Nicolò Berardino Sanseverino

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Nicolò Berardino Sanseverino

Nicolò Berardino Sanseverino fu il V Principe di Bisignano, nonché l'ultimo principe del primo ramo della dinastia Sanseverino in questo territorio. Le fonti lo identificano anche come Duca di San Pietro e Conte di Tricarico.

Era figlio di Pietro Antonio Sanseverino e della sua seconda moglie, Irene Castriota Scanderbeg. Irene (o Erina) era a sua volta discendente di Ferrante Castriota Scanderbech, nipote dell'eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg. Quando Pietro Antonio Sanseverino morì nel 1559, Nicolò Berardino era ancora minorenne, e fu sua madre Erina a subentrargli nel governo del feudo per un periodo. Attraverso sua madre, egli era collegato alla famiglia che aveva portato in dote al principato numerosi feudi.

Nicolò Berardino fu una figura complessa. Viene ricordato per la sua generosità e prodigalità, sia verso gli amici e i cortigiani che verso i suoi numerosi servitori (oltre trecento). Questa liberalità, tuttavia, suscitò reazioni nella moglie, Isabella della Rovere, e invidia tra i parenti. È descritto come un uomo raffinato, colto e profondamente sensibile.

Fu attivo anche militarmente; nel 1576, dopo che i Turchi avevano saccheggiato Trebisacce, Nicolò Berardino sorprese i predoni con una forza di 300 fanti e 60 cavalli, riuscendo a recuperare il bottino, uccidere 50 Turchi e catturarne 40. Come principe, nel 1597 concesse la giurisdizione sulle prime cause civili, criminali e miste al comune di Fuscaldo. Le fonti menzionano anche che i suoi "anni migliori" come Principe di Bisignano furono caratterizzati da tale giurisdizione. Nel 1590, era Principe durante un periodo di commissioni artistiche private a Bisignano.

La sua vita fu segnata da difficoltà finanziarie e familiari. Le fonti indicano che fu coinvolto in una serie di disastrose operazioni finanziarie. Sua moglie (inizialmente descritta come inadatta alla sua natura generosa e causa della rovina della Casa per i suoi maneggi) lo denunciò al Viceré Giovanni Zunica, affermando che il Principe non era in grado di amministrare l'immenso patrimonio ereditato. Nel 1589, amici e parenti confermarono questa versione, portando all'interdizione del Principe e al suo allontanamento, venendo confinato prima nel castello di Gaeta e in seguito a Castelnuovo.

Un evento particolarmente doloroso per Nicolò Berardino fu la morte del suo unico figlio, Francesco Teodoro, avvenuta nel 1595, prima della sua stessa scomparsa. La perdita del figlio aggravò il suo stato d'animo durante il soggiorno forzato a Gaeta e lo portò a pensare seriamente al problema della successione. Le fonti riportano che, abbandonato anche dai suoi più fedeli amici, redasse il suo testamento a Napoli.

Liberato dalla prigionia di Gaeta grazie all'intervento di Filippo II di Spagna, non fece più ritorno a Bisignano e morì a Napoli il 21 novembre 1606. Va notato che una fonte indica una data di morte diversa (1580), ma altre fonti che lo menzionano in eventi successivi come la denuncia della moglie nel 1589, la commissione artistica del 1590, la morte del figlio nel 1595 e la concessione di giurisdizione nel 1597 rendono la data del 1606 più coerente con il quadro generale.

Non avendo eredi legittimi, Nicolò Berardino nel suo testamento nominò erede la Maestà di Filippo III. Dopo la sua morte, il re inizialmente non accettò l'eredità, scatenando una lite tra vari pretendenti. Alla fine, fu Filippo IV a intervenire e nel 1622, tramite una transazione, il Principato di Bisignano passò a Luigi Sanseverino Conte di Saponara, il quale pagò una somma considerevole. Le fonti precisano che il principato era un fedecommesso che escludeva le discendenti femmine. Nonostante la sua travagliata fine e la dispersione dei suoi feudi, il periodo del Principe Nicolò Berardino II (come talvolta viene indicato) rappresentò gli anni migliori per la giurisdizione civile e criminale di Bisignano. Potrebbe essere stato sepolto in uno dei due edifici religiosi di Bisignano, al pari del padre e del nonno. Durante la sua epoca, la famiglia Sanseverino continuava ad essere "imperante" e di grande rilievo nel territorio.