Isabella della Rovere

Isabella della Rovere fu consorte di Nicolò Berardino Sanseverino, V Principe di Bisignano. Era figlia di Guidobaldo V, Duca di Urbino, e di Vittoria Farnese, appartenente a famiglie sovrane e celebrate per figure illustri.
Il suo matrimonio con Nicolò Berardino, avvenuto nel 1565, fu combinato dalla madre del Principe, Erina Castriota Scanderbeg. Le fonti rilevano che Isabella era significativamente più anziana del marito, di circa otto anni, e che non portò alcuna dote nel matrimonio, sposandosi unicamente per l'elevato rango e il nome del suo Casato. Questa unione, nonostante le aspettative, si rivelò infelice, e i due sposi rimasero quasi sempre estranei, senza amore o simpatia sincera. Le differenze nell'età, nell'indole e nell'educazione contribuirono a questa incompatibilità; mentre Nicolò Berardino è descritto come raffinato, colto e sensibile, Isabella viene definita "superba, ambiziosa e dura" dai cronisti dell'epoca, e persino "rozza e superficiale". Le fonti suggeriscono che il Principe fu anche influenzato negativamente dalla "numerosa ed insieme viziosa Servitù" che cercò di allontanarlo dalla consorte, considerando l'esempio di lei e della sua corte, proveniente dal Ducato di Urbino, come "ipocrisia".
Dall'unione nacque un unico figlio, Francesco Teodoro, Duca di San Pietro, venuto alla luce nel 1581. Tuttavia, la nascita del figlio non portò alla riconciliazione; si dice che Isabella cercasse di fuggire a Urbino subito dopo il parto, ma fu fermata per ordine regio.
Isabella della Rovere giocò un ruolo determinante nelle travagliate vicende di Nicolò Berardino e del principato. È descritta come inadatta alla natura generosa del marito e artefice della rovina della Casa di Bisignano con i suoi "maneggi" e la sua "grettezza". In particolare, le fonti riportano che ella, approfittando delle difficoltà finanziarie del Principe e di un suo presunto stato di infermità o incapacità, lo denunciò al Viceré Giovanni Zunica, affermando che il Principe non era in grado di amministrare l'immenso patrimonio ereditato dai suoi avi. Questa azione fu supportata da amici e parenti del Principe e condusse all'interdizione di Nicolò Berardino e al suo allontanamento, confinato prima a Gaeta e poi a Castelnuovo. Nonostante le sue macchinazioni, Isabella non poté assumere il controllo del principato, poiché fu nominato un curatore per gestire gli affari.
Un ulteriore dolore per Isabella fu la morte del figlio Francesco Teodoro nel 1595, a soli quindici anni. Le sorti del principato "precipitarono irrimediabilmente" con la sua scomparsa.
Negli anni successivi alla morte del marito (avvenuta nel 1606), Isabella si trasferì a Napoli. Negli ultimi anni della sua vita soffrì di una grave malattia che le causò una "schifosa cancrena" o una "pustola" alle narici. Nonostante il carattere difficile, negli ultimi anni si avvicinò alle pratiche religiose, divenendo una grande benefattrice di Ordini religiosi, in particolare della Compagnia di Gesù. Fu lei a fondare la chiesa del Gesù Nuovo (Trinità Maggiore) a Napoli, alla quale legò la sua eredità e dove desiderò essere sepolta insieme al figlio. Le fonti attribuiscono alle sue spese "forsennate" nell'ultimo decennio della sua esistenza, stimate persino in un milione e mezzo di ducati solo per i Gesuiti a Napoli, la causa reale del dissesto finanziario del Principato.
Isabella della Rovere morì a Napoli nel luglio 1619 a causa della malattia che l'affliggeva. È ricordata anche nella letteratura, come nel poema "La secchia rapita" di Alessandro Tassoni, che la descrive giovanissima, forse al corteo nuziale, come "sdegnosetta e fiera in volto, / Venia sopra una chinea di Bisignano...".