile caduta!.
Quanto al cielo graditi fossero questi umili e bassi sentimenti che nutriva il nostro servo di Dio, quelle grazie gratis date, delle quali venne strabbocchevolmente arricchito, chiaramente ce'l dimostrano. Quel Dio, che si pregia di abbattere l'umana superbia, si pregia ancora di esaltare anche quaggiù in questa misera terra coloro, che sono umili di cuore. Tant'osserveremo praticato in persona del nostro Fr. Umile; e questa divina e mirabile condotta del Signore sopra di lui formerà la materia del terzo libro, che siegue.
FINE DEL SECONDO LIBRO.
LIBRO TERZO
IN QUESTO TERZO ED ULTIMO LIBRO SI PARLERA' DE' DONI E GRAZIE COMPARTITE DAL SOMMO DIO AL VENERABILE FR. UMILE: INDI SI DESCRIVERA' LA PREZIOSA DI LUI MORTE, E COME SIANO STATE DICHIARATE EROICHE LE SUE VIRTUDI TEOLOGALI, E CARDINALI.
Capitolo Primo
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Grazie gratis date, accordate da Dio al Venerabile Fr. Umile di Bisignano. Estasi, e ratti quasi continui. Sua scienza prodigiosa.
Quanto più si riflette alla condotta che suole tenere il Signore co’servi suoi tanto più dobbiam persuaderci, ch'egli veramente trova le sue delizie coi figliuoli degli uomini, per le frasi adoperate dalla sacra scrittura. E vero che non a tutti egualmente compartisce e dispensa i suoi doni gratuiti, o quelle grazie, che da Teologi gratis datae si chiamano; sempre però è verissimo, che diffondendosi in seno alle anime a se care, or per un aspetto, or per un altro, gloriose queste rende, ed ammirabili agli occhi del mondo, il quale è forzato a confessare del sommo Dio la beneficenza e bontà verso di chi lo serve, e lo ama. In seno però a certe anime predilette versa egli in maniera tutti i doni suoi, che nel teatro di questo mondo li fa risplendere e lumeggiare in guisa, che sembrano totalmente investite, e penetrate dalla stessa divinità. Tanto addiviene infatti, qualora arricchisce qualche anima di tutti quei spirituali carismi, che sono proprj dello spirito consolatore, e vengono noverati distintamente dall’Apostolo S. Paolo. Fra queste anime privilegiate e distinte merita il luogo particolare quella del nostro Fr. Umile, arricchita da Dio da tutti questi doni soprannaturali e superni, come ravviseremo partitamente nel corso di questo libro; dando principio dalle sue estasi e rapimenti, che lo resero di continuo estatico, e contemplativo.
Il P. Bonaventura di Cosenza, Religioso dello stesso istituto del nostro Fr. Umile, con giuramento depone quanto siegue ne' processi Apostolici. Nell'estasi fu singolarissimo (il Venerabile Fr. Umile), e per la continuazione, e per la lunghezza giunse una volta a stare estatico e sollevato da terra, per lo spazio di trentadue ore, e ne' viaggi, quasi sempre camminava estatico. Nell'orto zappando, restava spesso nel sentire i tocchi dell'elevazione della Messa, colla zappa in mano estatico, immobile, continuando per più ore, anche in tempo di gran caldo, in faccia ai raggi del sole. In Chiesa, in refettorio, per le pubbliche strade, in casa de' secolari, a vista di tutti spesso spesso veniva rapito in Dio, anche col corpo. In queste sue estasi, alle volte parlava di cose altissime, ed esagerava le offese fatte a Dio. Non poche volte profetizzava le cose future. Nel convento del Cirò a vista di numeroso popolo si sollevò da terra: e quantunque non pochi indiscreti cercassero con spinte, con urti, con tirarlo per la tonaca, e con pungergli i piedi e le mani con ferri aguzzi di richiamarlo ai sentimenti, non fu possibile. La sola voce del Guardiano, che gli comandò di ritirarsi in cella venne sull'istante eseguita. In Cosenza, zappando l'orto del convento, venne col corpo rapito in Dio colla zappa in mano, e si vide elevato sopra l'altezza di quei cipressi, che ivi sono.
In casa del Signor Principe di Tarsia, stando vicino al fuoco in un' estasi prodigiosissima, in cui esaltando la divina misecordia, pregava il Signore a non volere sterminare le Calabrie per mezzo del flagello del tremuoto, si abbruciò le piante in maniera, che penetrò la puzza della carne che si abbrustoliva, in tutto l'appartamento. In tale atteggiamento fu egli ritrovato, ma che nulla sentiva l'ardore delle fiamme. Ritornato in se stesso cominciò a lagnarsi, e nel volersi alzare, ajutato anche dai paggi del Principe accorsi alla puzza, cadde a terra; ma che? Appena profferì egli queste parole: benedetto sia Dio, che si alzò all'impiedi, senza lesione veruna. Lo stesso prodigio vedevasi replicato da Dio, ogni qualvolta il nostro Venerale Fr. Umile essendo in estasi, dall'altrui curiosità ed indiscretezza veniva trafitto, od abbruciato con candele accese. Domandato dal suo superiore, o confessore del motivo, per cui nell'estasi ora vedevasi col volto ridente, ora si trasformava di una maniera, ed ora di un'altra? Ripose, che alle volte si compiaceva il Signor di fargli vedere qualche tratto della Passione di Gesù Cristo, alle volte le pene acerbe de’dannati, alle volte la gloria de' comprensori beati. Gli rivelava alle volte gli eventi futuri della Chiesa e dello stato, relativi specialmente all'Italia, ed al Regno di Napoli. In queste sue estasi, ora stava colle mani giunte, ora colle braccia stese in forma di Croce ora col capo chino e mesto, ora sollevato e giulivo, ora cogli occhi chiusi, ed ora aperti, ed innumerabili volte si vedeva sollevato da terra con quelle cose, che stava maneggiando, colla zappa, col bastone, colla bisaccia, col messale, portando a servire a messa, col campanello, e simili. Esprimer non si può il vantaggio spirituale, che la frequenza e singolarità di queste recavano alle anime. Conciosiacchè ne' conventi dove dimorava, anche di passaggio, rinvigoriva lo spirito regolare, e da per ogni dove poi si convertivano a Dio peccatori ostinati, si toglievano nimicizie, si scioglievano concubinati, si restituiva il malamente tolto: in somma faceva più frutto un'estasi di Fr. Umile, che dieci prediche. Fin quì la deposizione giurata.
Questa sola trascritta deposizione sarebbe bastevole a rendere persuaso il leggitore divoto, che il nostro servo di Dio Fr. Umile visse sempre da estatico, e contemplativo; ma non devono tralasciarsi quelle, le quali vennero seguite da segnalati portenti, in beneficio altrui. Per ordine espresso del suo superiore si portò Fr. Umile in casa del Signor D. Salvatore Sangermano, per visitare la di lui sorella inferma, e spedita da Medici. Giunto vicino al letto dell'inferma, questa si raccomandò alle sue orazioni: ed ecco rapito in estasi il nostro servo di Dio col volto acceso, e grondante copioso sudore. A tal novità, si affollavano tutti della casa intorno a lui, e con un faccioletto gli tersero dalla fronte il gran sudore che scorreva, e collo stesso toccarono l'inferma, la quale in quel medesimo istante resto libera dalla febbre, e rinvigorita in maniera, che il seguente giorno potè alzarsi da letto, ed uscir di casa. Livia di Fida portò alla Chiesa della Riforma di Bisignano un suo figliuoletto di tre anni tutto pieno di scrofole nella gola, e pregò il superiore a fargli celebrare una messa nell'altare di Maria Santissima, sotto il titolo delle Grazie, e di comandare al nostro servo di Dio, che facesse orazione per essa. Condiscese il Guardiano a tal richiesta; anzi impose al Venerabile Fr. Umile, che servisse la Messa che fece celebrare in detto altare, e pregasse la Vergine per quel povero fanciullo infermo. Ubbidisce il servo di Dio: ma giunto il Sacerdote all' orate fratres, eccolo elevato due palmi sopra terra, rapito in Dio in un'estasi profossima. Subentrò un altro a servire la detta Messa, la quale terminata, ritornò in se Fr. Umile, e toccando col cordone l'infermo, istantaneamente restò guarito.
Quasi stolida, per una grave infermità sofferta, era rimasta la Signora D. Anna Milizia in Bisignano. Si porta a visitarla il nostro servo di Dio, ed alla di lei presenza diviene estatico, e sollevato più palmi sopra il pavimento. Ritorna all'uso de' sensi, e resta libera per sempre l'inferma dal suo malore.
Governando la Chiesa Arcivescovile di Santa Severina in Calabria Monsignor Pisani, volle che il nostro servo di Dio, il quale era di passaggio nel suo convento della terra di Misuraca, si portasse alla sua presenza, per avere la consolazione di conferir con lui alcuni affari di spirito. Il P. Antonio di Rossano, ed un altro frate laico vollero accompagnarlo e con maraviglia grandissima si avvidero, che il nostro Fr. Umile, per lo tratto di dieci miglia italiane, quanto appunto se ne contano dalla detta Terra di Misuraca, fino alla città di S. Severina, camminò sempre estatico, e sollevato da terra. Cammin facendo, s'incontrarono con un pover'uomo offeso in una gamba, per una piaga degenerata in fistola, il quale raccomandandosi alle orazioni del servo di Dio, istantaneamente restò guarito.
Un'altra volta il Guardiano del detto convento di Misuraca, a fine di mortificarlo, sul motivo che varie persone vi si erano conferite per divozione di vederlo, e viaggiato avevano per lo spazio di trenta miglia a questo sol fine, e recavan poi qualche disturbo al convento, lo chiamò avanti a se: e dopo averlo fortemente ripreso, lo discacciò dal convento, dicendogli che non si ritirasse fino a nuovo suo ordine. Con prontezza eseguì il comando il nostro Fr. Umile, quantunque dirottamente piovesse. Verso l'ore due della notte si ricordò il Guardiano del nostro servo di Dio, e spedì subito due Religiosi in traccia del medesimo per ricondurlo in convento. Vane riuscendo le loro ricerche, ritornarono dal Guardiano, il quale volle che nuovamente si portassero fuori del chiostro, e che lo avrebbero ritrovato. Con un precetto interno il P. Guardiano suddetto comandò al nostro servo di Dio, che si fosse portato vicino al convento, e tanto accadde; giacchè usciti di bel nuovo quei Religiosi, dopo pochi passi lo ritrovarono estatico, cogli occhi rivolti al Cielo, e colle braccia incrocecchiate nel petto. Presentatosi al suo superiore, venne da questo nuovamente ripreso, e mandato a ritirarsi nella cella, dove giunto saltando sopra il pagliaccio, su rapito con tanta forza verso, il Cielo, che toccando colla testa la soffitta di essa cella, perdurò in tale atteggiamento fino all'ora di prima del giorno seguente.
Di un uomo intanto, la di cui conversazione era più ne' Cieli, che in questa terra, non deve recarci maraviglia in sapere, che fu da Dio arricchito col dono della sapienza celeste. Egli era talmente idiota, che non conosceva neppure le lettere dell'alfabeto: ciò non ostante, fè restare sbalorditi e confusi i primi teologi del suo Ordine, e quanti altri vollero fare sperimento del suo sublime soprannaturale sapere. Si conobbe arricchito di questo gran dono dello Spirito Settiforme nel suo convento di Bisignano, in occasione che ivi ritrovavasi il P. Adriano di Napoli, celebre Predicatore del suo Ordine, che doveva in quell'anno predicare la quaresima nel duomo di quella città. L'ultima Domenica di carnovale dopo la cena, il detto padre si trattenne in santa ricreazione cogli altri padri di quel convento, discorrendo di varie cose, ma tutte analoghe alla santa predicazione, che doveva intraprendere. Il nostro servo di Dio, passando per detto luogo, venne veduto dal predicatore, il quale chiamandolo a se, più per divertirsi, che per altro fine, gl'impose con un contegno di superiore, che gli spiegasse per qual motivo, mentre nel fiume Giordano il Battista battezzava il Redentore, si fè vedere sopra il di lui capo lo spirito Santo in forma di colomba? Eseguì con prontezza il nostro Venerabile Fr. Umile il comando del Predicatore, e per lo spazio, di țre quarti d'ora discorse su di un tal quesito con tale profusione di dottrina teologica e scritturale, che pieno di meraviglia quel Padre esclamo: Gran Dio! ho letto teologia per lo spazio di venti anni: non son peregrino nelle sacre scritture, e pure confesso, che sono ignorante in confronto di Fr. Umile! Maravigliati rimasero gli altri Religiosi ancora e si accertarono che oltre ai doni de'miracoli, estasi, e profezie, era il loro santo confratello arricchito del gran dono della scienza.
Divulgatosi il gran successo per la città, volle un altro Religioso dell'istesso suo istituto, chiamato il P. Bernardino Locchi, Teologo, e Predicatore, discorrere col nostro servo di Dio nel chiostro del convento, sopra alcune quistioni teologiche alle quali egli rispose con prontezza, e precisione cosi mirabile, che non avrebbe potuto farlo il più famoso cattedratico di teologia dell'Europa.
Dimorando nel convento di Cosenza, dove pervenuta era la notizia della scienza sopranaturale del nostro Fr. Umile, vollero i lettori di teologia di quel tempo farne sperienza. A qual motivo pregarono il Guardiano, che imposto avesse al servo di Dio di conferirsi nella sala dello studio, e rispondesse a tutti quei quesiti, che gli sarebbero proposti. Tutto confuso in se stesso, ubbidisce il nostro servo di Dio, e con tanta profondità di sapere teologico risponde a quei lettori, che costretti sono ad esclamare piangendo: Mirabilis Deus in sanctis suis.
Non vollero a tutto ciò prestar credenza alcuni letterati Cosentini, fra i quali si distingueva un certo Flavio Cuzzolino, che con varj motteggi cercava di mettere in derisione il sapere di Fr. Umile. Di concerto si condussero una sera nel convento, e richiesero al Guardiano il permesso di discorrere col nostro servo di Dio, col pravo disegno di avvilirlo, e confonderlo. Sopra di essi però versò Iddio la confusione e la vergogna; giacchè non potendo resistere alla sapienza di Fr. Umile, malgrado tutti i loro sforzi e raggiri, ebbero più di una volta a pentirsi della temeraria loro risoluzione. Durò questa disputa per una notte intera, e riuscì al nostro servo di Dio di renderli ravveduti, e non amanti di certe dottrine novelle, da impuri fonti ricavate.
Nella città di Catanzaro, allorchè si condusse in Messina, più di una volta si fece a conoscere arricchito di un dono si eccelso, e confuse alcuni Religiosi di altro istituto, che per deriderlo, finsero di volersi con lui consigliare. In Roma poi venne per questo capo anche venerata la sua gran santità; e spesso spesso si portavono alla sua povera cella gli uomini più celebri di quel tempo per conferire con lui, ed ammirare nel tempo medesimo la condotta di quel Dio, che in tante, e sì varie guise esalta, e magnifica gli umili, e mondi di cuore.
Non si vuol tacere però una circostanza nobilissima, e forse singolare di questo suo celeste sapere. Egli, come si è detto, non sapeva neppure le lettere dell'alfabeto, e pure alle volte nel raggionare di cose teologiche, e di sacra scritura, adoperava un terso, e limato parlare latino, da paragonarsi con quello dello stesso Tullio. Neppure tacer si deve, che sempre questi discorsi da lui fatti, in virtù di sopranaturale sapere, terminavano con un'estasi profondissima, per la quale restava il di lui volto tutto acceso, e rubicondo; indizio di quel fuoco consolatore, che siccome nel cenacolo di Sion volle far pompa delle sue grazie sopra poveri pescatori, così in quest'ultimi tempi volle arricchirne puranche il nostro Fr. Umile.
Capitolo II
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Penetra l'altrui cuore e vede le cose distanti.
Non vi è sguardo, umano, che giunger possa apenetrare i tortuosi seni del cuore dell'uomo. Iddio solo che lo formò ne scuote le fibbre, e ne penetra le midolla come si esprime la scrittura. Questo è quel dono superno, che il Signore compartir suole a' pochi suoi prediletti, onde renderli anche qui in terra rispettabili, e gloriosi. Fra questi noverar possiamo anche noi il nostro Fr. Umile di Bisignano. Egli non una, ma innumerabili volte da Dio illustrato, spinse il suo sguardo nell'altrui interno, e con chiarezza somma ne disvelò i pensieri, e i desiderj più occulti, e celati: diamone un saggio per consolazione del divoto lettore. Nel giardino del suo convento di Cosenza zappava egli un giorno in compagnia di un altro Frate Converso suo paesano, chiamato Fr. Vincenzo. Venne a questi desiderio di mangiarsi pochi fichi freschi, ma senza esternare con parole, o gesti un tal suo desiderio. Il nostro servo di Dio lascia di zappare la terra, ascende sopra una pianta di fico poco distante, ne raccoglie qualche numero, e presentandosi al suo compagno gli dice: ecco li fichi che desideri: appaga il tuo desiderio, e proseguì il suo lavoro. Qual rimanesse il detto Fr. Vincenzo se'l figuri chi legge, vedendo arricchito di un dono sì grande il suo compaesano, e correligioso.
Viaggiando nella Calabria Ulteriore, un Religioso Sacerdote, a cui egli serviva di compagno, a fine di accertarsi della di lui santità, con l'interno gli comandò, che giunto ad un certo luogo non passasse più oltre, ma si fermasse colle mani giunte avanti il petto. Tanto coll'interno gli venne imposto, e tanto eseguì. Pervenuto al luogo prefissogli, si fermò egli colle mani giunte, senza passar oltre. Si fece a richiedergli il detto Sacerdote del motivo di tal novità, ed egli prontamente rispose: eseguisco Padre, quanto comandato mi avete.
Un certo Frate laico anche di Bisignano, di nome Simone, fomentava nel suo interno un gran desiderio di trovare qualche tesoro, per poi fabbricare un magnifico convento in un luogo eminente, e di aria salubre di detta città. Il nostro servo di Dio incontrandolo nel chiostro, in atto che formava dentro se stesso questi castelli in aria, scherzosamente così lo riprese: Oh paesano mio, e che bel convento che potrai fabbricare colli tesori che desideri di trovare! oh che gran bene potrai fare alla nostra Patria! Arrossì il povero Fr. Simone vedendosi scoverto dal nostro Fr. Umile, e da indi in poi, con fervore indicibile, attese a tesaurizzare per lo Cielo.
Trovandosi il nostro servo di Dio nel convento di Figline, Casale di Cosenza, estatico nel Coro con un bastone nelle mani; il Guardiano comandò ad alcuni Religiosi, che pigliassero detto bastone in suo nome, ma nel suo interno diceva che non lo dasse. Eseguirono quelli quanto era stato loro imposto; ma non fu possibile strapparglielo, per quanta forza adoperassero: mutando volontà però il detto Guardiano, lo rilasciò subito. Questo era mirabile nel nostro servo di Dio, giacchè immerso nelle sue estasi intendeva però sempre, ed eseguiva la volontà de' suoi superiori.
La Signora D. Elisabetta Caro di Bisignano, più volte, per mezzo di un Religioso, mandò pregando il nostro servo di Dio, per intercedergli dal Signore la grazia di restar libera da varie infermità, che la molestavano. A tutto questo nulla rispondeva il Venerabile Fr. Umile, contro il suo costume, tutto portato a consolare chiunque a lui ricorresse. Maravigliato per tal condotta il Religioso, le ne richiese il motivo, ed il servo di Dio prontamente gli diede questa risposta: La Signora si è dimenticata della grazia chiesta a Dio tante volte, di essere in questo mondo sottoposta ad infermità e dolori, per iscampare l'inferno; di che si lagna adesso? soffra, e taccia. Riferito tutto ciò alla medesima, arrossita in volto confessò, che tutto era vero, ma che Fr. Umile non poteva saperlo che per lume superiore.
Stando il nostro servo di Dio ammalato in Roma, nel Convento di S. Francesco a Ripa, si portò a visitarlo D. Mario Loise suo paesano, e ritrovando nella cella di Fr. Umile varj personaggi distinti, che discorrevano di cose spirituali, gli saltò il pensiero sopra del suo cognato, uomo di non sani costumi, e disse fra se: Mio cognato al certo non parlerebbe di cose spirituali. Appena formato questo interno giudizio, senti dirsi dal nostro servo di Dio: Signor Mario sii fedele, e non essere incredulo. Tanto bastò per renderlo ravveduto, e ricolmo nel tempo stesso di maraviglia, conoscendo a prova che il servo di Dio scuopriva chiaramente i più segreti pensieri dell'altrui mente.
Da questo gran dono, onde era arricchito da Dio, nascevano quelle conversjoni mirabili di tanti peccatori, per l'addietro ostinati nella colpa, e scandalosi. A questi, secondochè gli cadeva in acconcio, si presentava il nostro Venerabile Fr. Umile, e scoprendo loro parte a parte tutte le interne macchinazioni, relative ai loro pessimi costumi, li ricolmava a principio di salutare confusione, indi li confortava, ed incoraggiva al ravvedimento; e così rendendoli disposti, li conduceva a piedi del confessore, e li riconciliava con Dio. Questo era il motivo, per cui chi non sentivasi colla coscienza in pace, sfuggiva di trattarlo sulla certezza, ch'egli il dono aveva di penetrare l'interno altrui. Si è detto anche sopra, che immerso nelle sue dolcissime estasi, scuoprendo gli occulti pensieri di qualche persona presente, o l'ammoniva a desistere dalle sue colpe, o a sfuggire i pericoli di peccare, o ad infervorarsi più nel divino servigio.
Intorno poi all'altro dono di vedere le cose distanti, il che era impossibile, che succeder potesse naturalmente, un solo fatto basta per motivo di brevità. In esecuzione dell'ubbidienza impostagli dal suo Superiore, di trasferirsi dal suo convento di Bisignano a quello della Terra di S. Fili, passò il nostro servo di Dio per la casa paterna, ed avvertì la sua madre, a non volere in quel giorno salire sopra gli alberi di moro, o di gelso, per raccogliervi la fronda necessaria per alimentare i bachi da seta, giacchè sarebbe precipitata da quell'altezza, ed avrebbe perduta la vita. Ciò detto, si incaminò al suo destino. La madre non curando l'avviso del figlio, dopo due ore sali sopra uno di detti alberi, per cogliervi le frondi: ma che? Si distaccò uno de' suoi rami dove ella poggiavasi, per cui miseramente precipitò nel terreno, e sul fatto restò estinta. In quel medesimo istante il nostro servo di Dio, lontano più miglia da questo luogo, volgendosi indietro, e facendo un segno di Croce verso l'emisfero di Bisignano, disse a voce alta: Requiem aeternam dona ei Domine, e proseguì il suo viaggio. Cosa è questa? gli richiese il compagno. Sappiate, egli rispose, che a questo punto è morta la mia buona madre, per essere caduta da un albero di gelso; ma deve stare pochi giorni nel Purgatorio. Notò il compagno tutte questo parole, ed il tempo, e l'ora in cui vennero profferite, e nel ritorno in Bisignano tutte trovolle avverate; onde conobbe, che per interna illustrazione parlato aveva il nostro Venerabile Fr. Umile.
Capitolo III
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Continuo dono di profezia conceduto al nostro Venerabile Fr. Umile.
Quel Dio, che in mille luoghi delle sacre carte protestasi di ritrovare le sue caste delizie coi figliuoli degli uomini, volle oltre ogni credere deliziarsi col nostro servo di Dio, arricchendolo di doni e di grazie segnalate e distinte, come abbiamo osservato finora, e si osserverà nel corso di questa storia. Oltre al dono infatti della penetrazione de' cuori, volle anche fregiarlo del gran dono della profezia, delle quali in questo capo ne registreremo qualche numero, per evitare la prolissità, ed allontanare ogni noja dal divoto lettore.
Dimorando egli nel suo convento di Pietrafitta, Casale di Cosenza dove in quel tempo esistevano due altri conventi Religiosi: quello de'PP. Domenicani cioè, ed un altro de'PP. Minori Cappuccini, si discorreva un giorno da alcuni suoi Religiosi del vantaggio che aveva detto Casale, di accogliere nel suo seno tre istituti Regolari. Non sarà così da quì a qualche tempo, ripigliò il nostro Fr. Umile; giacchè Pietrafitta resterà col nostro convento solo. Le sue parole vennero accolte con qualche disprezzo, e tacciate di temerarietà: eppure furono profetiche; giacchè dopo qualche anno i PP. Cappuccini abbandonarono il loro, e quello de' PP. Domenicani venne compreso nella soppressione Innocenziana; il solo convento de' PP. Riformati restò esente, e tuttavia vi esiste. Ecco avverata la gran profezia del nostro servo di Dio.
Si condussero un giorno i convittori del Seminario Vescovile di Bisignano nel convento de'PP. Riformati della stessa città, fra i quali vi era un chierico chiamato Giovanni Greco, il quale trattava di rendersi Religioso Riformato. Si accostò al nostro servo di Dio, che zappava nell'orto, Fr. Antonio di Bisignano, ed addittandogli detto giovine, gli disse: Fr. Umile quel seminarista sarà nostro Religioso. Lo guardò il servo di Dio, e subito ripigliò: no no, sarà Prete, Parroco di questa Città, come verificossi; giacchè dopo qualche tempo cessò in lui il desiderio di rendersi Religioso, senza sapere come.
Diego Cranca di Bisignano custodiva li bovi, e li conduceva al pascolo nella campagna; si accostò a lui un giorno il nostro servo di Dio, e mettendogli le mani sul capo, gli disse: figlio confida nella provvidenza e misericordia di Dio, perchè hai da essere Sacerdote: come può essere, ripigliò subito quel giovine, se io non so leggere, nè scrivere? Tanto sarà, rispose Fr. Umile, giacchè non ti mancherà l'ajuto di Dio. La divina provvidenza che lo aveva scelto per Sacerdote, lo guidò inaspettatamente ad apprendere l'alfabeto , e poi ad istruirsi nella gramatica, per cui assumendo lo stato Chiesiastico, divenne un Sacerdote esemplarissimo, ed in tale concetto passò all'altra vita.
Il Sacerdote D. Giuseppe di Caro di Bisignano, dovendo partire per Roma, volle licenziarsi dal nostro servo di Dio e raccomandarsi alle sue orazioni, e con suo gran contento venne dallo stesso assicurato, che sarebbe Vescovo di Bova nella Provincia di Bari.
Essendo chierico il P. Fr. Bernardino di Bisignano, venne dal nostro servo di Dio animato ad attendere con fervore agli studj; giacchè doveva essere Procuratore Generale dell'Ordine, come dopo quarant'anni verificossi.
Predisse un anno prima il gran terremoto, che recò danni immensi alla Calabria, replicando pesso queste parole: Povera Calabria! da quì ad un altro anno sarai perseguitata senza vedere chi ti perseguita!
Ad una donna di Bisignano, chiamata Angelica Loise, predisse che doveva partorire un figlio, al quale avesse imposto il suo nome di Umile. Nacque il fanciullo, ed il servo di Dio vagheggiandolo un giorno assicurò i genitori suoi che sarebbe stato Sacerdote, e Parroco, a qual motivo Iddio l'avrebbe più volte scampato dal fuoco. La madre infatti, o perchè ossessa, o perchè sottoposta a morbo frenetico, più e varie volte buttò questo fanciullo nelle fiamme, dalle quali né fu sempre levato illeso: e così venne a verificarsi quanto predetto aveva di lui il nostro Fr. Umile; giacchè a suo tempo ascese al Sacerdozio, e fu Parroco della Chiesa di S. Giambattista di Bisignano.
La stessa Angelica Loise, avendo di seguito partorito tre figlie femmine, veniva perciò di mal occhio guardata da Giambattista Cosentino suo suocero. Passando il nostro Fr. Umile un giorno davanti alla sua casa, le disse chiaramente che stasse pure di buon animo, giacchè avrebbe di seguito partorito tre figli maschi, ma tutto ciò non avrebbe veduto il di lei suocero, che l'affliggeva. Tanto e non meno si verificò col fatto.
Mentre era in Roma il nostro servo di Dio, il Signor D. Mario Loise di Bisignano andò a ritrovarlo, per essere da lui sollevato da una penosa malinconia che affliggevalo, a motivo che eragli stato ucciso l'unico suo figlio. Lo consolò infatti, e l'assicurò, che Iddio conceduto l'avrebbe altri figliuoli. La moglie di detto Signore, chiamato D. Urania Rende, era troppo inoltrata negli anni e perciò dubitava della predizione del nostro Fr. Umile. Dopo qualche anno questa passò a miglior vita, e passando detto D. Mario a seconde nozze colla Signora D. Anda Luzzi di Ottavio, procreò colla medesima varj figli, in adempimento della profetica promessa del nostro gran servo di Dio.
Essendosi fatto Religioso Riformato il nobile giovanetto di Bisignano D. Carlo Luzzi, il di lui genitore ne mostrò tanto dispetto, che condottosi nella Chiesa della Riforma maledisse pubblicamente il suo figlio, e minacciò gli effetti della sua collera à tutt'i Religiosi di quel convento, e tutto stizzoso e furibondo se ne tornò a casa. Temevano quei poveri Religiosi di qualche disturbo; ma il nostro servo di Dio li tranquillo con assicurarli, che fra mezz'ora sarebbe quel Signore ritornato in Chiesa, tutto diverso da quello di prima. Infatti scorsa appena la mezz'ora, prescritta dal Venerabile Fr. Umile, si vide quegli di ritorno; ed entrato nella Chiesa, e genuflesso innanzi all'Altare Maggiore, benedisse a voce alta il figlio fattosi Religioso, cercò scusa a tutti dello scandolo loro dato, e delle minaccie fatte a quella Religiosa famiglia, con stupore indicibile di tutti coloro, che erano stati presenti al primo suo trasporto di collera.
Era ristretto in carcere per debiti, nella città di Montalto, il padre di Andrea Nigro della Terra di S. Lorenzo; la moglie si raccomandò al nostro servo di Dio, che stanziava in quel convento di detta Terra, e venne dallo stesso assicurata, che fra lo spazio di un mese sarebbe suo marito uscito dalle carceri, come puntualmente avverossi; avendogli il creditore, ch'era il Signor Marchese della Valle, generosamente rilasciato il debito.
Stava per passare all'altra vita una sorella cugina del nostro Venerabile Fr. Umile, chiamata Livia Pirozzo. Vi si condusse egli, e la confortava a ben morire. Fece poi accendere una candela benedetta, e disse chiaramente alla moribonda, quando sarà consumata questa candela passerete a goder Dio nell'altra vita; e tanto avvenne.
Era di passaggio nella Città di Castrovillari il nostro Fr. Umile, e richiese ad una donna un poco di tela per fasciare, una ferita fattagli nella mano dal suo compagno, chiamato F. Giuseppe da Fuscaldo; e questa con gran generosità gli offerì un lenzuolo intero. Il nostro servo di Dio rifiutandolo le soggiunse: conservatelo, che vi servirà per fasciare quel figlio che farete. Era questa stata sterile per lo spazio di dodici anni; ma dopo la predizione del servo di Dio partorì un figlio, e si servì appunto di quel lenzuolo, per fasciarlo.
In Cosenza finalmente stava moribondo un Religioso di gran virtù, chiamato Fra Taddeo di Aprigliano. Si credevano tutti i Religiosi che dovesse spirare in quel giorno, che correva la vigilia di tutti Santi; non sarà cosi, disse il nostro Fr. Umile ivi presente ma deve passare all'altra vita il giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, giacchè il Signore vuole che quell'anima partecipasse di quei generali suffragi. La mattina infatti di detto giorno passò quel buon Religioso all' eternità. Il racconto di queste poche profezie, puntualmente avverate, basta a farci conoscere il nostro Venerabile Fr. Umile arricchito da Dio di spirito profetico.
Capitolo IV
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Miracoli operati da Dio alle preghiere del Venerabile Fr. Umile, mentre viveva.
Finora il divoto lettore, scorrendo la storia della vita e virtù di quest'uomo giusto, ha conosciuto chiaramente, che il Signore ha voluto renderlo sempre glorioso; giacchè appena nato alla luce, e ristretto in fasce, cominciò a dare segni certissimi di sua santità futura, ai quali vennero di continuo accoppiati prodigj, e portenti sì rari, che a giusta ragione veniva chiamato il Taumaturgo del suo secolo, ed un altro S. Francesco di Paola. Se altri avessero scritto la Vita di questo servo del Signore, mi sarei dispensato di far entrare questo capitolo nel piano della medesima; ma essendo questa la prima volta che per le stampe viene a divulgarsi la serie delle virtù e prodigj del gran servo di Dio, ho stimato cosa ben fatta, di rapidamente accennare in un capitolo a parte qualche numero di prodigj, da Dio operati, in contestazione della santità di questo fedele suo servo, mentre viveva.
Sia il primo a narrarsi quel che avvenne in una pianura, vicino alla Città di Tarsia. Viaggiava il nostro Venerabile Fr. Umile, seguito da una turba di gente, che oltrepassava il numero di settanta persone, mosse dalla gran divozione che avevano in lui, reso già da Dio il secondo Taumaturgo della Calabria. Per quanto fossero efficaci le sue preghiere, affinchè la detta gente cessasse di seguirlo, non gli riuscì di farsi ubbidire. Passata l'ora di mezzo giorno, si fermò il nostro servo di Dio all'ombra di una quercia , e mosso a compassione di quella povera gente, ch'era digiuna, richiese al suo compagno Fr. Vincenzo di Bisignano, se avesse qualche cosa nella sua bisaccia, per somministrar loro qualche picciolo rifocillamento. Sorrise questi a tal richiesta; e più da scherzo che daddovero depositò a' piedi del nostro Fr. Umile quanto avea di commestibile, cioè, tre soli pani ed un pezzo di formaggio. Oh, disse allora il servo di Dio, questi basteranno certamente. Comandò a tutta quella gente che si sedesse intorno a lui, e benedicendo quei pochi pani, e quel pezzo di formaggio, incominciò a distribuire a ciascheduno una buona porzione; e con istupore indicibile di tutti, che ad occhi aperti erano testimonj e spettatori di un prodigio sì grande; tutti rimasero soddisfatti, anzi ne avanzò, qualche porzione, la quale venne gelosamente custodita dal suo compagpo, e servì in appresso, vivendo anche il nostro servo di Dio, di farmaco prodigioso contro varj malori. Una bricciola infatti di detto pane fugava febbri maligne, smorzava incendj, rammarginava ferite, dava la loquela a muti, e scioglieva i letarghi più profondi.
Viaggiava un'altra volta per la selva Bruzia, o come dicesi volgarmente, per la Sila di Cosenza, a'tempi suoi quasi tutta ingombra di boschi impenetrabili e scarsissima di abitazioni. Camminar si dovevano le venti, e le trenta miglia alle volte, per trovare un misero tugurio di poveri mandriani. Or mentre nella vastità di quelle selve camminava col suo compagno Fr. Ludovico di Lattaraco, smarrendo la strada si avvidero che giunger non potevano in Cosenza, per dove si erano incamminati, pria di farsi notte. Era giorno di digiuno, ed il povero compagno non poteva reggere più agli stimoli della fame. Compassionandolo il nostro servo di Dio, gli disse: sta allegramente, giacchè all'uscita di questo bosco farai colazione. Animato da questa promessa, proseguì il cammino. Infatti in uscire dal bosco videro un tugurio, dal quale sortì un vecchio tutto gentile ed amabile, che offerì loro un pane, una cipolla, ed un picciolo vaso di creta pieno di vino. Si assisero a'piedi d'un albero, e fecero allegramente colazione: la quale terminata, nel volere il detto Fr. Ludovico ringraziare il suo benefattore, gli scomparirono di avanti il tugurio, ed il mandriano; per cui comprendendo allora il gran prodigio, piangendo per tenerezza, si buttò ai piedi del nostro Fr. Umile, da cui venne caldamente pregato a non manifestare il grande avvenimento, se non che dopo la di lui morte, come venne ubbidito.
Veronica Rotella aveva un figlio totalmente cieco, per la mala qualità del vajuolo l'anno avanti sofferto. Lo raccomando la madre al nostro servo di Dio, mentre questi passava innanzi alla di lei casa, questuando. Se ne mosse a compassione il Venerabile Fr. Umile, e col cordone gli fece un segno di croce su gli occhi, e subito ricuperò quel fortunato ragazzo perfettamente la vista.
D. Diego Branca, troppo caro al nostro servo di Dio, era su li confini della vita per una putrida e maligna infermità. Lo visitò il Venerabile Fr. Umile, e pregando a piedi del letto per lui, istantaneamente restò libero dalla febbre.
Viaggiando il nostro Fr. Umile verso la Terra di S. Lorenzo del Vallo, s'incontrò con due poveri, uno quasi totalmente storpio, che appena regger si poteva in piè; e l'altro privo totalmente di vista, che dall'altrui carità andavano mendicando la sussistenza. Mosso da carità il nostro servo di Dio, disse al primo: In nome di Gesù Cristo, levati su; e fece al secondo sopra gli occhi un segno di Croce, ed istantaneamente restò libero da ogni attrazione il primo, e ricuperò perfettamente la vista il secondo. Siate timorati di Dio, loro soggiunse Fr. Umile, e cercate di procurarvi il pane colla fatica delle vostre mani.
Nacque in Bisignano un fanciullo con una mostruosa escrescenza di carne sul capo. La madre, afflittissima per tal disastro, lo fa presentare al nostro Fr. Umile, il quale appena la tocca, la fa scomparire, e restituisce non più deforme, ma ben composto Antonio Ferraro ( tale era il nome del fanciullo ) all'afflitta sua madre.
Fr. Tommaso di Bisignano Laico Minor Riformato, è molestato da una rottura enorme, e da una piaga profonda nelle parti segrete del corpo. Si raccomanda al nostro servo di Dio, il quale stendendo la mano sopra di lui, e profferendo queste sole parole: eh non è niente, istantaneamente da'suoi malori viene liberato.
Isabella Alitto, dichiarata etica da tutti i medici di Bisignano sua patria , visitata dal servo di Dio, e segnandosi col di lui cordone, viene abbandonata dalla febbre, e ricupera la pristina salute.
Una postema cancrenosa nella gola di Orazio Calentono lo spinge a gran passi verso la sepoltura. Lo segna il nostro Fr. Umile col suo cordone, e in quel medesimo istante resta libero dal micidiale malore.
Una quantità di bachi da seta, alimentati da Francesca Caruso, per sostegno della sua povera casa, stavano per morire. Ricorre tutta piangente al nostro servo di Dio, il quale benedicendo quei vermini industriosi e benefici, non solamente gli scampò dalla morte, ma li moltiplicò in maniera, che in quell'anno fu per essa al doppio la raccolta della seta.
La figlia di detta Francesca era itterica, ma baciando il mantello del nostro Fr. Umile, restò libera da quel morbo.
Questo picciolo saggio di miracoli, da Dio operati in contestazione della santità di Fr. Umile di Bisignano, mentre viveva, è bastante per lo mio disegno.
Capitolo V
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Concetto universale della santità di Fr. Umile di Bisignano.
Una santità straordinaria e singolare, in contestazione della quale impiega il cielo i mezzi più segnalati e risonanti, deve per necessità essere accompagnata da una venerazione e rispetto universale e costante de' figli della Chiesa. È questo un principio certissimo, alla di cui certezza cospira la continua sperienza di tutt'i secoli della medesima Chiesa. Se coloro, che vivon fuori di quest'arca di salute, costretti sono a venerare, rispettare nel tempo stesso la virtù cristiana esercitata eroicamente da un vero fedele; con quanta maggior ragione deve questa esiger rispetto da chi la conosce, ne pondera il peso, ne ravvisa il principio, e ne calcola i rapporti? Che il nostro Venerabile servo di Dio Fr. Umile di Bisignano sia stato dal Cielo arricchito di doni straordinari e segnalati, giusto premio per altro delle sue eroiche sublimi virtudi, l'abbiam conosciuto ad evidenza nel corso di questa storia: qual maraviglia intanto se venne, mentre visse, da tutti indistintamente venerato, riverito, ed acclamato per santo?
L'odore delle di lui virtudi, ristretto, e circoscritto dai limiti della sua Patria, incominciò a dilatarsi appena indossò egli l’Abito Religioso di S. Francesco, per cui dovè trasferirsi nel convento di sua Religione nella Terra di Misuraca; indi via via dilatossi in maniera, che diffondendosi fuori i limiti del nostro Regno, passò le Alpi, e i Pirenei, e si diffuse, starei per dire, per tutta la nostra Europa. Chi ha letto li processi Apostolici, compilati per la Beatificazione, e Canonizzazione del nostro Venerabile Fr. Umile, deve meco convenire, che particolare impegno ebbe l'Altissimo di renderlo, mentre viveva, da pertutto acclamato e riverito, per cui riscosse la di lui virtù, e la sua persona altestati di venerazione e di rispetto straordinari, e singolari.
Egli veniva seguito dalle popolazioni intere, allorchè viaggiava da un luogo ad un altro. Le stesse popolazioni appostavansi nelle strade, per le quali doveva egli passare, per avere la divota consolazione di vederlo, ed implorare nel tempo stesso l'ajuto delle sue orazioni presso Dio. Se si portava in qualche città, o villaggio, era cosa usuale uscirgli incontro col Clero gli abitanti tutti, ed introdurlo nelle loro mura al suono giulivo di tutti i sacri bronzi, ed allo sparo delle artiglierie.
Per trasporto di divozione spesso spesso la gente gli tagliava in pezzi l'abito, ed il mantello addosso, e se il Signore colla sua Onnipotenza non accorreva con prodigio di farlo subito crescere prima, non sarebbe bastato il panno dell'intera Provincia per rivestirlo, o avrebbero dovuto i superiori tenerlo ristretto dentro del chiostro. Questi pezzetti però di mantello e di tonaca del nostro servo di Dio operavano continui prodigj; per cui è cosa agevole l'inferirne, che il grido della di lui santità di giorno in giorno dilatavasi per le Provincie le più lontane. Ecco il motivo per cui i suoi rispettivi Superiori ricevevano allo spesso da Paesi lontani, e de' Regni forestieri lettere di personaggi distintissimi, nelle quali venivano supplicati a volere interporre la loro autorità presso il nostro venerabile Fr. Umile, acciò porgesse le fervorose sue suppliche al Signore, per quelle grazie che rispettivamente bramavano. Il nome del nostro servo di Dio era in bocca di tutti: e per questo appunto sembrava che il Cielo avesse voluto tutto occuparsi in esaltarlo, e glorificarlo su questa terra.
Qualora si riflette che due Sommi Pontefici, Gregorio XV. cioè, ed Urbano VIII, mossi dalle notizie costanti delle virtù segnalate del nostro servo di Dio, lo vollero di persona trattare, perciò lo chiamarono in Roma, dove tanto il primo, quanto il secondo restarono non solamente edificati, ma ricolmi ancora di maraviglia, conoscendo in quante guise mirabili il sommo Iddio versava in seno di questo fedele suo servo i suoi doni, e le sue grazie; può ciascheduno asserire con franchezza, che l'universale concetto della santità di Fr. Umile era ben fondato, e non efimero.
Era cosa continua vedere genuflessi a piedi del nostro servo di Dio, Dame, Cavalieri, Titolati, ed altre persone distintissime, in atto di ammirare la di lui stupenda santità, ed implorare la di lui benedizione. Erano tutti spettatori de' gran doni, onde era ricolmato da Dio; e perciò tutti indistintamente lo veneravano, e riverivano qual Santo. Questo era per ordinario il nome, con cui veniva chiamato, di Religioso Santo, cioè, e di uomo più celeste, che terreno.
Malgrado poi l'umile e dimesso contegno del nostro servo di Dio, riuscì non pertanto a varie persone di farlo ritrarre in tela, specialmente nella Sicilia, ed in Roma, a fine di averlo presente dopo la di lui partenza, e godere così in qualche maniera della di lui compagnia. Veniva finalmente da lontano invocato qual santo: e premiando Iddio la fede di chi l'invocava, accresceva sempreppiù ne'cuori di tutti un gran concetto della Santità e perfezione del nostro Venerabile Fr. Umile.
Capitolo VI
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Si ammala per l'ultima volta, Maniera singolare come si dispone ad un tal passaggio.
Una vita fino dalla puerizia sottoposta con eroismo sotto il peso della Croce, per cui volle menare i giorni suoi sempre dietro il suo diletto, ora camminando, ora inerpicandosi sopra lo scosceso monte della mirra, doveva per necessità soccumbere a continue e varie infermità, ed essere il bersaglio di diversi malori. Tale fu per appunto tutta la serie de'giorni, che visse su questa terra il nostro Venerabile servo di Dio Fr. Umile di Bisignano. Scelto da Dio ab eterno, per conformarsi colla Immagine del divino suo Figlio, non cercò altro in questa terra che di sempre crocifiggere la sua carne, e di renderla cosi sottoposta, e non restia all'impero del suo spirito. Quindi allontanando da se ogni sollievo, anche innocente, e per ogni verso saturandola di mortificazioni, e di asprezze, fu più volte obbligato a cadere sotto il peso di una penitenza rigida, e severa.
Varie, e tutte gravi e nojose furono quelle infermità, ch'egli pazientemente sostenne nel corso degli anni suoi; dalle quali però quasi sempre prodigiosamente rialzavasi, per ripigliare con più vigoria l'intermesso cammino della mortificazione cristiana. Nel tempo della sua dimora in Roma, tre volte venne munito de Santi Sagramenti, e per attestazione de' medici doveva soccumbere certamente all'assalto, di una colica fiera ed ostinata, e senza un miracolo, incurabile. Dopo tante vicende però, dovè giungere al comun destino de' mortali; e quel corpo, rimasto tante volte vittorioso agli assalti dei malori più crudi, e delle febbri più ardenti, dovè sciogliersi e separarsi dallo spirito.
L'ultimo anno della vita del nostro Venerabile Fr. Umile fu tutto intrecciato di spasmi acerbi, e di convulsioni penose. Per quanto stentassero i medici di conoscere l'infermità del nostro servo di Dio, non fu loro possibile di scuoprirne la natura, od il carattere. Era costretto alle volte a stare digiuno per cinque, e sei giorni interi, non reggendo lo stomaco a sostenere veruna sorta di cibo, o di bevanda. Le sole specie eucaristiche che poteva inghiottire, siccome servivano a lui di alimento per lo spirito, così gli conferivano ancora tal quale vigore di corpo, che poteva reggersi in piedi.
In tutto questo tempo però non proruppe giammai il suo labbro in una sola parola di lamento; non si osservò giammai accigliato, e malinconico, ma ilare sempre, ed allegro; e siccome attestava con franchezza a chiunque, che quella infermità l'avrebbe senza fallo tratto al sepolcro; così desiderava ardentemente quel giorno, per potersi eternamente unire al suo Dio.
Soleva egli trascinarsi, come meglio poteva al giardino, non già per l'onesto fine di divertirsi alla veduta delle piante, e delle verdure, ma indrizzando i suoi passi verso l'amata grotticella, ivi sequestrato dal consorzio di tutti, sfogare gli ardori della sua carità lodando, e benedicendo il suo Dio. Si ritirava poi ad un'ora competente nella sua povera cella, a proseguire i casti suoi soliloquj, e tutti gli atti di Religione, che a lui dettava il fervore del suo spirito. Un giorno si avvidero i Religiosi suoi confratelli ch'egli al solito ritirato non si era dal giardino. Quindi dubitando che avvenuto a lui fosse qualche cosa di sinistro, dopo averlo cercato in vano per gli altri luoghi del convento, si condussero ansanti nella solita grotta, dove lo ritrovarono buttato a terra, tutto bagnato del proprio sudore, cogli occhi chiusi, col petto ansante, che sembrava di dovere allor per allora esalare lo spirito. A forza di braccio venne rialzato da quella penosa situazione, e condotto nella cella sopra il suo pagliaccio. Ivi sempre boccheggiante, e facendo degli strani contorcimenti, come se da vivo fuoco, venisse scottato, ma senza profferir parola, giacque per lo spazio di sette giorni interi: alla fine dei quali aprì gli occhi, e profferendo qualche parola, diede non equivoci indizi, che il suo deliquio stato fosse prodigioso. Volle il suo Superiore e Confessore accertarsene, e col mezzo della santa ubbidienza venne in chiaro di due grandi avvenimenti, che contestano mirabilmente il grande amore del nostro Venerabile Fr. Umile verso il suo Dio, e l'odio eccessivo che nutrivan contro di lui gli spiriti tenebrosi, ed infernali. Pregato aveva egli più volte il Signore a volersi benignare di fargli soffrire in questo mondo qualche parte delle pene infernali, affinchè la sorte avesse di tollerare qualche cosa in ossequio del suo Redentore, che nel corso del suo patire volle essere saturato d'obbrobrj, e rendersi il bersaglio del giudaico e del diabolico furore per nostro amore. Volle appagare il Cielo un desiderio sì ardente del nostro Fr. Umile. Ed eccolo, mentre era nella cennata sua grotticella, investito interiormente da un globo di fuoco, il quale ravvolgendo ne' suoi vortici, e penetrando tutte le di lui interiora, gli fece soffrire spasimi sì intensi per lo spazio di sette giorni, che non potendosi più prevalere de' sensi per l'atrocità dello spasmo, era costretto a spietatamente agonizzare, e contorcersi in tante e sì varie maniere, che recava spavento e terrore a chiunque osservavalo. A questo martirio inusitato e strano volle Iddio, a maggior perfezione del fedele suo servo, che una schiera di demonj accrescesse nuovo peso al suo patire. Questi infatti in cento e mille guise sfogarono contro di lui la loro rabbia con percosse, con urii, con istrepiti, con minacce di soffocarlo, la forma assumendo di animali feroci e di serpentacci orribili. Durò questo strano combattimento per lo spazio come si è detto di quasi sette giorni interi; dopo de quali, proferendo egli i dolcissimi nomi di Gesù e di Maria, restò fugata la legione infernale, e cessò in qualche maniera quel fuoco interno divoratore che abbruciato gli aveva tutte le viscere. Ho detto in qualche maniera; giacchè restò talmenie esiccato di umori, che non ostante la stagione rigida dell'inverno ( correva il mese di novembre ) divorò un gran pezzo di neve, che gli fu dato per refrigerarsi le fauci, senza provarne sollievo. Purificato in tal guisa il di lui spirito , piacque al Signore di chiamarlo agli eterni riposi, come osserveremo nel capitolo che siegue.
Capitolo VII
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Morte preziosa del nostro Venerabile Fr. Umile. Concorso stupendo ai suoi funerali. Prodigj segnalati che Iddio opera in contestazione della santità di questo suo servo.
Dice ingegnosamente il P. S. Agostino , che la morte è un eco della vita. Quindi non vi ha dubbio, che ad una vita santamente condotta corrisponda egualmente una morte santa e preziosa. Felice quell'uomo che si dispone a questo gran passaggio, col battere incessantemente le belle e luminose vie della giustizia e della verità. Non può questi non morire che colla preziosa morte dei giusti, e nel bacio di quel Signore, che promette di coronare la fede a lui serbata sino all'ultimo istante della vita. Or come siasi il nostro Venerabile Fr. Umile di Bisignano preparato a questo terribile passo fin dal primo momento che conobbe Iddio, nella tessuta storia delle sue azioni l'abbiamo divisato di già. Qual maraviglia intanto se santa felice, invidiabile fu la di lui morte.
Dopo aver egli sofferto quell'interno bruciore di viscere da noi descritto nell'antecedente capitolo, proseguì il nostro servo di Dio a giacere sul suo pagliaccio, a motivo de' continui spasimi ond'era cruciato, dando a tutti continue ripruove di sua ammirabile pazienza e rassegnazione ai voleri del Signore. Di quando in quando con voce debole e fioca alzando gli occhi al Cielo replicava: Paradiso; Paradiso. Qualche bevuta di acqua era tutto il suo nutrimento; non potendo il suo stomaco sostenere cibo di sorte alcuna. Il giorno di tutti i Santi dell'anno 1637, con meraviglia di tutta la Religiosa famiglia e de' medici altresì, si alzò, e di unita a'suoi Religiosi scese nella Chiesa, si accostò alla santa Comunione, ed assistè a tutte le sacre funzioni di quel giorno. Questo fu l'ultimo sforzo del suo fervore di spirito; giacchè ritiratosi nella sua povera cella ricadde peggio che prima nell'abbattimento di forze, le quali diminuendosi di giorno in giorno totalmente lo abbandonarono a 26 di detto mese, giorno in cui cessò egli di vivere in questa terra, per eternamente godere col suo Dio nel Cielo come diremo più appresso.
È degno di osservazione per altro che il nostro Venerabile, nel corso de'gravi incomodi della sua ultima tormentosissima infermità, non mai si udì pronunziare una sola parola di lamento o di inquietezza; ma rassegnato al supremo volere, che conducevalo per la via della Croce battuta da Cristo, tollerava con animo tranquillo e con volto sempre ilare ed impertubabile tutti li patimenti e dolori del gravissimo suo male; non altro chiedendo e desiderando che maggior pazienza, per potere sofferire i più atroci martori. Va egli pertanto tutto esultante incontro alla morte benedicendo contiņuamente, lodando e ringraziando il Signore, perchè somministra i mezzi di più patire per maggiormente meritare: onde colle sante sue parole e teneri sentimenti di amore verso Dio muove alle lagrime tutti quelli che gli circondano il letto.
Vogliono i medici che tracanni un medicamento; ed egli pronto ubbidisce: ma questo altro vantaggio non recò al nostro servo di Dio, che cruciarlo per tre giorni, dopo de' quali lo restitui per bocca tutto intero. Lo stesso si osservò di un poco di cibo a lui dato per ubbidienza dal suo Guardiano: per cui convennero tutti che l'infermità del nostro Fr. Umile era soprannaturale più tosto, e perciò non guaribile per mezzo umano. Prodigiosamente infatti per lo spazio di ventisei giorni si mantenne in vita, non essendosi sostentato con altro che colla santissima Eucaristia da lui ricevuta per viatico, e per divozione ancora nel tempo di questa sua ultima infermità con un fervore indicibile. Volle ancora dopo la confessione generale rinnovare la sua professione Religiosa, e ricevere tutti gli spirituali vantaggi delle sante indulgenze, onde rendere la sua bell'anima tutta adorna di meriti e di virtù. La mattina del giovedì 26 di novembre domandò del suo guardiano, e venendogli risposto che erasi ritirato nella cella, illustrato da Dio conobbe che detto superiore stava stendendo la lettera di avviso della sua morte, com'era di fatti: e perciò disse chiaramente queste parole: Ora sta scrivendo ch'è morto Fr. Umile. Che cosa è adesso Fr. Umile ? or si potranno tutti quietare, e non cercare più di Fr. Umile ch'è un niente! A tal notizia restò maravigliato il Guardiano, e conobbe che fin’all'ultimo respiro graziava il Signore questo fedele suo servo col dono gratuito di profezia. Con ogni umiltà richiese al detto superiore la estrema unzione, la quale fu da lui ricevuta con segni straordinarj di compunzione e di raccoglimento. Indi strettosi al Crocifisso entrò nell'agonia, e verso le ore sedici di detto giorno 26 novembre 1637, facendosi il segno dell' Elevazione dell' Ostia nella Messa Conventuale, piangendo dirottamente per tenerezza e divozione i Religiosi e gli astanti, con un placido sorriso esalò l ultimo respiro di sua vita innocentissima il Venerabile servo di Dio Fr. Umile di Bisignano, nella sua età di anni 55, tutti consegrati per lo suo Signore. Morte felice! Morte santa! Morte invidiabile!
In quell'istante medesimo, che cessò di vivere su questa terra il nostro Fr. Umile, venne elevato in Dio il P. Ludovico da Crosia, che stanziava nel convento de Riformati della Terra di S. Fili, e vide una grandissima luce nell'aere, in mezzo alla quale il nostro Fr. Umile tutto festante ed allegro, e circondato da innumerabili Angeli. Richiesto da detto Religioso dove ne andasse? Rispose: al Paradiso, al Paradiso. Ritornato all'uso de' sensi, tutto bagnato di dolci lagrime, manifestò la visione agli altri Religiosi, dai quali, dopo qualche tempo, per lettera ricevuta da Bisignano, conobbero non essersi il loro confratello ingannato, annunciandogli la già seguita morte del nostro servo di Dio. Era ben giusto che godesse di una tal grazia il lodato P. Ludovico da Crosìa!
Era egli amante assai del nostro Venerabile Fr. Umile, e cercava di tenergli dietro nell'esercizio delle virtù. Visse infatti e morì in opinione di Religioso di vita integerrima, ed esemplarissima. Sostenne due volte la carica di Ministro Provinciale nella sua Provincia di Cosenza, e procurò a tutto potere, di promuovere in essa, più coll'esempio che colla voce, una esatta osservanza del francescano istituto. Ma torniamo al nosro Venerabile Fr. Umile.
Mosso da ragionevoli motivi il Superiore del convento, con precetto di ubbidienza impose a' Religiosi suoi sudditi che non manifestassero a chicchesia la seguita morte del servo di Dio, sino al seguente giorno. Non ostante però un tale divieto, non trasgredito per verità da quei Religiosi, si divulgò per tutta la Città di Bisigano la seguita morte del Venerabile Fr. Umile, e a stento potè raffrenarsi quel popolo, affinchè non buttasse a terra la porta del convento; e non scalasse le mura del giardino, per avere la consolazione di vedere il santo loro concittadino. Il seguente giorno solennemente venne trasportato in Chiesa il venerando cadavere, colla scorta e difesa di molta soldatesca che custodendo il feretro, allontanava, e respingeva di continuo la indiscreta folla del Popolo, che ambiva di accostarsi al corpo del servo di Dio, ed appagare così la sua divozione. Vennero celebrati i divini officj dal Clero, Secolare, e Regolare, coll'intervento di Monsignor Vescovo, de'pubblici rappresentanti, e della nobiltà tutta. Nel corso di tal divota funzione, malgrado la forte resistenza de'soldati che lo custodivano e l'autorità del Vescovo presente, fu pe quattro volte denudato, e divise le tonache in pezzi; per cui furono i Religiosi costretti a ricoprirlo coi proprj mantelli, a scanzo di qualunque immodestia, che nasceva per altro dalla gran vozione di quel Popolo verso il santo loro concittadino. Crebbe il tumulto la veduta di varj e segnalati portenti, che si benignò in tale circostanza di sperare il Signore, in contestazione della gloria, che godeva di già questo fedele suo servo.
Una donna ossessa da più spiriti maligni, dopo aver questi per la di lui di bocca ad alta voce confessato, che per quattro giorni aveva adoperato i modi più strani, per farlo prorompere in qualche parola di risentimento, ma senza profitto, toccando appena il corpo del servo di Dio, restò libera per sempre da quella diabolica invasione.
Un fanciullo cieco dalla natività, buttato quasi dalla madre sopra il feretro acquistò la vista. Un quartanario di due anni, toccando l'abito del servo di Dio, ricuperò le forze istantaneamente, ed il naturale colore. Innumerabili altri prodigi operò il Signore, mentre il Venerando cadavere del nostro servo di Dio era esposto in Chiesa, li quali si tralasciano in questo capitolo, per non recar tedio al leggitore divoto.
Capitolo VIII
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Viene seppellito, ma non cessa il concorso al di lui sepolcro. Prosiegue Iddio a manifestare la santità di Fr. Umile con prodigj maravigliosi.
Erano scorsi tre giorni, dacchè stava esposto in Chiesa il Venerando cadavere del nostro Fr. Umile, senza vedersi diminuito il concorso de' Popoli, anche dai paesi circonvicini, i quali, alla notizia del di lui passaggio agli eterni riposi, vennero da forza superiore quasi spinti a portarsi in Bisignano per venerarlo. Continuavano anche i portenti; fra i quali non deve tacersi il grato odore che tramandava il corpo del nostro servo di Dio, e quell'aria giuliva, serena, anzi risplendente del di lui volto, per cui era impossibile fissarvi lo sguardo, e non restare penetrato da una divota tenerezza in ver di esso. Volle ciò non ostante con somma prudenza Monsignor Vescovo, che fosse sepellito nella comune sepoltura degli altri Religiosi; ma dentro una cassa formata a tal fine, alla quale oltre del suggello, in una lamina di piombo, fece scolpire il nome e il giorno della morte del nostro Fr. Umile, e ne fece dalla sua curia formare le scritture opportune; giacchè ben prevedeva egli che se in vita in tante guise aveva il Signore glorificato questo fedele suo servo, non avrebbe cessato di renderlo glorioso anche dopo la morte, per quindi incamminarlo a pubblici onori, destinati dalla Chiesa ai veri suoi figli. Avanzata di molto la notte, e divulgatasi prima la notizia, che non si sarebbe così presto data sepoltura al venerando cadavere, per così rallentare il fervore del popolo, quanto dal Vescovo era stato prescritto, tanto venne eseguito.
Prima di sepellirlo però ebbero cura quei Padri, e i Personaggi più distinti della città, di farlo ritrarre in tela, a fine di eternarne più la memoria, ed appagare la loro divozione. Riuscì al Pittore di ritrarlo al naturale, e fra poco tempo se ne moltiplicarono in guisa le copie, che non vi era casa distinta in Bisignano che non ne conservasse qualcuna con gelosia. In tutti i conventi della sua Provincia ed in altri luoghi ancora si osservava il nostro servo di Dio dipinto in tela: e da pertutto era con privato culto invocato e riverito come santo. Se ne impresse anche in carta la immagine, per cui si è potuto in una maniera più facile render paga la divozione dei popoli in ver di lui. Nel seguente capitolo ravviseremo in quante guise ha voluto il Signore in queste glorificarlo, ed in ogni altra cosa di suo uso.
Il concorso del popolo di Bisignano al di lui sepolcro aumentossi in guisa, che dai più saggi giudicato venne per prodigioso e soprannaturale. Si vedeva sempre la Chiesa de' PP. Riformati ripiena di gente divota d'ogni grado e condizione, che implorando dal servo di Dio l'intercessione e l'ajuto ne' loro spirituali e temporali bisogni, davano chiaro a conoscere di vivere certi e sicuri di quella gloria eterna ed immarcescibile che godeva in Cielo il Santo loro concittadino. Si adoperò con efficacia il Vescovo Diocesano di togliere ogni sospetto di culto pubblico verso del nostro Venerabile in esecuzione de' Pontificj decreti, e con prudenza non ordinaria si governavano su di un tal punto que' religiosissimi Padri. Fu attribuito anche a portento il non esservi sortite delle brighe e de' disturbi; specialmente allorchè i popoli delle città e paesi circon vicini a turme, e schiere si riconducevano in Bisignano, a fine di venerare del nostro servo di Dio il sepolcro divenuto glorioso di già per quei portenti, che ivi alla veduta di tutti si benignava il Signore di operare. Ciechi, attratti, infermi, tisici, itterici, e da altri malori oppressi, e angustiati restavano liberi al tocco solo di quella pietra soprapposta al cadavere del Venerabile Fr. Umile. È oltrepassato già un secolo dalla di lui morte, ma la memoria di questo uomo giusto fiorisce tuttavia, come una pianta di palma orientale, la quale non conosce inverno o canicola, che possa appassirla, o spogliarla dalle verdeggianti sue foglie, ma sembra sempre vegetare in seno di una fiorita primavera. La sola città di Bisignano sua patria non sufficiente a contenere l'odore delle virtuose operazioni del nostro Fr. Umile, ed il sonoro rimbombo di quei spessi prodigj, onde il Signore cercava glorificarlo. Quindi per tutta l'ampia estensione de' Regni delle due Sicilie, e dell'Italia tutta ma anche oltre i monti ed oltremare il di lui nome è glorioso per li portenti, che il cielo comparte a tutti coloro che con fede l'invocano. Dacchè cessò egli di vivere su questa terra, fino al tempo di oggi, si è dato spesso spesso a vedere tutto glorioso e festante a non pochi, che l'hanno invocato ne' rispettivi bisogni loro, e subito ha loro impetrato da Dio la richiesta e sospirata grazia.
Feliciana Sacchini in Bisignano, destituta di sentimento per una infermità gravissima, e perciò da medici licenzia, nell'invocarsi dal Chierico Fr. Umile Solima, suo figlio, il nome del nostro servo di Dio, immantinente aprì gli occhi l'inferma, parlò con ispeditezza manifestando loro che l'era apparso il Venerabile Fr. Umile, tutto risplendente e giulivo, con assicurarla di sua guarigione, come videsi dell'intutto verificato, con istupore de' medici, che attribuirono tutto ciò ad un vero e solenne miracolo.
Un Frate converso da Bisignano, detto anche Fr. Umile, mentre era giovine, venne assalito da una febbre maligna, giudicata da' medici mortale. Privo già di sentimenti, e boccheggiante , s'incaminava a gran passi verso il sepolcro. Ricorre sua madre all'intercessione del nostro servo di Dio, e con meraviglia di tutti, l'infermo apre gli occhi, e protestando di aver veduto il nostro Fr. Umile tutto luminoso e bello, si alzò da letto, si vestì delle sue vesti da se solo, ed il seguente giorno uscì di casa vegeto, e robusto, come era pria di cadere infermo.
Una maligna pleoritide conduceva a gran passi alla morte Francesco Cosentino dell'anzidetta città di Bisignano. Inutili riuscendo per lui tutt'i rimedj dell'arte medica, viene premunito de Sagramenti, a fin di renderlo cristianamente disposto come conveniva ad un tal passaggio. Esortato da Beatrice Bonaita sua madre a ricorrere al nostro servo di Dio, ed a bere dell'acqua della di lui fontana, si presta volentieri a tal consiglio, si addormenta intanto, e gli si dà a vedere il nostro Fr. Umile, il quale toccandogli colla mano la fronte, ed assicurandolo della grazia, sparisce. Si risveglia tutto allegro l'infermo , narra la visione avuta, e la istantanea guarigione che in lui si osserva, rende evidente il prodigioso successo.
Pericolava di sua vita D.Antonio Mauro di Bisignano, a motivo di una febbre ostinata, accompagnata da sintomi mortali. Ad insinuazione di sua moglie si raccomandò al nostro Fr. Umile, il quale dandosegli a vedere in compagnia di altri Religiosi del suo stesso istituto, chiaramente gli disse: Io sono Fr. Umile, al quale ti sei raccomandato: non temere; io prego Iddio per te, e fra due giorni sarai sano. Tanto e non meno avverossi con universal meraviglia.
Laura Aprigliano, afflitta oltre ogni credere per la mortale infermità di suo figlio, già da’ medici spedito, si porta piena di fede in una Chiesa vicina alla Santissima Vergine dedicata, e percutendosi il petto con una pietra, cerca alla Vergine la sanità del figlio per li meriti del servo di Dio Fr. Umile. Tutta molle di lagrime ritorna in casa, e trova il suo figlio fuori di letto vestito e senza febbre. Attonita per tal successo, richiede allo stesso la cagione di sua istantanea guarigione: è questi le fa sapere, che un Religioso Riformato entrato nella stanza, non solamente l'aveva fatto alzare dal letto, ma l'aveva anche, ajutato a vestire, e che nell'andar via detto l'aveva: Io sono Fr.Umile di Bisignano. Prostesa colla faccia per terra la consolata madre, ad alta voce ringraziando il Signore, sempre mirabile ne' Santi suoi, divulgò da per tutto il gran portento.
Postosi a dormire la notte degli otto di gennaro del 1692 il Sacerdote D.Giovanni Cristiano, della spesso nominata città di Bisignano, l'apparve nel sonno un Frate Riformato tutto rassomigliante all'effigie del nostro servo di Dio, e con voce risoluta gli disse: D. Giovanni levati su, che la tua casa rovina. Si svegliò a queste voci; ma non curandole si addormentò di nuovo. Per la seconda volta in sogno vide l'istesso Religioso, il quale con egual fermezza gli replicò: D. Giovanni levati presto, che la tua casa adesso adesso rovina. Svegliossi nuovamente D. Giovanni, e sbalzato da letto, corse verso un angolo della stanza; dove teneva lucerna accesa , a fine di accertarsi col lume se veramente i muri della stanza davano segno d'imminente rovina. Nulla però scorgendovi di minacciante e rovinoso, si coricò di nuovo e prese sonno. Ma che ! Per la terza volta l'apparve il nostro servo di Dio: e strappandolo per un braccio dal letto, con voce minacciosa gli disse: presto presto: adesso rovina la tua casa. Tutto palpitante per lo timore sbalzo, nuovamente da letto, e giunto appena dove riposto aveva la lucerna, ecco rovina il muro dove poggiava il letto, e sotto la sua rovina trasse anche seco la metà del pavimento, con raccapriccio indicibile del povero Sacerdote, il quale riconoscendo la vita del nostro servo di Dio, non solamente attestò nelle debite forme il portentoso avvenimento, ma per tutto il corso de' giorni suoi esaltò da per ogni dove la gran santità del nostro Venerabile Fr: Umile.
Francesco Rizzo di Bisignano, ritornando dalla città di Cosenza dove si era condotto per un negozio urgentissimo, per cui lo stesso giorno doveva ripatriare, e trovando il fiume Moccone, ordinariamente rapido e pericoloso, per l'antecedente pioggia oltre ogni credere gonfio di acque, conoscendo l'impossibilità di poterlo valicare, invocò ad alta voce l'ajuto del nostro servo di Dio Fr. Umile. Mirabil cosa! Dalla riva opposta gli si dà a vedere, animandolo a guardarlo. Non ostante il prodigio si mostra egli restìo ad ubbidirlo: per cui avvicinandosi a detto Francesco, e presolo per la mano lo passò all'opposto lido e scomparve. Ecco in quante guise il Signore vuole esaltata la memoria di questo fedele suo servo.
Capitolo IX
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Ogni cosa usata dal nostro servo di Dio opera portenti. Le sue Immagini divengono anche prodigiose.
Nello spoglio divoto, che fecesi di tutte le coselle, delle quali servito si era il nostro Fr. Umile, tanto di quelle che si trovavan nella di lui cella, come altresì della tonaca, che lo copriva, del cordone, de' zoccoli, e di tutto altro con santa avidità procurate da tutti coloro, che il conoscevano, e conservate con somma gelosia, sul motivo di prevalersene ne' loro bisogni, ed ottenere tal mezzo dal sommo Dio le grazie, che avrebbero richieste, ben si apposero; conciossiachè la continua sperienza ha dimostrato e tuttavia dimostra essere le cennate cose perenni sorgive di beneficenze e di grazie a pro di tutti coloro, che con vera fiducia l'adoperano. Prima di ogni altra cosa conviene che si faccia menzione di quell'acqua miracolosa, trovata dal nostro servo di Dio nel giardino del suo convento di Bisignano, della quale ragionammo nel capitolo secondo del libro primo di questa vita. Or questa ha per ordinario la virtù di guarire ogni malore, per cui non solamente l'adoperano ne' bisogni loro i naturali del luogo, e de' paesi circonvicini; ma viene rischiesta da paesi lontanissimi, dove trasportata, non solamente opera portenti, ma si mantiene ancora fresca, e limpida, come se allora cavata fosse dalla sua sorgente.
D. Daniele Garofalo, Gentiluomo di Cosenza, dimorante nella terra di Torano, assalito da infermità gravissima, ed oppresso da un letargo profondo e pericoloso, appena tranguggiò un poco di acqua della grotta del nostro servo di Dio, restò libero da ogni male, e si alzò da letto.
Giangiacomo la Gioppa, nobile di Bisignano, licenziato da' medici, e prossimo già a morire, bevendo un poco di acqua del nostro Fr. Umile, ad insinuazione de' suoi domestici, instantaneamente guarì. Coll'istesso mezzo guarì da una febbre maligna il P. Bonaventura Luzzi di Bisignano, dello stesso istituto del nostro servo di Dio. Partecipa in somma quest'acqua di tutti quei pregi, onde un tempo andavan ricche le acque della probatica piscina; giacchè chiunque la beve, e l'adopera con viva fede, resta subito consolato per la intercessione del nostro servo di Dio Fr. Umile.
Il suo cordone fu anche una sorgiva di portenti, e di maraviglia. Beatrice Serra di Bisignano, soprafatta da una infermità, che non poteva caratterizzarsi dagli stessi Medici, dai quali non poteva per conseguenza ricavare sollievo, lo trovò efficace, e sollecito nel cordone del venerabile Fr. Umile. Era essa dalla cintura in su tutta gonfia; ma specialmente la testa era gonfiata in maniera, e divenuta mostruosa così, che sembrava una testa di bue, come si esprimono i testimonj giurati, che depongono questo fatto. Vedendosi abbandonata da tutti, si fè portare da sua figlia il cordone del nostro servo di Dio, e se lo ravvolse intorno al collo. Cosa mirabile! Al contatto di quella fune, a veduta di tutti, cessò indietro la gonfiagione, e fra lo spazio di pochi minuti ritornò ella al pristino stato di salute, con indicibile giubilo de circostanti tutti, che unitamente esaltarono la Divina Onnipotenza, sempre mirabile nell'esaltare i servi suoi.
Il figlio secondogenito di Fabrizio Greco, Dottor Chirurgo della Terra de’Luzzi, spedito da' Medici per una terzana doppia, accompagnata da maligni sintomi, sopraffatto da mortale deliquio, è riputato già morto. Viene vestito di fatti, e si dispone il convenevole per i funerali. Afflitta la madre per una tal perdita, piena di fede corre nella casa di un suo parente, dove ella sapeva che vi era una Immagine in carta del nostro servo di Dio, e colla stessa facendo ritorno nella propria casa, esclamando: Fr. Umile, io voglio risuscitato mio figlio; adatta la Immagine sopra il corpo del cadavere, e prosiegue a pregare. Iddio la esaudisce. Al contatto di quell'Immagine comincia a muoversi il figlio; indi apre gli occhi, e speditamente parla, e poi fra poco tempo ricupera le forze perdute. Un portento sì segnalato, e nelle debite forme provato ne processi Apostolici, non solamente ricolmò di giubilo l'afflitta famiglia, ma divulgandosi per tutta la Calabria, accrebbe in tutti una tenera divozione, e fiducia verso il nostro gran servo di Dio.
Il Giovanetto Giuseppe Panza di Bisignano, ricoperto di schifosa e maligna scabbia, dalla pianta del piede sino alla sommità della testa, e tutto attratto di membra, quel sollievo che non potè rinvenire ne' medicamenti apprestatigli, lo rinvenne applicandosi una effigie in carta del nostro Fr. Umile, ad insinuazione di un certo Fr. Bartolomeo di Bisignano dello stesso istituto. Al contatto di quella effigie si disciolse il malignissimo umore, per cui restò mondo dalla detta lebbra, e di membra spedito. Grato al suo liberatore il seguente giorno portossi coi genitori suoi nella Chiesa della Riforma, e sopra la sepoltura del nostro Fr. Umile fè a tutti noti il prodigioso successo.
Il figlio di D. Carlo Longobucco di Bisignano, mutolo per lo spazio di sei anni, nel tranguggiare un pezzetto di pane, di cui servito si era il nostro servo di Dio, istantaneamente gli si sciolse la lingua, e speditamente parlo finchè visse.
Scherzava con altri fanciulli, vicino un'altissima rupe, Carlo Burlotta, dalla quale disgraziatamente venne a precipitare. Corre la madre a tal funesta notizia, e trova il suo figlio, non solamente sfigurato per le percosse, ma quasi estinto. Piena di fede verso il nostro servo di Dio, estrae dal petto un pezzetto di cordone dello stesso, e mettendolo sulla testa del fanciullo, ha la consolazione di ricondurselo a casa non solamente vivo, ma anche istantaneamente guarito.
Francesco Mazzia di Bisignano restò guarito da due piaghe ulcerose, che scaturivano vermini, applicando alle piaghe un pezzetto di tonoca del nostro Fr. Umile.
Per una continua emorraggia di sangue, trovavasi già agli estremi di sua vita Francesco Cappellano: appendendogli al collo un pezzetto di legno dello zoccolo del nostro servo di Dio, istanneamente cessò la effusione sanguigna, e guarì.
Nella terra di S. Lorenzo del Vallo stava già costituito agli estremi il chierico D. Domenico Rizzo, in casa di D. Pietro Montesano suo congiunto. Si era preparata la cera, e quanto conveniva per lo funerale imminente. Si ricorda il detto D. Pietro di avere un zoccolo del nostro servo di Dio, e con gran fiducia lo mette sopra il corpo del moribondo parente. Apre subito questi gli occhi, parla, ricerca da bere, e fra poco tempo ricupera la quasi perduta sua vita.
Marcello Tocci della Terra di S. Cosmo, figlio di D. Giacomo, dopo essere stato per tre giorni senza dar segni di vita ma immerso in un profondo letargo; nell'essersegli umettate le labbra con un poco di acqua, dentro della quale vi era stato toccato il cordone del nostro servo, di Dio, istantaneamente apre gli occhi, cessa il letargo, e quindi uscendo dall' imminente pericolo di perdere la vita, fra pochi giorni alla pristina sanità ritorna.
Li bachi da seta già moribondi, nell'essere aspersi coll'acqua della groticella di Fr. Umile, ripigliano l'antico vigore.
Felice Sangermano, assalita da insulto apopletico, che li fè perdere la favella, e la vista, restò libera istantanemente da tanti malori nell'essergli posta intorno al collo la corona, che usava il nostro Venerabile Fr. Umile.
La Signora D. Anna Sangermano, non potendo per tre giorni partorire, per cui giudicavano i medici, che il feto fosse estinto; nell'avvicinarsi al ventre una Immagine del nostro servo di Dio, immantinente diede alla luce un bel fanciullo.
Il bastone del nostro servo di Dio si è sperimentato di continuo prodigioso, e mirabile. Varj incendj, al solo contatto dello stesso, si sono veduti instantaneamente smorzati. Non pochi ossessi, toccati collo stesso bastone, sono rimasti prosciolti. Attratti di membra, e paralitici, appoggiandosi con questo, sono rimasti liberi dai rispettivi loro malori. Qui mi arresto, e non passo oltre.
L'impegno di non infastidire chi legge, mi ha reso sobrio nella narrativa dei portenti da Dio operati, al semplice tocco delle cose adoperate dal nostro servo di Dio; e perciò ne ho scelto questi pochi dal voluminoso catalogo di quelli, che registrati sono nel sommario de’ processi Apostolici. Sarei adesso troppo indiscreto se volessi narrare, e descrivere tutti gli altri in gran numero, che dopo la compilazione di detti processi sino al giorno d'oggi sono avvenuti, e per lo più nelle giuridiche forme attestati. Basti il sapere, che non vi è anno in cui il sommo Dio, glorificatore degli umili, non faccia risplendere la sua Onnipotenza, nell'invocarsi questo fedele suo servo, nell'adoperare le di lui reliquie, ed Immagini.
Capitolo X, ed ultimo
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S'introduce la causa di sua Beatificazione, nella S. C. dei Riti. Vengono dichiarate eroiche le sue virtù Teologali, e Cardinali. Breve saggio della vita virtuosa, ed edificante di due Religiosi dello stesso istituto, e Provincia, promotori indefessi delle glorie del nostro venerabile Fr. Umile.
Quella celebre profezia, relativa alla futura Beatificazione e canonizzazione del nostro gran servo di Dio, da noi registrata al capo ottavo del primo libro venne a verificarsi di già in tutte le sue parti. Sostenendo infatti nella Curia Romana l'onorifica carica di Procuratore generale del suo ordine Francescano, il P. Bernardino di Bisignano, fè introdurre la causa di Beatificazione nella Sacra Congregazione de' Riti con indicibile consolazione della sua patria, e provincia; anzi per dir di più vero, con trasporto di giubilo di tutta la Calabria, e del Regno si diede principio alla compilazione de' processi ordinarj, e si proseguì con calore, ed impegno la lodevole impresa; tanto più che risuonavan da per ogni dove, e con frequenza le notizie de' portenti che la divina Onnipotenza operava, all'invocazione di questo fedele suo servo. Terminata la compilazione di detti Processi, e rimessi alla Sacra Congregazione de' Riti, dopo maturo esame, vennero solennemente approvati; e la stessa approvazione solenne meritaron dappoi gli altri processi, per Apostolica autorità fabbricati. Or quando credevasi che a vele gonfie, suol dirsi, dovesse inoltrarsi la causa, e giungere con sollecitudine al compimento sospirato, venne ad arressarsi nelle sue mosse per quei motivi, che poco gioverebbe al divoto lettore di esserne informato, e molto spiacerebbe a chi scrive di dover fare baratto di tempo, e di carta nel descriverli. La Divina providenza, che nelle sue disposizioni non fallisce per quei fini altissimi, che noi dobbiam sempre venerare, e con sommo rispetto adorare, volle per varj lustri che non si facesse parola di questo uomo giusto, per quindi poi inaspettatamente trarlo, da sotto il moggio, ed incamminarlo a gran passi a quegli onori, che accorda la Chiesa ai veri e perfetti seguaci di Gesù Cristo.
In questo frattempo, infra innumerabili altri, due sopratutto fiorirono ottimi Religiosi nella stessa Provincia del nostro servo di Dio; i quali emulandone la penitente vita, ne promossero a tutt'uopo la divozione, e l'ossequio. Il P. Antonio della Saracena fu il primo il quale colle sue virtudi sacerdotali e monastiche procurò, ed ottenne la propria, e l'altrui santificazione. Tutto rigido per se stesso alle penitenze, e mortificazioni proprie del suo istituto, accoppiandone delle altre a misura del suo fervore, giunse ad essere paragonato, non che da' suoi che dagli esteri ancora al gran penitente delle Spagne S. Pietro d'Alcantara. Pieno a ribocco poi di carità verso il suo prossimo, collo spirito di mansuetudine e di dolcezza procurò sempre, finchè visse, di questo l'eterna salvezza. Se a lui si accostavano peccatori ostinati e perversi, anche per ragionare di cose indifferenti, era suo pensiere di farli cadere vittima del suo zelo, e della sua carità. Dotato da Dio del dono della penetrazione de' cuori, scuopriva ai suoi penitenti i più occulti pensieri, e richiamava alla loro memoria quelle colpe, non sottoposte per dimenticanza, all'autorità delle chiavi. Essendo di località nel suo convento della Terra di Campana, si presentò a lui un soldato di quel Principe, per essere ascoltato nella confessione, al quale scuoprì un omicidio occulto da' lui commesso tanti anni prima, e non confessato, che come lo stesso soldato attestò, per mezzi umani giunger non poteva a di lui notizia. Con un solo segno di Croce guarì nella città di S. Marco il nipote dell'Arcidiacono di quella Cattedrale, già spedito da’medici, per una terzana doppia maligna, che lo spingeva alla morte.
Mentre era di località nel ceppato convento della terra di Campana, venne invocato dal Canonico di Bisignano D. Giambattista Freccia, il quale guadando un rapido fiume nella Provincia di Basilicata, dove condotto si era per alcuni suoi affari, e vedendosi vicino a sommergersi, con gran fiducia implorò il di lui ajuto: gli si diede allora visibilmente a conoscere, e presolo per un braccio, lo condusse sano e salvo all'opposta riva, e scomparve. Ritornato questi in sua casa, e incontrandosi col detto P. Antonio, venne dal medesimo sorridendo così prevenuto: hai passato un gran pericolo! non bisogna però farne parola. Grandissima poi fu la sua divozione verso il nostro Venerabile Fr. Umile, oltre di promuoverne a tutto potere il privato culto, e la privata venerazione, coll' effigie dello stesso servo di Dio, coll’acqua della di lui grotta, o colle altre cose da lui usate, recava di continuo agli infermi ed afflitti ristoro, e sollievo. È vero che chi conosceva a fondo la di lui virtù, non si apponeva male nel giudicare, che per nascondere con ispirito di umiltà quei doni, onde era a dovizia da Dio graziato, servivasi santamente delle reliquie del nostro Fr. Umile; ma è vero altresì, che ne promosse efficacemente da pertutto la divozione, ed il culto. Sotto il peso delle penitenze e delle fatighe, ma pieno di meriti, soccombé alla fine l'anno 1750, nel convento del suo Ordine della città di S. Marco. Trovavasi ivi pericolosamente infermo il Barone di S. Donato. Vi si conduşse il P. Antonio, per visitarlo. Nel licenziarsi, la Baronessa moglie, che lo accompagnava, lo scongiurò a volere pregare il Signore per la salute di suo marito. L'assicurò, che guarirebbe, e ch'egli stesso l'avrebbe pleggiato. Tanto si avverò. Appena ritirato in convento, venne assalito da fierissima febbre, ed il Barone migliorò di salute. Egli cessò di vivere su questa terra; quegli perfettamente guarì. Innumerabili prodigj accompagnarono la morte di questo santo Religioso, la di cui memoria è anche in benedizione al tempo d'oggi in tutta la sua provincia.
Simile al precedente per istituto, per virtù, fu il P. Gio. Battista da Lagonero. Elevato da Dio ad un grado di contemplazione straordinaria, vedevasi spesso spesso sollevato col corpo da terra, e tutto investito da celeste splendore. Eletto Maestro de' Novizj, esprimer non si può, quali e quante maniere adoperasse egli, per ben guidare quelle tenere piante del Serafico giardino! Il suo discorso, anzi la sola sua veduta, era per tutti un incentivo di raccoglimento, e di spirito. Cauto nel suo procedere per celare, e nascondere con gelosia quei doni, onde da Dio venne arricchito; troppo ristretto, e conciso era il suo parlare; ma un'industria sì santa, non gli riuscì. Si conobbe infatti da tutti, ch'era vestito dello spirito profetico, del dono de'miracoli, e dell'altro distintissimo di penetrare i più nascosti intricati seni dell'altrui cuore.
Da un Religioso della stessa sua Provincia ed istituto, passato già al numero dei più, venne a sapere chi scrive la presente vita, che vedendosi spesso amosso da'suoi superiori dai conventi dove stanziava, e lagnandosene col nostro servo di Dio, come di una oppressione che veniva a sofferire, venne dallo stesso condotto nel giardino del convento di Bisignano ( dove allora era stato destinato da' superiori ), e con somma carità svelandogli tutto l'interno, gli fè capire, che se senza motivo veniva amosso spesso dai conventi, non senza motivo Iddio ciò permetteva, in pena de' suoi difetti, e proseguendo il suo discorso gli svelò fin a quel giorno, quanti e quali erano i suoi falli, per li quali doveva far penitenza, e ravvedersi, per non andar dannato. Confuso il Religioso, e ravveduto, buttandosi a suoi piedi, risolvè di mutar vita, e di volere da li in avanti tutto dipendere dalla volontà de' suoi superiori. Collo stesso servo di Dio volle confessarsi generalmente, e mutando sistema di vita, santamente morì.
Era infermo il Parroco di Bisignano D. Vincenzo Trentacapelli, Patrizio della stessa città, ed amicissimo del P. Lagonero. Pericolosa venne giudicata a principio la infermità del decumbente, ma dopo qualche giorno notabilmente migliorando, dava certi indizi di ricuperata salute. Un giorno, scorto da lume superiore il P. Lagonero, mentr'era in refettorio, col dovuto permesso del Superiore, si condusse sollecitamente dall'infermo, e con santa libertà l'annunciò imminente la morte. Stupì l'infermo a tale avviso: stupirono anche i domestici, che lo giudicavano fuori di ogni pericolo. L'evento però diede a vedere, quante fondate fossero le parole del P. Giambattista. Dopo pochi momenti peggiorò l'infermo, e venne assalito da fiera tentazione contro la S. Fede; ma ajutato dal nostro servo di Dio, riuscì vittorioso nel combattimento, e confessandosi da lui, e ricevendo li Sagramenti della Chiesa, nelle sue mani santamente rese l'anima al suo Creatore.
Cessò di vivere questo S. Religioso il dì 25 marzo dell'anno 1764, come sei mesi prima aveva chiaramente predetto. Alla veduta del suo cadavere, un cieco ricuperò la vista, un mutolo la favella, ed uno storpio la consolidazione delle sue membra. Stiede esposto in Chiesa per una intiera settimana, a fine di appagare la divozione, non solamente del popolo di Bisignano, ma anche de' luoghi vicini, e venne sepellito in un luogo separato dentro la comune sepoltura dai Frati, nella stessa Chiesa della Riforma di detta città. Anche al giorno d'oggi si sentono de' prodigj, che Iddio opera in contestazione della santità, e virtù di questo fedele suo servo; il quale dimorando nel cennato convento di Bisignano, confessava di ritrarre gran raccoglimento, quando orava nella cella del Venerabile Fr. Umile, o nella di lui grotta, o al di lui sepolcro. Spesso l'invocava, e procurava che altri ancora l'invocassero ne' propri bisogni, per cui finchè visse ne promosse con efficacia il culto, e la venerazione.
Venne intanto a ripigliarsi la causa del nostro Venerabile servo di Dio Fr. Umile, e dopo varie, e mature discussioni, solite a praticarsi in tali affari dalla Santa Sede, piacque al Signore di consolare la Provincia de PP. Riformati di Cosenza, la città di Bisignano, e tutti i divoti del santo uomo, facendo dichiarare solennemente per eroiche le sue virtù Teologali, e Cardinali, dal Regnante sommo Pontefice Pio VI, col decreto, che siegue.
Decretum Bisinianem
Beatificationis, et Canonizationis Venerabilis servi Dei Fr. Umilis a Bisiniano laici professi ordinis Minorum de Observantia Reformatorum S. Francisci.
Sapientia aeterna, quae hunc mundum ingressa, sapientiam sapientum, et prudentiam prudentum reprobavit, semper dat vocem suam parvulis, et insipientibus: pauperes autem, ac debiles ad caeleste convivium jubet introduci. Hinc nullo unquam tempore defuerunt ex quocumque ordine, et conditionis gradu, qui ad eloquia ejus aurem suam inclinarent, et ea in medio cordis sui religiosissime custodirent. Hos inter, anteacto saeculo inventus est Venerabilis Dei servus FRATER HUMILIS A BISINIANO, qui non tam nomine quam conditione humilis, et litterarum omnium expers, in agrorum cultura occupatus, ad Reformatam observantiam S. Francisci Familiam accessit, ubi licet vilioribus laici hominis muneribus exercendis intentus, victum quaeritandi, et hortum fodiendi, scientia tamen Sanctorum imbutus, quae vera scientia est, omnes virtutes ita coluit, ut terrenis rebus infra se positis, ejus conversatio omnis in coelis esse videretur. In maxima autem vitae innocentia, adeo admirabili poenitentia praecelluit, ut quotidie corpus suum et singulari abstinentia, et omni suppliciorum genere castigaret. Qua quidem in exercitatione sanctissime tandem obiit III. Kal. Decembris anni 1638. Hujus egregii viri argumenta virtutum, quae inquisitionibus tabulis habentur, juxta providissimas Pontificias sanctio nes, ter tamen diligentissimum examen subierunt, primo in ante praeparatoriis a comitiis X. Kal. Decembris 1763 coram San. mem. Clemente XIV, tunc Cardinali Ganganellio: secundo in praepara toriis in Palatio Vaticano habitis XVII. Kal. Februarii anni 1776; tertio in generalibus in Palatio Apostolico Quirinali coactis XI. Kal. Septembris hujusmet anni. In quibus coram Sanctissimo Domino nostro Pio Papa VI. consuetum dubium de iisdem virtutibus, referente celsitudine Regia Reverendissimo Cardinali Duce Eboracensi Episcopo Tusculano, licet upanimi consensione Reverendissimi Cardinales, quam amplissimi Consultores censuerint, eas sublimem, et heroicum gradum attigisse, nihil tamen Sanctitas sua sibi tunc definiendum esse putavit, ut in re tanti momenti, per obsecrationes, et preces a Domino supernum lumen exquireret, et expectaret. Sed quod in aliud tempus distulit edere suae vocis oraculum, eadem Sanctitas sua illud consulto voluit, non sine magno animi sui gaudio hac die patefacere, quae quum sit S. Francisci sacra, decet maxime ut novis laudibus, eorum qui Sanctum Patriarcham, tamquam Parentem sunt sequuti, novo veluti lumine augeat, augeatur. Et quemadmodum superiori anno hac eadem die, et hoc eodem loco definivit heroicas esse virtutes Venerabilis servi Dei Joannis Josephi a Cruce Sacerdotis professi Fratrum Minorum Discalceatorum S. Petri de Alcantara, qui dum vixit pari paenitentiae studio flagravit; ita voluit hodie hanc ipsam diem, felici obitu tanti Parentis insignem nova gloria, alterius Filii condecorare. Sacro itaque facto summa Religione, ac pietate, ad Aram Sancti Francisci Assisiensis in Templo Sanctae Mariae de Aracaeli, et accitis coram se eadem celsitudine Regia Reverendissimo Cardinali Duce Eboracensi, hujusce causae Relatore, ac Reverendissimo Cardinali Mario Marefusco Sacrae Rituum. Congregationis Praefecto, nec non R. P. Philippo Campanelli Fidei Promotore, meque infra scripto Secretario, decrevit, et declaravit: CONSTARE DE VIRTUTIBUS THEOLOGALIBUS, FIDE, SPE, ET CHARITATE IN DEUM, ET IN PROXIMUM; NEC NON DE CARDINALIBUS PRUDENTIA, JUSTITIA, FORTITUDINE, ET TEMPERANTIA, EARUMQUE ADNEXIS VENERABILIS SERVI DEI HUMILIS A BISINIANO IN GRADU HEROICO, IN CASU, ET AD EFFECTUM DE QUO AGITUR. Quod decretum publici juris fieri et in Acta Sac. Rituum Congregationis referri mandavit IV. Nonas Octobris anni MDCCLXXX -- M. Card. Marefuscus, Praefectus Loco + Sigilli -- C. Airoldi Sac. Rit. Congregationis Secretarius: Romae 1780. -- Ex Typographia Rev. Camerae Apostolicae.
Dichiarate già solennemente per eroiche le virtù del nostro Venerabile servo di Dio Fr. Umile di Bisignano, altro non si desidera da' suoi divoti, che di vederlo presto elevato su gli Altari alla pubblica venerazione dei fedeli, a maggior gloria del sommo Dio, sempre mirabile ne' servi suoi, della sua Patria, del suo Istituto, e della sua Provincia di Cosenza.
Ecco compito il nostro lavoro, in quella guisa che alla nostra debolezza ci è sembrato più convenevole. Abbiamo evitato quella prolissità stucchevole, che in simili fatiche per ordinario s'incontra: contentandoci di aver narrato tutte le cose essenziali, e di aver di buona voglia lasciato in dietro tutte le superficiali, e superflue. Questa nostra qualunque siasi fatica, forma il terzo pubblico monumento di nostra divota venerazione verso l'inclito Santissimo Ordine Francescano. Laus Deo.
» Sicut navigantibus dulcis est portus;
» Sic Scriptori novissimus versus.
FINE.
Permesso di ristampa
Napoli 3 Ottobre 1832.
Vista la dimanda del Direttore della Tipografia della Società Filomatica con la quale chiede di volere ristampare il libro intitolato: La Vita del Venerabile Servo di Dio Fra Umile di Bisignano;
Visto il favorevole parere del Regio Revisore Signor D. Girolamo Canonico Pirozzi;
Si permette che l'indicato libro si ristampi; però non si pubblichi senza un secondo permesso, che non si darà se prima lo stesso Regio Revisore non avrà attestato di aver riconosciuta nel confronto la impressione all'originale approvato.
Il Presidente
M. COLANGELO.
Il Segretario Generale
GASPARE SALVAGGI.
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