Vita del Venerabile Servo di Dio, Frat'Umile da Bisignano

Da Besidiae.
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Vita del Venerabile Servo di Dio, Frat'Umile da Bisignano


Copertina

VITA

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

FRAT' UMILE DA BISIGNANO

Laico professo nell'Ordine dei Minori Riformati

NARRATA IN COMPENDIO

DAL P. ANTON-MARIA DA VICENZA

LETT. TEOLOGO DEL MEDESIMO ORDINE

NELLA PROVINCIA DI S. ANTONIO DI VENEZIA

BOLOGNA

TIP. PONTIFICIA MAREGGIANI

1872


Protesta dell'autore

Trattandosi in questo Compendio non solo delle virtù eroiche del Ven. Servo di Dio Frate Umile da Bisignano, già riconosciute per tali dalla S. Sede, ma eziandio dei miracoli non ancora approvati; per ubbidire ai Decreti della s. m. di Urbano VIII e della S. R. U. Inquisizione, l'autore si protesta che questi non hanno per base che la sola fede umana, dovendosi riconoscere soltanto dalla stessa S. Sede, di cui egli si dichiara ubbidientissimo figlio.

Proprietà Letteraria

Con Approvazione Ecclesiastica


Prefazione

La vita del Venerabile Servo di Dio Frat' Umile da Bisignano presenta tale un complesso di meraviglie che non riesce facile trovarne un'altra, colla quale si possa istituirne confronto. La battesimale di lui innocenza non appannata mai da neo di colpa, l'esercizio costante d'ogni più ardua virtù e le austerità straordinarie da lui praticate, che gli vennero abbreviando i giorni, quasi scompariscono in faccia ai doni singolarissimi, di cui il supremo Datore d'ogni bene si compiacque per sua liberalità di arricchirlo. Si direbbe che Iddio volesse porgerci in Frat'Umile un saggio di quella vita di beatitudine, che godono i celesti comprensori, mentre, come attestò lo stesso Pontefice Pio VI nell'approvarne le virtù, anziché terrena, tutta angelica e di paradiso fu la vita, che questo avventurato figlio di S. Francesco menò sulla terra, essendo stata un'estasi poco men che continua, da cui solo la voce dell' ubbidienza poteva staccarlo.
Or poiché ci è lecito sperare non lontano il giorno, in cui dall' oracolo del Vaticano gli saranno concessi gli onori dei Beati, parve opportuno e non senza qualche utilità che si venisse ridestando nei fedeli la memoria di sì gran Servo di Dio, A questo scopo viene pubblicato il presente Compendio, nel quale l'Autore fedelmente si attenne ai Processi Apostolici e ai biografi contemporanei al Venerabile.


Capo I

Nascita ed adolescenza del Servo di Dio.

Bisignano, piccola ma antichissima città vescovile, situata nel centro della Calabria Citeriore, fu P avventurata patria del glorioso Servo di Dio Frat' Umile, di cui imprendo a descrivere in compendio la vita. Ei vide la luce il giorno 26 Agosto del 1582, ed ebbe a genitori Giovanni Pirozzo e Ginevra Giardino, appartenenti entrambi ad onesta e non disagiata famiglia. I quali, poiché erano fervorosi cristiani, furono solleciti di far rigenerare nelle sante acque battesimali il loro bambino, a cui imposero il nome di Luca Antonio: e fin d'allora considerando in esso un prezioso deposito, che Iddio affidava alle loro cure, affinchè lo venissero allevando nel suo santo timore, si diedero ogni pensiero per instillargli insieme col latte i germi della pietà e della divozione. Quantunque, a dire il vero, oltre del sentimento del proprio dovere, non poco, io credo, v' abbia pur anco contribuito il ravvisare nel beato pargoletto fin dai primi giorni di sua vita dei segni evidenti di una speciale predilezione del Signore verso di lui, e alcuni non oscuri presagi della santità eminente, a cui in appresso nella sua misericordia infinita intendeva di elevarlo. Dei quali uno si fu quello di non voler egli di giorno più che due volte, e di notte una solamente succhiare alle poppe materne, il qual metodo costantemente ei tenne malgrado le carezze, che l'amorosa genitrice gli usava per indurlo a prendere il latte più spesso. Oltre a ciò si è pure osservato che, ancor tra le fasce, se accadeva per avventura ch'egli piangesse, nessuna cosa poteva acquietarlo, se non fosse stata qualche sacra immagine o di Gesù Crocifisso o della Immacolata sua Madre; ed era una tenerezza il vederlo lasciare in sull' istante il pianto e farsi tutto giulivo appena gli si appressava quella immagine. Una volta, ed era in sui tre anni, intese dal padre che gli Angeli in Cielo lodano Iddio cantando il trisagio Sanctus, Sanctus, Sanctus; e la bellezza di questa lode talmente lo rapi che non si saziava poi mai di cantarla. Guai però se il padre o la madre o qualunque altro gli avessero posta in mano una qualche moneta ; avresti pensato che un gran male lo avesse incólto al vederlo abbandonarsi d' un tratto ad un dirottissimo pianto, e gettar lungi da sè sdegnosamente quel denaro. Il quale abbonimento ai denari tanto coll'andare degli anni venne in lui crescendo, che mai non arrivò a conoscerne il valore; anzi se avveniva talora che a lui fosse consegnata la mercede per pagarne gli operai, il più delle volte al momento di doverla consegnare si accorgeva di non averla più. Il che troppo spesso ripetendosi per volerlo giudicare fortuito, tutti lo ebbero in conto di sovraumano, e forse egli veniva con ciò preludendo a quella strettissima povertà, che un altro giorno avrebbe solennemente giurato appiè dei sacri altari.
Con siffatti auspicii egli era bene ad aspettarsi di cose grandi dal nostro Luc' Antonio, arrivato che fosse all'uso della ragione. E buon per lui che fin dai primi passi, che dar doveva nella via della santità, ebbe a trovare un eccellente maestro di spirito. Era questi il suo parroco medesimo, un D. Marco Antonio Solima, sacerdote altamente commendato dai suoi contemporanei per ispecchiata virtù, il cui magistero di quanto profitto sia stato per Luca Antoni, ne rende ampia testimonianza la santa vita da lui condotta nel secolo. Poiché il nostro giovanetto si mostrava tanto rispettoso verso i suoi genitori, che mai non usciva di casa senza prima chieder loro la benedizione e baciarne i piedi: assisteva ogni giorno alla santa Messa, ed ogni sera riceveva dal suo direttore il punto della meditazione pel di seguente. Tre volte poi per settimana digiunava a pane ed acqua; e quando era mandato alla campagna a guardare gli armenti o a lavorare nel terreno, come gli era consentito di avere qualche momento libero, tosto si appartava in qualche luogo dà non poter essere veduto, e, formatasi ivi di due rozzi rami una croce, davanti alla medesima genuflesso si poneva adorare, nel qual esercizio la sera, benché spossato della persona per le fatiche sostenute l'intera giornata, molto a lungo vi durava, essendo solito anche di unire alle preghiere altri santi esercizii di flagellazioni e discipline.
Queste pratiche però di penitenza più di frequente e con maggior rigore egli le esercitava in una sotterranea grotticella di casa sua, dove per sua divozione si aveva adattato un piccolo altare. Quivi adunque nel più fìtto della notte egli era solito discendere, e lunghe ore vi passava alternando le preghiere vocali colle più severe mortificazioni, e deliziandosi nella contemplazione delle celesti verità. Non è però a credere che tali dolcezze dello spirito nulla costassero al nostro giovanetto dalla privazione del sonno in fuori, imperocché il demonio, invidioso dei rapidi progressi ch'egli faceva nella perfezione, non lasciò intentata arte alcuna per distoglierlo da sì virtuosi esercizi; e quella grotta fu testimone sovente di dure lotte e di splendidi trionfi da Luca Antonio riportati sul nostro comune avversario.
Ardentemente intanto il fervoroso garzoncello sospirava di unirsi più intimamente col suo Dio nel SS. Sacramento dell'Eucaristia; e poiché per la troppo tenera età non gli era permesso di far paghi i suoi desiderii, procurava almeno di supplirvi coir intrattenersi il più che gli era possibile davanti al sacro tabernacolo in amorosi colloquii collo sposo divino dell' anima sua. Allorché poi, giunto all'età conveniente, fu ammesso a partecipare a quel celeste banchetto, oh! da quale piena di affetti fu sovrappreso quel cuore innamorato di Gesù. D'allora egli prese il costume di accostarsi all' eucaristica mensa ogni di festivo, lo che faceva sempre a piedi scalzi, per sentimento d'umiltà, riconoscendosi indegno di albergare nel suo petto ospite sì santo.
A coltivare sempre più la pietà diede anche il suo nome ad una Confraternita eretta già nella sua patria sotto la protezione dell* Immacolata Concezione di Maria, dove egli addivenne ben presto lo specchio e l'ammirazione di tutti non meno pel suo fervore che per la sua profonda umiltà. La quale virtù, quanto fin d'allora fosse in lui ben radicata, lo diede a conoscere nell'occasione che, essendogli stata data una guanciata solenne in sulla pubblica piazza di Bisignano da un cotale a torto credutosi da lui offeso , il virtuoso giovanetto, nonché dar segno di turbarsene, offri tosto l'altra guancia al villano offensore, e prostratosi ai piedi di lui, gliene rese grazie perchè lo aveva trattato secondo che meritavano i suoi peccati.


Capo II

Vocazione del Servo di Dio allo stato religioso: santa vita da lui condotta nel secolo.

La grazia del Signore, che si mirabilmente aveva prevenuta nelle benedizioni di sua dolcezza il nostro giovanetto, non mancò di venirgli in soccorso anche in quella pericolosissima età, in cui molti purtroppo, o trascinati dalle passioni, che si suscitano gagliarde, o pervertiti da conversazione di licenziosi compagni, fanno miseramente getto di quella innocenza, che fino a quel punto avevano mantenuta illibata. Luca Antonio, essendo già in sul diciottesimo anno di età, seriamente cominciò a pensare allo stato di vita, che doveva intraprendere; e poiché questo è affare di somma importanza e da consultarsi principalmente con Dio, raddoppiò a tal fine le austerità e le preghiere. Nè andò molto che esse vennero esaudite in un modo al tutto singolare. Imperocché un bel giorno che stava guardando i suoi armenti, i quali pasturavano presso un luogo detto di S. Nicolò poco discosto da Bisignano, un'ora dopo il meriggio egli udì, senza poter vedere donde partisse, una voce chiara e distinta, che per tre volte gli disse: Luca Antonio, io voglio esser servito da te. La stessa misteriosa voce fu intesa anche dal confessore, a cui fu pur rivelato ch'ei si renderebbe figlio di san Francesco, ma che prima di vestirsi delle sue divise avrebbe dovuto passare nove anni in grandi travagli.
Lieto adunque Luca Antonio per avere conosciuta la divina volontà, ma insieme dolente al vedersi differito si a lungo l'ingresso alla santa religione, si propose intanto di profittare ogni di più nelle virtù cristiane, intraprendendo un tenor di vita molto più fervoroso che non per lo innanzi. Infatti, oltre ai maltrattamenti accennati, dopo questa divina chiamata cominciò a tormentare più duramente il suo corpo col sottrargli il necessario alimento, non concedendogli che puro pane ed acqua una sola volta al giorno; anzi parendo al fervoroso giovane che quella scarsa misura d'acqua fosse soverchia delicatezza, ebbe l'animo di privarsi anche di sì meschina soddisfazione nei più forti calori di agosto; se non che, troppo sentendosi la natura oppressa per tale privazione, dopo otto giorni gli fu forza di dimettere l'ardua prova. Nondimeno in quanto al cibarsi di solo pane ed acqua, ei seppe durarvi costante per ben nove anni, cioè fintantoché entrò in convento, dove pure continuò in tal metodo, dal quale non si scostava se non allora che i Superiori prudentemente gli rallentavano un sì eccessivo rigore. E il suo stomaco si era ormai cosi abituato a tale astinenza che, avendogli una volta un nuovo confes- sore comandato di mangiar carne, in tutto il tempo che per ubbidirgli ne mangiò, ebbe a soffrire dolori fierissimi, non potendo il suo stomaco ritenerla. I quali dolori egli pazientemente sopportò per ben due mesi, e forse più a lungo sopportati gli avrebbe, se intanto non gli fosse un giorno apparso un religioso di S. Francesco, il quale gli rammentò il proposito da lui fatto di non cibarsi che di pane ed acqua; il che saputo dal suo confessore, gli ritirò il divieto lasciandogli piena libertà di digiunare a suo talento.
Ma la vita da Luca Antonio menata nel secolo, quanto fu degna di ammirazione per l'eroismo delle virtù da lui esercitate, altrettanto e forse più ancora lo fu pei favori singolari, con cui a Dio piacque d' illustrarla. Già fin d' allora ei venne elevato a contemplazioni altissime, e gli fu concesso il dominio sulle creature irrazionali, e apparve dotato del dono dei miracoli. Guari istantaneamente un suo cugino tutto attratto nelle mani e nei piedi col solo prenderlo per mano ed intimargli nel nome di Dio onnipotente che si alzasse. Un lupo affamato col solo scontrarsi in lui divenne mansueto come un agnello. Una volta egli cadde col cavallo nel fiume Crate, ed essendo dalla furia delle onde travolto e portato al fondo, non appena invocò i nomi santissimi di Gesù e di Maria, miracolosamente fu sollevato a galla e scampato da quel pericolo. Un'altra volta invece, il che è ancora più maraviglioso, dovendo passare il fiume, che scorre per mezzo di Bisignano, camminò sopra le acque e arrivò all' opposta sponda a piedi asciutti. Oltre a ciò conosceva lo stato delle anime, che uscivano di questa vita, vedendo quelle che si salvavano sotto la forma di una risplendente e vaga nuvoletta, e quelle che si dannavano sotto la forma di una nuvola nerissima.

Capo III

Il Servo di Dio entra nell'Ordine di S. Francesco, e vi professa solennemente.

Finalmente, come a Dio piacque, dopo nove anni di contraddizioni d'ogni maniera, Luca Antonio giunse a superare tutti gli ostacoli, che si frapponevano all'adempimento dei suoi santi desiderii. Vero è però che come fu in sul punto di accommiatarsi dalla famiglia, di cui era il sostegno, la madre e le sorelle più con lagrime che con parole gli diedero un nuovo assalto. Ma egli, sostenuto dalla grazia, non si lasciò sedurre dalla carne e dal sangue, ed esortatele a riporre la loro confidenza in Dio, se ne parti alla volta di Dipignano. Dove accolto in santa carità ed accettato dal P. Custode dei Minori Riformati, il primo giorno di settembre dell' anno 1609, contando allora ventisette anni di età, per mano del P. Leone da Castiglione in condizione di fratel laico fu vestito delle serafiche lane col nome di Frat'Umile. Di là venne subito trasferito all'altro Convento di Mesoraca a farvi il noviziato sotto il magistero del P. Antonio da Rossano.
Non si può descrivere a parole la contentezza di Frat'Umile, allorché si vide finalmente nella casa del Signore e vestito del sacro abito di S. Francesco: e confrontando la felicità presente colle passate angustie, gli parvero allora un nulla e assai bene spesi quei nove anni di tribolazioni e di travagli. E riflettendo altresì che il mutar delle vesti significava la mutazione, che internamente doveva farsi dell' animo, e lo spogliamene totale dell'uomo vecchio, si diede tosto con tutto l'impegno a rinnovarsi nello spirito e ad informarsi a quell'esimia santità, a cui Iddio coll'invitarlo al chiostro aveva inteso di chiamarlo. Non solamente adunque egli non rallentò punto del suo fervore, ma anzi, quasi il fatto fin qui fosse poca cosa, raddoppiò la vigilanza sopra sé stesso, alle austerità di prima altre ancora ne aggiunse, e, proponendosi a modelli da imitare i più grandi Santi del suo Ordine, in breve non solo addivenne oggetto di ammirazione presso i suoi confratelli, ma i più provetti stessi si lasciò di lunga mano addietro nel sentiero della virtù. Basti in prova di ciò il seguente fatto, dal quale si scorgerà anche chiaramente quanto fin d'allora fosse cara a Dio quest'anima. Mentre un giorno il santo novizio trattene vasi nell'orto insieme col maestro e coi compagni in ragionamenti di spirito, il maestro gli disse: Frat' Umile, vedi quell'uccelletto, che su quei rami tanto soavemente gorgheggia? Se tu fossi daddovero cosi ubbidiente ed umile come lo indica il tuo nome, ben facile ti sarebbe farlo discendere tra le tue mani e presentarmelo. E il buon novizio, pensando che quelle parole contenessero un precetto, senza esitare un momento si fece con tutta semplicità ad invitare nel nome di Dio quell'animaletto, il quale, essendogli tosto volato nelle mani, lo consegnò in ginocchio al maestro, lasciando ognuno stupefatto, non so se più per la novità del prodigio, o per la santità di chi lo aveva operato. Da tutto ciò non è a dire quanto i suoi confratelli ne andassero consolati, ben prevedendo da tali indizii l'alto grado di perfezione a cui col tempo egli sarebbe salito, se ancor novizio vi faceva sì rapidi progressi.
Ma il demonio non si ristette dal molestarlo in varie guise anche nell'anno del noviziato, non solo per indurlo a lasciare l'incominciato cammino, ma eziandio per farlo apparire presso gli altri religiosi poco men che scimunito e perciò non atto pel loro Istituto. E veramente queste molestie, a lungo andare, gli produssero nell'anima una grandissima diffidenza, la quale, contro ogni suo volere, non gli permetteva di attendere ai suoi uffizii con quella diligenza ed alacrità, che da un novizio si sarebbe voluto. Di qui i suoi confratelli cominciarono a venire in timore non forse quella smemoratezza dipendesse in lui da pochezza di mente, e giudicandolo inetto per la religione, erano fortemente dubbiosi se si dovesse o no ammetterlo ai santi voti. Intanto a vieppiù confermarli nei concepiti dubbi avvenne che, approssimandosi il termine del noviziato, fosse chiamato, com'è costume, a subire l'esame intorno alla dottrina cristiana e alla santa Regola, che stava per professare. Ma sia che per l'abituale perturbazione della mente prodottagli dalle diaboliche infestazioni non abbia potuto mai apprendere quanto il suo maestro gli veniva insegnando , sia che per artifizio pur diabolico gli sfuggisse in quel momento dalla memoria ciò che aveva appreso, il fatto si fu eh' egli arrivò alla vigilia del giorno dell'esame senza saper verbo di quello, su cui l'indomani doveva essere interrogato. E poiché vi è legge che non si possa ammettere alla professione chi sufficientemente non soddisfaccia al prescritto esame, la comunità religiosa era ormai persuasa che Frat'Umile si sarebbe dovuto licenziare, ed egli stesso ne fu di ciò avvisato dal suo maestro, affinchè ne avesse raccomandata la cosa a Dio, il quale solo avrebbe potuto toglierlo da quell'angustia. Il buon novizio, conoscendo di non potere senza una speciale assistenza del cielo rispondere alle interrogazioni, che gli sarebbero state fatte, si rivolse pieno di fiducia alla sua cara Madre Maria. Recatosi pertanto ad ora ben tarda in Chiesa, credendo di essere solo, innanzi ad un immagine di lei con figliale confidenza cosi la pregò: Madre santissima , i frati non mi vogliono dare i voti per la professione, se non so la Regola e la dottrina cristiana. Io a ciò mi conosco inabile; ma Voi ben sapete che io mi sono dedicato a Voi, fate Voi adunque liberamente di me quello che volete. E la Vergine benignissima si compiacque di consolare in sull'istante l'afflitto suo servo, rispondendogli da quella sacra immagine con queste parole: Non prenderti affanno, o mio figlio, poiché mia sarà la cura di renderti consolato. Iddio a maggior glorificazione del suo servo aveva disposto che tutto questo fosse stato inteso dal P. Guardiano il quale stava in coro pregando. Intanto Frat'Umile la mattina appresso, pieno di confidenza in Maria, si presentò all'esame, e con grande stupore di tutti seppe rispondere ad ogni interrogazione con tanta precisione e prontezza, con quanta appena se ne sarebbe potuto ripromettere dal più istruito chierico. Il P. Guardiano allora narrò ai religiosi ciò, che era passato quella notte tra la B. Vergine e Frat' Umile, e conchiuse che, essendosi la stessa Regina del cielo impegnata con lui di farlo ammettere alla professione, altro ad essi non rimaneva che favorirlo coi loro suffragi. E cosi essendosi fatto, con universale soddisfazione due mesi appresso, compiuto l'anno del tirocinio, nel giorno quattro di settembre del 1610 Frat' Umile si consacrò solennemente a Dio coi santi voti, i quali emise nelle mani del nuovo Guardiano, P. Benedetto da Gutro, avendogli tenuto sermone il Vescovo di Beleastro.


Capo IV

Del dono straordinario dell'estasi, di cui Frat' umile fu dotato.

Il beato Frat'Umile fin da giovinetto rimase una volta alienato dai sensi alla presenza dei confratelli dell' Oratorio, a cui si era ascritto. Dopo quel tempo principiò andare talmente astratto, che sembrava al vederlo piuttosto una statua che non una persona vivente: e di qui pare che Iddio abbia cominciato a favorirlo col dono dell'estasi, le quali fin da quei principii si protraevano fino a ventiquattro ore non interrotte. Questo dono però rimaneva ancora occulto, e pochi, oltre il suo direttore spirituale, ne erano a cognizione, allorché l'anno 1613 essendo il beato uomo di famiglia nel convento di sua patria, piacque a Dio di farlo palese a tutti, servendosi a ciò di alcuni innocenti fanciulli. Il giorno di S. Giovanni Battista nel tempo dell' orazione in comune dopo l'ora di nona, come allora si costumava, il Servo di Dio rimase assorto in un'estasi dolcissima davanti ad una immagine della B. Vergine. Stavano in chiesa ad aspettare che terminasse l'ora della meditazione alcuni suoi nepotini venuti per non so qual loro a fTaruccio a parlargli, i quali come videro gli altri religiosi uscire dal coro, e lui immobile rimanersi al suo posto, gli si accostarono scuotendolo per l'abito e toccandogli le mani per avvisarlo che era tempo di uscire. Ma non si scuotendo punto l'estatico religioso, quei fanciulli lo crederono morto senz' altro, e usciti di chiesa, piangendo si fecero a divulgare per la città che Frat'Umile era rimasto morto appiè di un altare. A questa notizia i suoi parenti con molta altra gente accorsero in gran fretta alla chiesa, e dopo averlo inutilmente scosso e chiamato, cominciavano a piangerlo per morto essi pure, quando sopraggiunse in buon punto il P. Guardiano con altri Religiosi, il quale, immaginandosi ciò che veramente era, intimò a Frat' Umile in virtù di santa ubbidienza che cessasse da quell'estasi. E in effetto il Servo di Dio nel medesimo istante ritornò ai sensi; ma egli ebbe a rimanere estremamente confuso come si accorse che tanta gente era stata spettatrice di quel suo rapimento.
Da questo tempo sino alla gloriosa sua morte si può affermare che la vita del nostro Frat' Umile sia stata un'estasi continua. Imperocché, come ne fanno fede i Processi Apostolici, in questo dono egli fu singolarissimo, sia per la frequenza con cui veniva alienato dai sensi, sia per la durata dell' estasi stesse, le quali giunsero talvolta fino a trentadue ore non interrotte. In chiesa, in refettorio, in cucina, nelle pubbliche vie era rapito in ispirito; anzi nei viaggi quasi sempre camminava estatico, e spesso sollevato anche col corpo a vista di tutti. Zappando la terra in orto sovente all' udire i tocchi della campana al momento dell'elevazione della sacrosanta ostia, rimaneva estatico colla zappa tra le mani, e immobile per più ore, colla faccia rivolta al sole, anche nei più cocenti calori di estate. Stando in estasi non solo non vedeva cosa alcuna, nè udiva qualunque rumore intorno a lui si facesse, ma neppure sentiva l'ardore del fuoco, come si conobbe in varie occasioni, e specialmente una volta nel palazzo del Principe di Tarsia, nella terra di Cirò, dove nel sollevarsi in estasi andò a fermarsi, sospeso in aria, sopra un gran fuoco che vi stava acceso, il quale gli abbrustolì i piedi in modo che, ritornato ai sensi, non potendosi sostenere, cadde stramazzone in mezzo a dolori acerbissimi. In estasi ragionava alle volte intorno a cose altissime ed inveiva contro le offese, che si fanno a Dio; e più di una volta predisse anco gli eventi futuri, specialmente intorno alla santa Chiesa, all'Italia, al regno di Napoli ed alla sua patria. In tali rapimenti si vedeva talora tutto ridente nel volto, tal'altra all'opposto si mostrava in sembiante assai mesto: molte volte anche, specialmente in alcune delle principali solennità, pel gran giubilo che inondava l'avventurata sua anima , prorompeva in soavissimi canti; delle quali diverse trasformazioni essendogli stata richiesta un giorno la cagione, rispose che il Signore alcune volte si degnava di fargli gustare un saggio della beata vita dei celesti comprensori col ricreargli l'anima con quelle angeliche melodie, mentre invece altre volte gli rappresentava al vivo le pene dei dannati, oppure qualche tratto della sua dolorosa passione. Vario poi era il suo atteggiamento esterno quando era rapito in estasi; posciachè fu veduto levarsi in estasi e in ginocchio e ritto sulla persona; e appoggiato al suolo e sollevato più o meno in alto; col capo ora al cielo rivolto, ora chino alla terra ; cogli occhi quando aperti, quando chiusi; colle braccia od allargate, ovvero cosi ristrette al petto da formare colle mani una croce, o insieme congiunte in atto di preghiera. Spessissimo poi si sollevava dalla terra con quegli oggetti, che gli accadeva di avere in quel momento tra le mani; e cosi fu veduto sospeso in aria colla zappa, col bastone, colla bisaccia, col messale, col campanello.
Questo dono però diede in sui principi occasione al Servo di Dio di soffrire molte molestie, specialmente da parte dei suoi confratelli. Infatti cose al tutto straordinarie si vedevano in lui allorché era alienato dai sensi, perchè egli distingueva la voce del Superiore o di altri, che a nome di lui gli comandassero, senza però intendere le parole di nessun altro: camminava speditamente senza mai dare il piede in fallo, mentre pure non vedeva ove il piede posasse: rapito in estasi, sapeva trovare le strade non conoscendole, ed andava a scoprire vene di acqua in luoghi da lui non mai visitati. Oltre a ciò, parimenti estatico, passava i fiumi o sopra le acque o sopra pericolosi travicelli, su cui i suoi compagni non si fidavano di passare; oppure estatico camminava sulla sponda del fiume, finché, pur in estasi e senza veder nulla, trovava il ponte per passare all'opposta riva. Ora i suoi confratelli, benché persuasi della santa vita di lui, nulladimeno dalla grandezza stessa dei prodigii rari a leggersi di altri santi e in lui si frequenti, erano venuti in qualche timore non potesse per avventura avervi parte il padre della menzogna; e volendosene prudentemente accertare, lo sottoposero a varie prove , penose talora ed indiscrete, le quali però come tolsero ogni dubbio dalle menti eziandio dei più ritrosi a prestar fede a simili cose; cosi porsero in pari tempo occasione a mettere in più bella luce le sue singolari virtù.

Capo V

È riconosciuta la santità di Frat'Umile: suo maraviglioso modo di viaggiare: dal P. Ministro Generale è preso a compagno per la visita della Provincia della Calabria Ulteriore, e quindi per quella della Sicilia, dove viene trattenuto.

Le molte e prolungate prove, tra le quali non è da tacersi la rigorosa custodia del sant'uomo per ben due anni nel convento di Mesoraca con proibizione di trattare con persona al mondo, come a Dio piacque, dissiparono finalmente ogni ombra di sospetto dall'animo dei Superiori, i quali anzi, quanto si mostrarono prima dubbiosi dello spirito di Frat' Umile, altrettante se ne fecero poi essi medesimi i panegiristi. Il primo a render pubblica testimonianza della santità del Servo di Dio fu il P. Pietro dei Martiri, il quale essendo andato circa l'anno 1614 in qualità di Visitatore al convento di S. Lorenzo presso Bisignano dove a quel tempo il Beato trovavasi di famiglia, dopo averne a tutto suo agio esaminato lo spirito, gli rivocò l'accennato divieto di conversare con altri.
Simile concetto della santità di Frate Umile si formò il P.Dionisio da Canosa, quel desso che poscia scrisse alcuni cenni della vita di lui. Questo Padre, essendo stato tre anni appresso, cioè circa il 1617, mandato a visitare la Provincia della Calabria Citeriore, con varie mortificazioni mise alla prova la virtù del Servo di Dio, come fu quella, da lui stesso poi registrata, di fargli mangiare in ginocchio nel mezzo del refettorio di Cosenza il giorno del SS. Natale, col precetto agli altri religiosi di porgli, nel passare a lui vicino, il piede sopra la bocca e di dirgli: Peccatore, emenda la tua vita. Nè fu meno ardua della narrata l'altra prova fattagli nel convento di San Fili, dove il Beato comparve alla pubblica mensa colle spalle ignude, battendosi senza pietà con una pesante disciplina di ferro. Le quali mortificazioni accettate dal sant'uomo con piena docilità di animo, e con somma prontezza e allegrezza di spirito eseguite, fecero concepire nel P. Visitatore così grande venerazione verso di lui, che, per sua stessa confessione, gli portò poi sempre una divozione speciale, e sei prese a compagno in quella visita stessa.
Ma era nei disegni di Dio che la santità di Frat' Umile non rimanesse nascosta entro i ristretti confini della sua Provincia. Correva l'anno 1620, allorché vi arrivò il P. Benigno da Genova, Ministro Generale dell'Ordine, il quale, conoscendo già per fama il Servo di Dio, lo fece venire al convento di S. Marco, dove era stato intimato il capitolo, ed ebbe la consolazione di vederselo dinanzi a se rapito in estasi per più di un'ora in ginocchio. Nel tempo medesimo lo interrogò intorno a varii punti della vita spirituale, facendogli anche delle obbiezioni molto sottili; ma le risposte che Frat'Umile gli diede, furono talmente conformi ai principii della sana teologia, che quel grande uomo stupefatto conchiuse col dire che quantunque fossero già dodici anni da che era al governo dell'Ordine, non gli era però mai stato fatto di trovare un religioso, il quale potesse paragonarsi con esso, e lo condusse poi seco nella visita della Calabria Ulteriore e della Sicilia.
Meraviglioso oltre ogni dire era il modo di viaggiare dell' uomo di Dio. Rapito continuamente in estasi, e il più delle volte colle braccia sollevate e cogli occhi fissi al cielo, egli per via nulla vedeva ed udiva; ciò nondimeno la voce dell' ubbidienza, anche interiormente proferita, bastava a richiamarlo ai sensi; e seguiva cosi fedelmente le traccie del compagno, che più volte fu osservato che egli posava il piede sulle orme stesse impresse da quello. Dovendo, specialmente d'inverno, camminare per sentieri fangosi, mai non fu che s'imbrattasse l'abito o i piedi di fango; come mai pur non avvenne che questi rimanessero feriti occorrendogli di passare per entro a folte boscaglie ed a spineti, quantunque non vi avesse alcun riparo, essendo egli solito di camminare a piedi affatto ignudi, o tutto il più cogli zoccoli. Ma ciò che è più mirabile ancora, le acque lo rispettavano per modo ch'egli viaggiò parecchie volte sotto piogge dirottissime senza punto restar bagnato; e le correnti stesse dei fiumi all'appressarsi di lui si arrestavano e dividevansi per mezzo, lasciandogli libero il varco per passare all'opposta sponda. Ora essendosi tutti codesti prodigii rinnovati nei quattro mesi che fu insieme col P. Ministro Generale nella Calabria Ulteriore e nella Sicilia, egli è ben facile ad immaginarsi quanto gran fama abbia levato della sua santità in quelle provincie, e quanto fruttuosa sia riuscita quella visita confermata dagli esempii di sì santo religioso. Il che si può con sicurezza argomentare da ciò, che i suoi confratelli della Sicilia stimandosi avventurati di avere in mezzo a loro un uomo tanto caro a Dio, con premurose istanze chiesero al P. Generale che loro lo lasciasse, ed essendone stati esauditi lo collocarono di famiglia nel convento di S. Maria di Portosalvo in Messina. E poiché qualche mese appresso, per un motivo che troppo in lungo porterebbe se si volesse riferire, il Servo di Dio era stato richiamato alle Calabrie, la città stessa di Messina con una lettera molto onorifica per lui, supplicò il P. Vicario Generale dell' Ordine in Roma (perocché il P. Ministro Generale era a quei di passato nelle Spagne), affinchè glie lo rimandasse, come in effetto l'ottenne, benché non abbia poi potuto godere a lungo della santa conversazione di lui, essendo stato poco dopo chiamato a Roma.

Capo VI

Frat'Umile è chiamato a Roma da Gregorio XV, e quindi da Urbano VIII, i quali lo hanno in grande venerazione.

Le portentose azioni che di Frat'Umile si narravano, non tardarono a giungere all'orecchio del Sommo Pontefice Gregorio XV, il quale, fosse divoto desiderio di conoscere di persona un uomo illustrato da Dio di doni cotanto singolari, o fosse puranco prudente consiglio di assoggettare al giudizio autorevole di gravi ed esperte persone lo spirito del medesimo, per mezzo del suo Nunzio di Napoli lo chiamò a Roma. I religiosi e la città tutta di Messina furono dolentissimi al dover perdere, forse per sempre, l'uomo di Dio, che tanto veneravano e pel cui ritorno eransi con tanto impegno adoperati. Anche i suoi confratelli della nativa Provincia della Calabria Citeriore, i quali nutrivano ancora la speranza di riaverlo tra loro, se ne rammaricarono non poco, e solo potè mitigarne il dolore la promessa del Servo di Dio che da Roma avrebbe fatto ritorno e che avrebbe finito di vivere nel convento di sua patria. Quegli però a cui un tale comando riusci più sensibile, fu senza dubbio Frat'Umile, al quale, pel bassissimo concetto che aveva di se stesso, la deliberazione del Vicario di Cristo tornò inaspettatissima e di somma sua confusione. Senonchè, avvezzo egli sempre a venerare nella voce dei Superiori la voce stessa di Dio, piegò umilmente il capo alla santa ubbidienza, e abbracciati per l'ultima volta i suoi benevoli confratelli di Messina, si dispose a partire verso la metropoli del cattolico mondo. Dove come arrivò, primo suo pensiero si fu di recarsi a baciare il piede al Successore di S. Pietro, il quale lo accolse con tanta affabilità, e al solo vederlo provò tanta consolazione di spirito che, com'ebbe poi a manifestare ad alcuni suoi famigliari, non ne aveva mai in tutta la sua vita provata di simile. Frate Umile, non appena fu alla presenza del Pontefice, secondo il suo solito, fu rapito dallo spirito del Signore e rimase assorto in estasi , dalla quale non si riscose finché dal Papa non ne ebbe il comando. E poiché Gregorio aveva conosciuto ch'egli era un uomo di Dio, spesso lo faceva chiamare al suo palazzo, né disdegnava di conferire a solo a solo con questo povero fraticello intorno a negozii di somma importanza; ed essendo una volta caduto infermo di tal malattia che ai medici faceva temere della sua vita, Frat'Umile lo assicurò che sarebbe guarito, come fu veramente; per la quale predizione il Servo di Dio si acquistò presso i famigliari del Papa il titolo di frate santo. Ben diverso però fu il pronostico che fece l'anno seguente intorno alla salute del medesimo Gregorio, perocché quantunque, a giudizio dei medici, l'infermità sembrasse leggerissima, egli dichiarò apertamente che il Papa di quella sarebbe morto, e l'evento non tardò a confermare la sua asserzione.
Il Sommo Pontefice aveva comandato ai Superiori del convento di S. Francesco a Ripa, dove ordinariamente il Servo di Dio abitò tutto il tempo che si trattenne in Roma, che tenessero l'occhio sopra ogni sua azione, e quindi gliene dessero esatte informazioni. Perlocchè in parecchie occasioni ed in varie guise fu messa alla prova la virtù di Frat'Umile, il quale però tanto fu lungi che ne scapitasse per questo da quel buon concetto in che era appresso tutti, che anzi da ciò stesso si venne a conoscere con maggiore evidenza a quale alto grado di perfezione egli fosse salito. E veramente vi fu tra quei padri chi attestò che, incontrandosi nel Servo di Dio, con quel suo contegno si modesto e divoto, colla faccia smunta per le eccessive austerità, e spirante insieme un'aria di paradiso per la sua intima comunicazione con Dio, a tutti i religiosi pareva di vedere in lui una viva immagine del P. S. Francesco, ed era per loro un oggetto di meraviglia e di divozione continua. I giorni e le settimane intiere egli passava sempre dentro del chiostro, non uscendone mai se non che o per recarsi dal Sommo Pontefice quando vi era chiamato, o per fare la visita delle sette Chiese per l'acquisto delle Sante Indulgenze. Ma questa, perocché anche in Roma la gente, attiratavi dalle sue estasi, aveva incominciato tenergli dietro per le contrade in tanta folla, che una volta, tra le altre, corse pericolo di rimanervi soffocato, per comando espresso dei Superiori la faceva in tempo di notte, accompagnato da un altro fratel laico di molto spirito. Il quale esercizio quanto a Dio tornasse accetto, lo si può dedurre dai prodigii, con cui a lui piacque di glorificare i due ferventi religiosi. Imperocché si legge che facendo questo pio esercizio sotto piogge dirottissime, e dovendo per visitare le chiese poste fuori le mura della città spesso attraversare strade fangose e quasi impraticabili, nè l'uno nè l'altro erano mai tocchi dalla pioggia ed imbrattati comecchesia l'abito o i piedi di fango, senza poi dire che Frat'Umile spesso si vedeva mandare dalla persona raggi luminosi, e più di frequente ancora camminava tutto assorto in Dio e cosi sospeso in aria che quasi pareva non toccasse coi piedi il terreno. Del resto, il vivere suo era sempre dentro il convento, dove occupavasi colla massima fedeltà nei varii uffizii, che gli venivano assegnati; ma le estasi non gli erano perciò meno frequenti che altrove, anzi giunsero a tal segno che i Superiori furono costretti a proibirgli di assistere in chiesa alle pubbliche funzioni per evitare i tumulti, che succedevano nel popolo trovandosi spettatore di quei rapimenti. Eragli però libero di dare sfogo al suo spirito nel santuario del P. S. Francesco, dove si trovava sempre estatico e spesso ancora elevato da terra.
Tale adunque era il tenore di vita, che il Servo di Dio menava da circa due anni in Roma, allorché Papa Gregorio morì. Parve allora a Frat'Umile di poter liberamente far ritorno alla sua Provincia, e malgrado gli amorevoli suggerimenti dei suoi confratelli, che lo avrebbero voluto trattenere, si mise in viaggio e dopo alcuni giorni arrivò a Napoli, dove ebbe ordine di fermarsi alquanto di tempo per soddisfare alle molte istanze, che la nobiltà napolitana fatte ne aveva ai Superiori dell'Ordine. Intanto era stato eletto il nuovo Pontefice Urbano VIII, il quale avendo inteso che il Servo di Dio era passato a Napoli, fece tosto scrivere a quel suo Nunzio, perchè lo facesse ripartire per Roma. Frat'Umile adunque non potendosi sottrarre ai voleri del Papa, ritornò a Roma, dove fu accolto da Urbano con molta amorevolezza. Egli pure, come fatto aveva Gregorio, spesso lo chiamava al suo palazzo, e godeva di trattenersi con lui in ragionamenti di spirito, e raccomandava se stesso e la Chiesa alle sue orazioni. Le quali quanto fossero efficaci può renderne ampia testimonianza la principesca famiglia dei Barberini, a cui quel gran Papa apparteneva. Imperocché essendo essa molto afflitta per non esservi discendenza mascolina dal Principe D. Taddeo nipote di Urbano, si raccomandò alle preghiere del Servo di Dio, il quale non solo le impetrò dal Signore la desiderata prole, ma inoltre la consolò col predire che Donna Anna Colonna, moglie del nominato Principe, avrebbe dato alla luce tre figli maschi; il che si vide poi pienamente avverato.
Sette anni o in quel torno, cioè dal 1623 al 1630, Frat'Umile si fermò questa seconda volta in Roma, meno alcuni intervalli di tempo che soggiornò in Napoli a motivo delle gravi malattie, da cui negli ultimi anni venne assalito, le quali aggravandosi sempre più, dopo essere stato per due anni nella nostra infermeria di S. Croce in Napoli senza ritrarne da quel clima alcun giovamento, finalmente indussero i Superiori a rimandarlo alla sua Provincia nativa.


Capo VII

Frat'Umile ritorna alla sua Provincia della Calabria Citeriore: solenni accoglienze avute nel viaggio ed in patria.

Una lenta malattia di visceri, cagionatagli principalmente dalle grandi astinenze e da quell'eccessivo ardore di carità, che in lui era abituale, veniva da molto tempo logorando la preziosa vita di Frat'Umile. Perlocchè, dopo essersi sperimentato inefficace ogni altro rimedio, i Superiori vennero finalmente in deliberazione di rimandarlo alla sua Provincia nella speranza che l'aria nativa gli potesse recare qualche miglioramento. Ma questa speranza il santo uomo punto non aveva, il quale anzi nel congedarsi da' suoi confratelli di Roma diede loro chiaramente a vedere che quel morbo lo avrebbe tratto al sepolcro. Dopo di avere pertanto soddisfatto per l'ultima volta alla sua divozione colla visita di tutti i Santuarii di detta città, prese commiato dai suoi correligiosi di S. Francesco a Ripa chiedendo pubblicamente perdono degli scandali, ch'egli nella sua profonda umiltà credeva di aver loro dati col suo vivere scorretto. Il quale atto di umiliazione in un religioso di sì eminente virtù trasse le lagrime a quanti vi erano presenti, e rese più sensibile il dolore, che provavano nel doverlo tra breve perdere per sempre.
Questo viaggio non solo fu, come tutti gli altri, un intreccio meraviglioso di prodigii, ma può dirsi che sia stato pel Servo di Dio un non interrotto trionfo, imperocché ovunque egli passava, vedevansi corrergli incontro le moltitudini a baciargli l'abito ed anche a tagliarglielo in pezzetti, il quale però, con un miracolo continuo, come si recideva, cosi veniva tosto crescendo alla sua prima misura.
Imbarcatosi in non so qual porto del Napoletano, per togliersi agli altrui sguardi andò a rannicchiarsi in un angusto ripostiglio della barca, ma alcuni raggi di luce, che prodigiosamente si videro partire dal suo volto, lo tradirono, facendolo suo malgrado rispettare per uomo di Dio da tutta la comitiva. La quale tuttavia guari non andò che a sua gran mercè ebbe a convincersi ancora più della santità di lui. Imperocché essendosi nell' attraversare il golfo di Policastro levata una furiosa tempesta, che faceva temere imminente il naufragio, non appena Frat'Umile invocò il soccorso della Regina del Cielo, cessò il vento e le onde con evidente prodigio si ricomposero; per la qual cosa riconoscendosi tutti debitori della propria gita al Servo di Dio, lo proclamarono per santo e gliene resero vivissime grazie con sua grande confusione.
Ma molto maggiore sacrifizio dovette costare all'umiltà del santo religioso l'accoglienza veramente solenne, onde fu ricevuto al porto della Scalèa. Egli che in ispirito l'aveva preveduta, volendola evitare, aveva pregato il piloto a dar fondo a qualche altro porto, ma non fu esaudito. Il principe adunque della Scalèa com'ebbe sentore che l'uomo di Dio doveva approdare al suo porto, gli mandò incontro a titolo di onore la sua stessa feluca, ed egli medesimo discese alla spiaggia ad aspettarlo colla sua corte, col clero del luogo e con una gran moltitudine di gente. Quando poi il Servo di Dio tra gli evviva e gli applausi del popolo pose piede in terra, fu tosto salutato colle salve dei mortaretti, mentre il suono a festa delle cam- pane ed il concerto dei musicali strumenti faceva eco alla comune esultanza. Quei divoti signori, genuflessi dinanzi al figlio di S. Francesco, vollero baciargli le mani, il quale esempio fu quindi seguito dalla moltitudine, cosicché per la gran pressa, che intorno a lui si faceva, poco mancò che non vi rimanesse soffocato.
Altri intanto per soddisfare alla loro divozione furtivamente si facevano a tagliargli l'abito ed il mantello, e se una mano di soldati non fosse venuta in buon punto a toglierlo da quella gente indiscreta, sarebbe rimasto quasi ignudo. Coll'abito adunque che gli cadeva a brandelli, in mezzo alle più splendide ovazioni, egli venne condotto a modo di trionfo fino al palazzo del principe, dove appena giunto, eccoti l'abito ed il mantello, già laceri e ritagliati, a vista di tutti mirabilmente crescergli in un momento alla conveniente misura. La commozione prodotta nel popolo spettatore di si raro prodigio è più facile a concepirsi che non a narrarsi: V attonita moltitudine proruppe ad una voce: miracolo, miracolo; ma nel momento medesimo lo spirito del Signore aveva rapito a sè il suo Servo, il quale rimase alienato dai sensi in un'estasi profondissima ed elevato da terra quasi due palmi alla presenza di tutta la gente.
Due giorni egli si trattenne alla Scalèa con indicibile consolazione di quel buon principe e con molta edificazione e giovamento delle anime. Di là essendo poi passato alla città di Paola, quivi pure fu accolto assai onorevolmente dal clero e dal popolo, che era uscito ad incontrarlo. Da Paola si diresse quindi verso Bisignano, la quale città si era messa in gran festa pel suo arrivo. Qui pure, non essendo possibile porre freno al fervore del popolo, gli furono tagliati e l'abito e il mantello; anzi l'abito gli fu tagliato fino al ginocchio, della qual cosa accortosi il P. Guardiano, come fu entrato in convento, rivoltosi in atto di ammirazione al Servo di Dio, Frat' Umile , gli disse, che abito è egli codesto? Voi non avete indosso che un mezzo abito. Alla quale interrogazione pel gran rossore il sant'uomo altro non seppe rispondere che questo: Per carità Padre...; quand'ecco nel medesimo istante si vide che l'abito gli era ritornato alla sua giusta lunghezza.
Giunto al convento, il primo suo pensiero si fu di recarsi all'altare della Santissima Vergine per ringraziarla dell'avere esaudita la sua preghiera che le sue ceneri fossero deposte appiedi di quella sua sacra immagine, e nell'entrare poi nei dormitorii ripetè più volte con gran giubilo: Haec requies mea, le quali parole chiaramente dimostravano essergli stato rivelato che in quel convento avrebbe compiuta la sua mortale carriera.

Capo VIII

Capo IX

Capo X

Capo XI

Capo XII

Capo XIII

Capo XIV

Capo XV

Capo XVI

Capo XVII

Capo XVIII

Capo XIX


Bibliografa