Vita del Venerabile Servo di Dio, Frat'Umile da Bisignano

Da Besidiae.
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Vita del Venerabile Servo di Dio, Frat'Umile da Bisignano


Copertina

VITA

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

FRAT' UMILE DA BISIGNANO

Laico professo nell'Ordine dei Minori Riformati

NARRATA IN COMPENDIO

DAL P. ANTON-MARIA DA VICENZA

LETT. TEOLOGO DEL MEDESIMO ORDINE

NELLA PROVINCIA DI S. ANTONIO DI VENEZIA

BOLOGNA

TIP. PONTIFICIA MAREGGIANI

1872


Protesta dell'autore

Trattandosi in questo Compendio non solo delle virtù eroiche del Ven. Servo di Dio Frate Umile da Bisignano, già riconosciute per tali dalla S. Sede, ma eziandio dei miracoli non ancora approvati; per ubbidire ai Decreti della s. m. di Urbano VIII e della S. R. U. Inquisizione, l'autore si protesta che questi non hanno per base che la sola fede umana, dovendosi riconoscere soltanto dalla stessa S. Sede, di cui egli si dichiara ubbidientissimo figlio.

Proprietà Letteraria

Con Approvazione Ecclesiastica


Prefazione

La vita del Venerabile Servo di Dio Frat' Umile da Bisignano presenta tale un complesso di meraviglie che non riesce facile trovarne un'altra, colla quale si possa istituirne confronto. La battesimale di lui innocenza non appannata mai da neo di colpa, l'esercizio costante d'ogni più ardua virtù e le austerità straordinarie da lui praticate, che gli vennero abbreviando i giorni, quasi scompariscono in faccia ai doni singolarissimi, di cui il supremo Datore d'ogni bene si compiacque per sua liberalità di arricchirlo. Si direbbe che Iddio volesse porgerci in Frat'Umile un saggio di quella vita di beatitudine, che godono i celesti comprensori, mentre, come attestò lo stesso Pontefice Pio VI nell'approvarne le virtù, anziché terrena, tutta angelica e di paradiso fu la vita, che questo avventurato figlio di S. Francesco menò sulla terra, essendo stata un'estasi poco men che continua, da cui solo la voce dell' ubbidienza poteva staccarlo.
Or poiché ci è lecito sperare non lontano il giorno, in cui dall' oracolo del Vaticano gli saranno concessi gli onori dei Beati, parve opportuno e non senza qualche utilità che si venisse ridestando nei fedeli la memoria di sì gran Servo di Dio, A questo scopo viene pubblicato il presente Compendio, nel quale l'Autore fedelmente si attenne ai Processi Apostolici e ai biografi contemporanei al Venerabile.


Capo I

Nascita ed adolescenza del Servo di Dio.

Bisignano, piccola ma antichissima città vescovile, situata nel centro della Calabria Citeriore, fu P avventurata patria del glorioso Servo di Dio Frat' Umile, di cui imprendo a descrivere in compendio la vita. Ei vide la luce il giorno 26 Agosto del 1582, ed ebbe a genitori Giovanni Pirozzo e Ginevra Giardino, appartenenti entrambi ad onesta e non disagiata famiglia. I quali, poiché erano fervorosi cristiani, furono solleciti di far rigenerare nelle sante acque battesimali il loro bambino, a cui imposero il nome di Luca Antonio: e fin d'allora considerando in esso un prezioso deposito, che Iddio affidava alle loro cure, affinchè lo venissero allevando nel suo santo timore, si diedero ogni pensiero per instillargli insieme col latte i germi della pietà e della divozione. Quantunque, a dire il vero, oltre del sentimento del proprio dovere, non poco, io credo, v' abbia pur anco contribuito il ravvisare nel beato pargoletto fin dai primi giorni di sua vita dei segni evidenti di una speciale predilezione del Signore verso di lui, e alcuni non oscuri presagi della santità eminente, a cui in appresso nella sua misericordia infinita intendeva di elevarlo. Dei quali uno si fu quello di non voler egli di giorno più che due volte, e di notte una solamente succhiare alle poppe materne, il qual metodo costantemente ei tenne malgrado le carezze, che l'amorosa genitrice gli usava per indurlo a prendere il latte più spesso. Oltre a ciò si è pure osservato che, ancor tra le fasce, se accadeva per avventura ch'egli piangesse, nessuna cosa poteva acquietarlo, se non fosse stata qualche sacra immagine o di Gesù Crocifisso o della Immacolata sua Madre; ed era una tenerezza il vederlo lasciare in sull' istante il pianto e farsi tutto giulivo appena gli si appressava quella immagine. Una volta, ed era in sui tre anni, intese dal padre che gli Angeli in Cielo lodano Iddio cantando il trisagio Sanctus, Sanctus, Sanctus; e la bellezza di questa lode talmente lo rapi che non si saziava poi mai di cantarla. Guai però se il padre o la madre o qualunque altro gli avessero posta in mano una qualche moneta ; avresti pensato che un gran male lo avesse incólto al vederlo abbandonarsi d' un tratto ad un dirottissimo pianto, e gettar lungi da sè sdegnosamente quel denaro. Il quale abbonimento ai denari tanto coll'andare degli anni venne in lui crescendo, che mai non arrivò a conoscerne il valore; anzi se avveniva talora che a lui fosse consegnata la mercede per pagarne gli operai, il più delle volte al momento di doverla consegnare si accorgeva di non averla più. Il che troppo spesso ripetendosi per volerlo giudicare fortuito, tutti lo ebbero in conto di sovraumano, e forse egli veniva con ciò preludendo a quella strettissima povertà, che un altro giorno avrebbe solennemente giurato appiè dei sacri altari.
Con siffatti auspicii egli era bene ad aspettarsi di cose grandi dal nostro Luc' Antonio, arrivato che fosse all'uso della ragione. E buon per lui che fin dai primi passi, che dar doveva nella via della santità, ebbe a trovare un eccellente maestro di spirito. Era questi il suo parroco medesimo, un D. Marco Antonio Solima, sacerdote altamente commendato dai suoi contemporanei per ispecchiata virtù, il cui magistero di quanto profitto sia stato per Luca Antoni, ne rende ampia testimonianza la santa vita da lui condotta nel secolo. Poiché il nostro giovanetto si mostrava tanto rispettoso verso i suoi genitori, che mai non usciva di casa senza prima chieder loro la benedizione e baciarne i piedi: assisteva ogni giorno alla santa Messa, ed ogni sera riceveva dal suo direttore il punto della meditazione pel di seguente. Tre volte poi per settimana digiunava a pane ed acqua; e quando era mandato alla campagna a guardare gli armenti o a lavorare nel terreno, come gli era consentito di avere qualche momento libero, tosto si appartava in qualche luogo dà non poter essere veduto, e, formatasi ivi di due rozzi rami una croce, davanti alla medesima genuflesso si poneva adorare, nel qual esercizio la sera, benché spossato della persona per le fatiche sostenute l'intera giornata, molto a lungo vi durava, essendo solito anche di unire alle preghiere altri santi esercizii di flagellazioni e discipline.
Queste pratiche però di penitenza più di frequente e con maggior rigore egli le esercitava in una sotterranea grotticella di casa sua, dove per sua divozione si aveva adattato un piccolo altare. Quivi adunque nel più fìtto della notte egli era solito discendere, e lunghe ore vi passava alternando le preghiere vocali colle più severe mortificazioni, e deliziandosi nella contemplazione delle celesti verità. Non è però a credere che tali dolcezze dello spirito nulla costassero al nostro giovanetto dalla privazione del sonno in fuori, imperocché il demonio, invidioso dei rapidi progressi ch'egli faceva nella perfezione, non lasciò intentata arte alcuna per distoglierlo da sì virtuosi esercizi; e quella grotta fu testimone sovente di dure lotte e di splendidi trionfi da Luca Antonio riportati sul nostro comune avversario.
Ardentemente intanto il fervoroso garzoncello sospirava di unirsi più intimamente col suo Dio nel SS. Sacramento dell'Eucaristia; e poiché per la troppo tenera età non gli era permesso di far paghi i suoi desiderii, procurava almeno di supplirvi coir intrattenersi il più che gli era possibile davanti al sacro tabernacolo in amorosi colloquii collo sposo divino dell' anima sua. Allorché poi, giunto all'età conveniente, fu ammesso a partecipare a quel celeste banchetto, oh! da quale piena di affetti fu sovrappreso quel cuore innamorato di Gesù. D'allora egli prese il costume di accostarsi all' eucaristica mensa ogni di festivo, lo che faceva sempre a piedi scalzi, per sentimento d'umiltà, riconoscendosi indegno di albergare nel suo petto ospite sì santo.
A coltivare sempre più la pietà diede anche il suo nome ad una Confraternita eretta già nella sua patria sotto la protezione dell* Immacolata Concezione di Maria, dove egli addivenne ben presto lo specchio e l'ammirazione di tutti non meno pel suo fervore che per la sua profonda umiltà. La quale virtù, quanto fin d'allora fosse in lui ben radicata, lo diede a conoscere nell'occasione che, essendogli stata data una guanciata solenne in sulla pubblica piazza di Bisignano da un cotale a torto credutosi da lui offeso , il virtuoso giovanetto, nonché dar segno di turbarsene, offri tosto l'altra guancia al villano offensore, e prostratosi ai piedi di lui, gliene rese grazie perchè lo aveva trattato secondo che meritavano i suoi peccati.


Capo II

Vocazione del Servo di Dio allo stato religioso: santa vita da lui condotta nel secolo.

La grazia del Signore, che si mirabilmente aveva prevenuta nelle benedizioni di sua dolcezza il nostro giovanetto, non mancò di venirgli in soccorso anche in quella pericolosissima età, in cui molti purtroppo, o trascinati dalle passioni, che si suscitano gagliarde, o pervertiti da conversazione di licenziosi compagni, fanno miseramente getto di quella innocenza, che fino a quel punto avevano mantenuta illibata. Luca Antonio, essendo già in sul diciottesimo anno di età, seriamente cominciò a pensare allo stato di vita, che doveva intraprendere; e poiché questo è affare di somma importanza e da consultarsi principalmente con Dio, raddoppiò a tal fine le austerità e le preghiere. Nè andò molto che esse vennero esaudite in un modo al tutto singolare. Imperocché un bel giorno che stava guardando i suoi armenti, i quali pasturavano presso un luogo detto di S. Nicolò poco discosto da Bisignano, un'ora dopo il meriggio egli udì, senza poter vedere donde partisse, una voce chiara e distinta, che per tre volte gli disse: Luca Antonio, io voglio esser servito da te. La stessa misteriosa voce fu intesa anche dal confessore, a cui fu pur rivelato ch'ei si renderebbe figlio di san Francesco, ma che prima di vestirsi delle sue divise avrebbe dovuto passare nove anni in grandi travagli.
Lieto adunque Luca Antonio per avere conosciuta la divina volontà, ma insieme dolente al vedersi differito si a lungo l'ingresso alla santa religione, si propose intanto di profittare ogni di più nelle virtù cristiane, intraprendendo un tenor di vita molto più fervoroso che non per lo innanzi. Infatti, oltre ai maltrattamenti accennati, dopo questa divina chiamata cominciò a tormentare più duramente il suo corpo col sottrargli il necessario alimento, non concedendogli che puro pane ed acqua una sola volta al giorno; anzi parendo al fervoroso giovane che quella scarsa misura d'acqua fosse soverchia delicatezza, ebbe l'animo di privarsi anche di sì meschina soddisfazione nei più forti calori di agosto; se non che, troppo sentendosi la natura oppressa per tale privazione, dopo otto giorni gli fu forza di dimettere l'ardua prova. Nondimeno in quanto al cibarsi di solo pane ed acqua, ei seppe durarvi costante per ben nove anni, cioè fintantoché entrò in convento, dove pure continuò in tal metodo, dal quale non si scostava se non allora che i Superiori prudentemente gli rallentavano un sì eccessivo rigore. E il suo stomaco si era ormai cosi abituato a tale astinenza che, avendogli una volta un nuovo confes- sore comandato di mangiar carne, in tutto il tempo che per ubbidirgli ne mangiò, ebbe a soffrire dolori fierissimi, non potendo il suo stomaco ritenerla. I quali dolori egli pazientemente sopportò per ben due mesi, e forse più a lungo sopportati gli avrebbe, se intanto non gli fosse un giorno apparso un religioso di S. Francesco, il quale gli rammentò il proposito da lui fatto di non cibarsi che di pane ed acqua; il che saputo dal suo confessore, gli ritirò il divieto lasciandogli piena libertà di digiunare a suo talento.
Ma la vita da Luca Antonio menata nel secolo, quanto fu degna di ammirazione per l'eroismo delle virtù da lui esercitate, altrettanto e forse più ancora lo fu pei favori singolari, con cui a Dio piacque d' illustrarla. Già fin d' allora ei venne elevato a contemplazioni altissime, e gli fu concesso il dominio sulle creature irrazionali, e apparve dotato del dono dei miracoli. Guari istantaneamente un suo cugino tutto attratto nelle mani e nei piedi col solo prenderlo per mano ed intimargli nel nome di Dio onnipotente che si alzasse. Un lupo affamato col solo scontrarsi in lui divenne mansueto come un agnello. Una volta egli cadde col cavallo nel fiume Crate, ed essendo dalla furia delle onde travolto e portato al fondo, non appena invocò i nomi santissimi di Gesù e di Maria, miracolosamente fu sollevato a galla e scampato da quel pericolo. Un'altra volta invece, il che è ancora più maraviglioso, dovendo passare il fiume, che scorre per mezzo di Bisignano, camminò sopra le acque e arrivò all' opposta sponda a piedi asciutti. Oltre a ciò conosceva lo stato delle anime, che uscivano di questa vita, vedendo quelle che si salvavano sotto la forma di una risplendente e vaga nuvoletta, e quelle che si dannavano sotto la forma di una nuvola nerissima.

Capo III

Il Servo di Dio entra nell'Ordine di S. Francesco, e vi professa solennemente.

Finalmente, come a Dio piacque, dopo nove anni di contraddizioni d'ogni maniera, Luca Antonio giunse a superare tutti gli ostacoli, che si frapponevano all'adempimento dei suoi santi desiderii. Vero è però che come fu in sul punto di accommiatarsi dalla famiglia, di cui era il sostegno, la madre e le sorelle più con lagrime che con parole gli diedero un nuovo assalto. Ma egli, sostenuto dalla grazia, non si lasciò sedurre dalla carne e dal sangue, ed esortatele a riporre la loro confidenza in Dio, se ne parti alla volta di Dipignano. Dove accolto in santa carità ed accettato dal P. Custode dei Minori Riformati, il primo giorno di settembre dell' anno 1609, contando allora ventisette anni di età, per mano del P. Leone da Castiglione in condizione di fratel laico fu vestito delle serafiche lane col nome di Frat'Umile. Di là venne subito trasferito all'altro Convento di Mesoraca a farvi il noviziato sotto il magistero del P. Antonio da Rossano.
Non si può descrivere a parole la contentezza di Frat'Umile, allorché si vide finalmente nella casa del Signore e vestito del sacro abito di S. Francesco: e confrontando la felicità presente colle passate angustie, gli parvero allora un nulla e assai bene spesi quei nove anni di tribolazioni e di travagli. E riflettendo altresì che il mutar delle vesti significava la mutazione, che internamente doveva farsi dell' animo, e lo spogliamene totale dell'uomo vecchio, si diede tosto con tutto l'impegno a rinnovarsi nello spirito e ad informarsi a quell'esimia santità, a cui Iddio coll'invitarlo al chiostro aveva inteso di chiamarlo. Non solamente adunque egli non rallentò punto del suo fervore, ma anzi, quasi il fatto fin qui fosse poca cosa, raddoppiò la vigilanza sopra sé stesso, alle austerità di prima altre ancora ne aggiunse, e, proponendosi a modelli da imitare i più grandi Santi del suo Ordine, in breve non solo addivenne oggetto di ammirazione presso i suoi confratelli, ma i più provetti stessi si lasciò di lunga mano addietro nel sentiero della virtù. Basti in prova di ciò il seguente fatto, dal quale si scorgerà anche chiaramente quanto fin d'allora fosse cara a Dio quest'anima. Mentre un giorno il santo novizio trattene vasi nell'orto insieme col maestro e coi compagni in ragionamenti di spirito, il maestro gli disse: Frat' Umile, vedi quell'uccelletto, che su quei rami tanto soavemente gorgheggia? Se tu fossi daddovero cosi ubbidiente ed umile come lo indica il tuo nome, ben facile ti sarebbe farlo discendere tra le tue mani e presentarmelo. E il buon novizio, pensando che quelle parole contenessero un precetto, senza esitare un momento si fece con tutta semplicità ad invitare nel nome di Dio quell'animaletto, il quale, essendogli tosto volato nelle mani, lo consegnò in ginocchio al maestro, lasciando ognuno stupefatto, non so se più per la novità del prodigio, o per la santità di chi lo aveva operato. Da tutto ciò non è a dire quanto i suoi confratelli ne andassero consolati, ben prevedendo da tali indizii l'alto grado di perfezione a cui col tempo egli sarebbe salito, se ancor novizio vi faceva sì rapidi progressi.
Ma il demonio non si ristette dal molestarlo in varie guise anche nell'anno del noviziato, non solo per indurlo a lasciare l'incominciato cammino, ma eziandio per farlo apparire presso gli altri religiosi poco men che scimunito e perciò non atto pel loro Istituto. E veramente queste molestie, a lungo andare, gli produssero nell'anima una grandissima diffidenza, la quale, contro ogni suo volere, non gli permetteva di attendere ai suoi uffizii con quella diligenza ed alacrità, che da un novizio si sarebbe voluto. Di qui i suoi confratelli cominciarono a venire in timore non forse quella smemoratezza dipendesse in lui da pochezza di mente, e giudicandolo inetto per la religione, erano fortemente dubbiosi se si dovesse o no ammetterlo ai santi voti. Intanto a vieppiù confermarli nei concepiti dubbi avvenne che, approssimandosi il termine del noviziato, fosse chiamato, com'è costume, a subire l'esame intorno alla dottrina cristiana e alla santa Regola, che stava per professare. Ma sia che per l'abituale perturbazione della mente prodottagli dalle diaboliche infestazioni non abbia potuto mai apprendere quanto il suo maestro gli veniva insegnando , sia che per artifizio pur diabolico gli sfuggisse in quel momento dalla memoria ciò che aveva appreso, il fatto si fu eh' egli arrivò alla vigilia del giorno dell'esame senza saper verbo di quello, su cui l'indomani doveva essere interrogato. E poiché vi è legge che non si possa ammettere alla professione chi sufficientemente non soddisfaccia al prescritto esame, la comunità religiosa era ormai persuasa che Frat'Umile si sarebbe dovuto licenziare, ed egli stesso ne fu di ciò avvisato dal suo maestro, affinchè ne avesse raccomandata la cosa a Dio, il quale solo avrebbe potuto toglierlo da quell'angustia. Il buon novizio, conoscendo di non potere senza una speciale assistenza del cielo rispondere alle interrogazioni, che gli sarebbero state fatte, si rivolse pieno di fiducia alla sua cara Madre Maria. Recatosi pertanto ad ora ben tarda in Chiesa, credendo di essere solo, innanzi ad un immagine di lei con figliale confidenza cosi la pregò: Madre santissima , i frati non mi vogliono dare i voti per la professione, se non so la Regola e la dottrina cristiana. Io a ciò mi conosco inabile; ma Voi ben sapete che io mi sono dedicato a Voi, fate Voi adunque liberamente di me quello che volete. E la Vergine benignissima si compiacque di consolare in sull'istante l'afflitto suo servo, rispondendogli da quella sacra immagine con queste parole: Non prenderti affanno, o mio figlio, poiché mia sarà la cura di renderti consolato. Iddio a maggior glorificazione del suo servo aveva disposto che tutto questo fosse stato inteso dal P. Guardiano il quale stava in coro pregando. Intanto Frat'Umile la mattina appresso, pieno di confidenza in Maria, si presentò all'esame, e con grande stupore di tutti seppe rispondere ad ogni interrogazione con tanta precisione e prontezza, con quanta appena se ne sarebbe potuto ripromettere dal più istruito chierico. Il P. Guardiano allora narrò ai religiosi ciò, che era passato quella notte tra la B. Vergine e Frat' Umile, e conchiuse che, essendosi la stessa Regina del cielo impegnata con lui di farlo ammettere alla professione, altro ad essi non rimaneva che favorirlo coi loro suffragi. E cosi essendosi fatto, con universale soddisfazione due mesi appresso, compiuto l'anno del tirocinio, nel giorno quattro di settembre del 1610 Frat' Umile si consacrò solennemente a Dio coi santi voti, i quali emise nelle mani del nuovo Guardiano, P. Benedetto da Gutro, avendogli tenuto sermone il Vescovo di Beleastro.


Capo IV

Capo V

Capo VI


Capo VII

Capo VIII

Capo IX

Capo X

Capo XI

Capo XII

Capo XIII

Capo XIV

Capo XV

Capo XVI

Capo XVII

Capo XVIII

Capo XIX


Bibliografa